Sulla SEO Carlo Mazzucchelli , fondatore di SOLOTABLET ha intervistato Andrea Meregalli, Content e Seo Specialist.
Buongiorno, per iniziare ci vuole raccontare qualcosa di lei? A chi si rivolge con le sue attività e come vive l’era digitale che ha trasformato il mondo attuale?
Buongiorno Carlo e grazie per il suo interesse. Ho cominciato la mia attività come giornalista e con la Seo è stato un vero e proprio colpo di fulmine. Ho frequentato i primi corsi nel 2009. Mi è sembrata da subito un’evoluzione dell’attività di produzione del contenuto. Un volano oppure un “oggetto magico” ma sicuramente qualcosa di molto interessante.
Arrivo dunque alla Seo dal lato umanistico, dal contenuto, e non dalla parte tecnica. Ma nel mio cammino, per fortuna, ho incontrato molti “tecnici” con i quali condividere le reciproche competenze. Mi sono “ibridato” in fretta pur mantenendo una certa propensione per la cura delle parole, per il testo e per la sua architettura.
Oggi lavoro da freelance ma per il 70-75% del mio tempo sono Seo e Content Specialist per un’agenzia di marketing data driven che si chiama Digitools.
Vivo l’era digitale in maniera molto naturale. Del resto cos’è il digitale se non persone in carne e ossa che utilizzano una tecnologia
Di SEO si parla da molti anni. Nel tempo gli algoritmi di Google Search sono costantemente cambiati, in sintonia con gli obiettivi di business di Google. Quali sono secondo lei i motivi per cui oggi bisognerebbe investire in attività SEO? E perché la SEO è così importante?
Beneficiare di un’analisi Seo significa innanzitutto dotarsi di informazioni. Sapere cosa, come e quando le persone – persone in carne e ossa, dicevo prima – interrogano i motori di ricerca rispetto al proprio comparto è qualcosa che assomiglia molto per esempio a un’analisi di mercato. “Knowledge is power” diceva Ditocorto in una delle scene più belle in assoluto di Game of Thrones. E quindi solo dopo avere assunto potere, al netto di quanto appreso e dei tre capisaldi di ogni attività di marketing che si possa definire tale e cioè: obiettivo, budget e personas, si tracciano le eventuali operatività di questa indagine. Solo dopo si prendono le decisioni; che non saranno necessariamente in ottica Seo e magari non saranno nemmeno azioni sul web! Proprio perché il confine tra online e offline, se mai esistito, è del tutto azzerato.
Eppure tutto può partire da una buona indagine Seo: verticale, profonda, fatta e spiegata “bene”; che consideri tanto la parte semantica quanto quella tecnica, il comportamento di una comunità ma anche lo stato di salute del nostro sito. Le persone non si rendono conto delle criticità che interessano la loro proprietà web finché non vedono un’analisi di questo tipo.
Il Futuro dell’Influencer Marketing
Perché investire in Seo? Beh, dipende. Mi capita anche, per esempio, informazioni alla mano, di sconsigliare un investimento Seo. Perché no? Se ho davanti un cliente con determinate caratteristiche e obiettivi, fare Seo non sempre è la soluzione più efficace. Questo non significa che fare Seo sia un errore; non lo è mai. Significa piuttosto che le peculiarità di un progetto possono essere maggiormente funzionali ad altre leve di marketing, magari in grado di viaggiare a velocità diverse dalla Seo, che come sappiamo ha un incedere compassato, diciamo pure lento.
Infine, la Seo è varia e non lo si sottolinea mai abbastanza. Fare Seo per un sito informazionale non è la stesa cosa che fare Seo per un e-commerce, che a sua volta è diverso dal fare Seo per un brand noto, dal fare Seo per un’attività locale, per un comparto ultra competitivo o al contrario per una nicchia ben definita. Senza parlare delle considerevoli differenze tra i vari settori. Occorre avere chiaro cosa si può fare e cosa no.
Non tutti concordano sul fatto che la SEO risponda ai bisogni di chi vi investe e alle promesse in essa comprese. Molti sostengono di avere risultati buoni anche senza SEO. Cosa c’è di errato in queste scelte e comportamenti. Cosa direbbe a un potenziale cliente che manifestasse scetticismo e resistenza all’investire in questo tipo di pratiche?
Direi che ha ragione a manifestare scetticismo! Mi sembra un buon punto di partenza.
In realtà dipende da cosa si intende per promesse e, come dicevo prima, dalle caratteristiche e dalle aspettative del singolo progetto. Fare Seo non è la soluzione a tutti i mali e non ha mai preteso di esserlo. Al tempo stesso l’attività Seo è un balsamo lento ma costante che ottimizza lo stato di salute di un sito. Lo perfeziona, lo migliora, lo velocizza. E questo è un fatto. Esistono proprietà che non possono permettersi di ignorare il tema. Intendo dire che non possono avere un sito senza certificato di sicurezza, canonical sbagliati, errori di stato, sitemap e robots casuali, metadati così così, velocità ai minimi, immagini mute, contenuti fuori fuoco e via discorrendo. Non possono perché i concorrenti non lo fanno. E quelli che ancora se lo possono permettere (pochini) dovrebbero pensare a come assumere un vantaggio dalla situazione anziché accontentarsi dei risultati che stanno ottenendo. E sempre a proposito dei risultati ottenuti senza Seo: stai ottenendo il massimo possibile? Spoiler: no.
L’investimento è forse l’aspetto meno interessante, nel best case scenario è una conseguenza diciamo fisiologica e non una compravendita. Se c’è stata una corretta condivisione dell’obiettivo, delle Kpi e delle aspettative e c’è stata un’analisi preliminare fatta e spiegata “bene” l’investimento non deve essere visto con fatica, come una privazione, bensì come l’innesco di una prestazione che andrà a integrare i propri obiettivi e le proprie convenienze. L’importante è relazionarsi a carte scoperte da subito, con fiducia.
SEO, storytelling, social media marketing, SEM, ecc. Sono tante pratiche che sono emerse negli anni come utili per trasformare in digitale molti aspetti del business. Sono partiche che coinvolgono migliaia di operatori e professionisti. Come vede lei questo mercato in Italia? Non crede che ci sia un surplus di offerta e che molta di essa sia inadeguata? Non crede che anche la domanda sia altrettanto inadeguata?
Sono attività molto diverse tra loro. Ma il punto è che mentre ci lamentiamo di lavorare nella comunicazione scorre l’epoca d’oro delle narrazioni. Un paradosso che non smette di sorprendermi. Anche per questo motivo ho creato e brevettato uno strumento, si chiama Carte di B ed è un mazzo di 9 carte che lavora per archetipi narrativi. È un metodo che serve per preparare piani editoriali evoluti per il marketing e per essere sempre orientati nel capire “cosa” scrivere quando siamo chiamati a immaginare contenuti per aziende, brand, professionisti e progetti. La vera sfida non è “come” scrivere un contenuto, ma comprendere in che modo sviluppare le linee narrative giuste. La domanda non è “come” ma “cosa” scrivere. È un metodo che ho limato nel tempo e che applico ormai da un po’ con grandi soddisfazioni. Circa due anni fa ho deciso di teorizzarlo. Nel 2021 vedranno la luce un sito dedicato e una serie di servizi correlati.
Del resto mai come in questi anni esiste un pubblico interessato ad ascoltare storie ben raccontate (meglio se ascoltano la loro, di storia ben raccontata) e decine di ambienti iperpresidiati dove queste storie possono essere ospitate, veicolate e moltiplicate.
Certo, il rumore di fondo cresce sempre di più.
Ma c’è una domanda. E ci sono anche un mercato e un’offerta. Non mi preoccuperei troppo se davvero fosse un’offerta inadeguata. Anzi, forse dovrei esserne contento. Ma a mio avviso non lo è. Così come non è inadeguata la domanda.
Infine una domanda filosofica. Praticando un’attività volta a soddisfare gli algoritmi non le sembra di contribuire alla costruzione di una realtà dominata dalle macchine? E’ come se ci si adeguasse al codice straniero che fa funzionare gli algoritmi e decide per noi cosa sia bene e male, cosa si debba comperare e quando, ciò che conviene pubblicare o meno, come va scritto e quanto deve essere esteso, ecc. Come professionista lei non si pone mai domande di questo tipo?
Direi di no. Vedo la questione da tutt’altra prospettiva. Del resto non ho mai pensato di soddisfare gli algoritmi.
Google, per esempio, criticabilissima per molti aspetti, funziona come un circolo virtuoso per altri. Per esempio mostra i migliori contenuti possibili quando qualcuno interroga il motore di ricerca. I migliori contenuti possibili significa che mira a soddisfare completamente la richiesta dell’utente, la sua intenzione, selezionando il meglio che riesce a scandagliare sul web. S
e Gerry Scotti diceva “only the brave”, Google dice “only the best”. E questo significa che per essere “bravi su Google” dobbiamo capire le persone, prevedere le loro esigenze e soddisfare le loro necessità. E intendo problemi, esigenze e necessità di persone con nasi, bocca, occhiali, peli, capelli e dita dei piedi. Gli algoritmi in tutto questo ecosistema sono semmai un mezzo e non certo il fine. Anche se pure loro vogliono essere felici. E allora torniamo ai crismi che deve avere la parte tech di un sito. Ma lo facciamo per gli algoritmi o per avere un sito in salute, la cui navigazione renda felici e soddisfatti gli homo sapiens di tutto il mondo?
Per terminare e ringraziandola vuole aggiungere altro?
Sono io a ringraziarla.
Aggiungo solo la mia mail: meregalli.andrea@gmail.com.
Ci tengo particolarmente dal momento che detengo un record imbattuto nella storia del web: rispondo a tutti.