Se ciò che va perso o si smarrisce in Internet usasse la Rete per ritrovare la strada per tornare a casa dal legittimo proprietario o autore, nessuno avrebbe qualcosa da obiettare. Ma se la strada intrapresa portasse ad archivi nascosti dei Big Data il tutto potrebbe essere imbarazzante, anche in futuro, per la vita personale e sociale di ogni individuo, sia esso giovane attivo sulle pagine di Facebook o immigrati digitali felicemente intento a cinguettare con Renzi sulla crescita dell’Italia e sulla Buonscuola.
Che fine fanno i profili digitali online?
Per chi non fosse preoccupato per la sicurezza delle sue informazioni e per la sua privacy online può continuare a entusiasmarsi della potenza galattica e temporale della memoria della Rete. Forse dovrebbe però riflettere su come sono cambiati Internet e il mondo digitale, sul ruolo e il significato che hanno assunto i profili digitali delle persone e le loro (quelle dei profili come oggetti inanimati e manovrati da semplici algoritmi matematici) interazioni e esperienze online. Sicuramente sarebbe meglio riflettere sull’uso che di questi profili e delle informazioni a loro associate fanno realtà come Google, Facebook e Amazon.
Foto di Carlo Mazzucchelli
Queste informazioni una volta, quando Internet era ancora poco sviluppato e per pochi, risiedevano su server dislocati in Università o centri di ricerca. Oggi sono raccolte, categorizzate, organizzate e analizzate, attraverso algoritmi appositi, all’interno di grandi Server Virtuali (sommatoria di infiniti server fisici ma gestiti come se fossero un’unica entità, virtuale appunto) che danno forma ai BIG DATA. Succede così che anche piccole e leggere tracce lasciate sul suolo immenso della rete delle reti finiscono per essere rilevate da Droni virtuali sempre attivi all’interno dei motori di ricerca e delle pagine di Facebook o dello store di Amazon. Queste tracce vengono fotografate, registrate e fissate in calchi destinati a resistere al tempo per essere studiati e utilizzati ogni volta che dovessero servire. Ad esempio per una nuova iniziativa marketing o campagna promozionale.
Le tracce infinite che lasciamo non si cancellano mai
Le tracce rimangono perché la superficie del Web è diventata liquida, malleabile, melmosa e quasi studiata appositamente per raccoglierle e tramandarle nel futuro. Inconsapevoli o forse colpevoli incoscienti sono tutti coloro che lasciando queste tracce lungo i loro percorsi navigazionali e esistenziali in Rete permettono a entità istituzionali di aumentare la loro sorveglianza e a entità commerciali di riempire di spam le caselle postali e di pubblicità le pagine Web visitate. Il tutto senza un esplicito assenso del consumatore, utente e cittadino della Rete ma anche cittadino con diritti democratici acquisiti e che andrebbero rispettati.
I Pionieri del Web si scambiavano informazioni e suggerimenti su quale libro, droga leggera o tipo di whisky da comperare. Oggi i nativi digitali, meno consapevoli della realtà tecnologica ma molto bravi a sfruttarne i vantaggi, si scambiano di tutto, in particolare fotografie, selfie, ironie, indiscrezioni, pettegolezzi, sentimenti, reazioni emotive, simpatie o antipatie. Lo scambio poi avviene in modo non protetto, coinvolgendo anche persone che non fanno parte della cerchia ristretta di conoscenze e amici.
Si parla di privacy, si riflette sugli effetti della tecnologia!
Lo scambio fa parte della cultura aperta e collaborativa della Rete che non obbliga al sospetto e alla criminalizzazione degli interlocutori vari in essa presenti, siano essi semplici contatti sul muro delle facce o entità astratte, ma molto presenti, come Facebook, Google e Amazon. Ma cosa succede se il cittadino della Rete o il Nativo digitale cresciuto e maturato scoprisse di avere disseminato in Rete troppe tracce che potrebbero essere individuate dal partner corrente, dal cacciatore di teste o dal datore di lavoro potenziale? Avrebbe la possibilità di risalire alle tracce e alle informazioni abbandonate in Rete e di provvedere alla loro cancellazione? La cancellazione poi sarebbe solo dalle pagine pubbliche del Web o anche fisicamente e definitivamente dai server dei Big Data?
Inutile aspettarsi risposte definitive!
Meglio verificare con cura se le informazioni cancellate sono effettivamente sparite dalle pagine pubbliche in Rete e sperare che siano spariti anche i collegamenti digitali tra di esse. Ad esempio il collegamento tra un indirizzo di posta elettronica e un profilo digitale o traccia del passato che si vorrebbe vedere rimossa per sempre. Se la casella postale è stata creata con Gmail, meglio prepararsi al peggio…!
Il diritto alla cancellazione e alla sparizione è strettamente legato a quello della privacy. Pochi sembrano però curarsene, molti sembrano al contrario poco interessati a proteggere i loro contenuti digitali online. Il problema interessa meno gli immigrati digitali e molto di più i Nativi digitali. Molte pagine del Web antico se ne sono andate per sempre, sicuramente quelle contenute nei server prima dei Big Data e organizzate con algoritmi precedenti a quelli più intelligenti e costruiti sui principi delle Teorie delle reti. La perdita di questi dati rappresenta sicuramente un danno per tutti coloro che sono interessati a conoscere l’evoluzione tecnologica di Internet e per coloro che questo fenomeno lo studiano da sempre anche come sociologi o antropologi. Per i Nativi digitali il problema di questa perdita non si pone così come non esiste, almeno nella loro stragrande maggioranza, la preoccupazione sul destino e sull’utilizzo inappropriato dei dati e delle informazioni a loro attinenti.
L'indifferenza per il tema della Privacy
L’indifferenza della maggioranze dei cittadini della Rete si loro profili e dati personali è tanto più scioccante quanto più evidente l’uso che ne viene fatto dai protagonisti della rivoluzione tecnologica e che potrebbe esserne fatto da parte di malintenzionati e cybercriminali, in costante aumento e sempre più abili e pericolosi nelle loro capacità criminali. La sparizione dei dati dal motore di ricerca non è più garanzia sufficiente che i dati siano effettivamente spariti. Forse sono semplicemente migrati su server nascosti (i server Sirena di Dougla Ruschkoff) del Big Data e mantenuti aggiornati per utilizzi futuri. E se la migrazione avesse frammentato le informazioni e mescolato i dati? Ne deriverebbero narrazioni false di chi eravamo e di cosa facevamo, neppure capaci di farci rivivere con nostalgia i bei tempi andati del muro delle facce e delle comunità cinguettanti.
Per chi non ne fosse a conoscenza, la maggior parte delle informazioni raccolte online da motori potentissimi come Google, Facebook e Amazon finiscono per alimentare Big Data e per essere vendute a entità di cui non si conosce quasi nulla. I dati da esse acquistati servono a dare forma a profili commerciali e marketing capaci di fornire conoscenze su stili di vita, abitudini e comportamenti delle persone nelle loro vesti di consumatori, ma anche di cittadini e forse di elettori. E’ come se queste entità scrivessero su ognuno di noi una biografia dettagliata e la vendessero al migliore offerente, sia esso Ikea o Esselunga, una compagnia aerea o un partito politico della terza o quarta repubblica digitale. L’estendersi dei sistemi di videosorveglianza, di riconoscimento facciale, di utilizzo di droni e tecnologie indossabili con i loro sensori e della Internet degli Oggetti contribuisce ad arricchire queste biografie con informazioni, immagini e tracce che non vengono dalla Rete e dalle sue vite virtuali ma da quelle reali. Già oggi il semplice calco della nostra faccia può servire per associare un individuo alle sue azioni anche nel caso in cui avesse consapevolmente operato per non lasciare tracce digitali online. Senza farsi portatori di visioni distopiche, è facile prevedere le sorprese che ci riserverà il futuro tecnologico prossimo venturo.
Meglio riflettere e cominciare a preoccuparsi?
Il fatto che la maggioranza attuale di utilizzatori delle reti tecnologiche e dei nuovi media non si preoccupi della privatezza e sicurezza dei loro dati non significa che non ci si debba preoccupare. Servirebbe una riflessione ampia sul tema, una maggiore e più circostanziata informazione (ma dove è finita la Blogisfera? Ignorata da Google e da Facebook ma anche dagli utenti online!) e la richiesta di nuove leggi finalizzate a definire ambiti e regole per l’uso dei profili digitali delle persone online e dei loro dati. Ognuno dovrebbe avere il diritto di possedere e gestire il suo presente così come il suo passato e futuro senza avere paura delle molte ombre che hanno costellato la sua esperienza online. L’importante è essere consapevoli che la vita di una persona non può dipendere dalle fotografie che i loro genitori hanno pubblicato online quando era un infante o dai messaggi scambiati con WhatsApp e Instagram quando era adolescente, curioso, alla ricerca di se stesso e alle prime esperienze erotiche e sessuali.
Con l’evoluzione tecnologica attuale è facile prevedere che i nostri profili digitali vivano per sempre. Se così fosse l’unica speranza è che gli algoritmi dei Big Data del futuro siano incapaci o falliscano nel ricostruire profili e biografie! Verrebbe meno la possibilità di associare il profilo a una persona ma ci sarebbero comunque molti zombie e avatar in circolazione, di cui avere un po’ paura.