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Tecnologie: attenti alla visione distorta

Tecnologie: attenti alla visione distorta

06 Novembre 2025 Gian Carlo Lanzetti
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Gian Carlo Lanzetti
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Quando si decidono investimenti bisogna sempre più a porre attenzione a non fare l’errore di usare la tecnologia come il fine anziché il mezzo con investimenti significativi ma ritorni spesso deludenti o persino inesistenti. In sintesi, le tecnologie vengono applicate indiscriminatamente, come se avessero il potere di scovare da sole il problema da risolvere e ogni problema aziendale avesse bisogno di una medesima ricetta tecnologica.

Per Romeo Scaccabarozzi, Amministratore Delegato di Axiante uno degli errori più diffusi è l'approccio "Technology-first" che spinge le organizzazioni per esempio a implementare l'AI sulla spinta degli azionisti o un Data Lake perché "tutti ne parlano" oppure una Customer Data Platform perché “i competitor ce l’hanno”. In altre parole è la visione distorta che porta a inseguire le tendenze tecnologiche senza la premessa fondamentale: l’individuazione e comprensione del problema da risolvere.

Questo approccio – molto più diffuso di quanto si possa pensare – affonda le radici in diverse dinamiche. Innanzitutto, come già evidenziato, l'assenza di obiettivi strategici chiari, quindi anziché chiedersi "Quali problemi frenano le performance?", “Quale processo dobbiamo rinnovare per raggiungere gli obiettivi”, le imprese si domandano "Come possiamo usare questa tecnologia?". A ciò si aggiunge la paura di “rimanere indietro” che spinge molti decision maker ad approcciare l’innovazione come sinonimo di cambiamento tout court.

Non sorprende quindi che si parli sempre più insistentemente anche di un rischio "bolla speculativa" sull'AI

Mezzo non fine

Questo approccio trasforma l'innovazione in un esercizio di stile, dove la tecnologia diventa il fine anziché il mezzo e si traduce in investimenti significativi ma ritorni spesso deludenti o persino inesistenti. Ne sono un chiaro esempio: progetti pilota che non scalano mai, dashboard che nessuno consulta, modelli di AI agentica che risolvono problemi inesistenti. Non è raro che, sulla spinta dell’approccio “Technology-first", le aziende investano in soluzioni sofisticate per automatizzare processi marginali, mentre i veri colli di bottiglia organizzativi e operativi rimangono esclusi oppure procedano appoggiandosi a infrastrutture obsolete e dataset poveri in termini sia quantitativi che qualitativi.

In sintesi, le tecnologie vengono applicate indiscriminatamente, come se avessero il potere di scovare da sole il problema da risolvere e ogni problema aziendale avesse bisogno di una medesima ricetta tecnologica.

 

Il conto da pagare 

Questa approssimazione nella selezione dei casi d’uso genera conseguenze concrete: non solo budget sprecati ma anche team demotivati e soprattutto, board deluso e credibilità erosa. Quando un progetto di Digital Transformation fallisce, raramente l'organizzazione capisce e ammette che ha sbagliato a individuarne la destinazione d’uso, più frequentemente sviluppa scetticismo verso quella soluzione. Si crea così un pericoloso circolo vizioso dove l'innovazione diventa sinonimo di rischio anziché di opportunità.

Con l'avvento e lo sviluppo dell'AI, questo fenomeno è ancora più evidente. Quante aziende hanno investito massicciamente in queste soluzioni — implementando sistemi complessi, costruendo infrastrutture costose, formando team specializzati — senza prima aver definito con chiarezza quali obiettivi strategici dovevano raggiungere con il supporto dell’AI e quali processi dovevano trasformare? Non sorprende quindi che si parli sempre più insistentemente anche di un rischio "bolla speculativa" sull'AI.

 

I passi di un’efficace selezione

Il ricorso ai casi d’uso è quindi consigliato.

Una loro selezione strategica richiede che l'innovazione sia l'abilitatore dell'azione, non il punto di partenza: prima della tecnologia deve venire l’individuazione del problema da risolvere o dell’opportunità da cogliere, e, ancor prima, la strategia.

In particolare,per Scaccabarozziper individuare quelli più efficaci è necessario seguire un approccio strutturato che tocchi alcuni passaggi fondamentali, tra cui:

 

  1. Definire gli obiettivi di business

Prima di qualsiasi considerazione tecnologica, serve chiarezza sugli obiettivi di business: aumento della produttività? Miglioramento dell'esperienza del cliente? Riduzione dei costi? Accelerazione del time-to-market? Aumento dell'efficienza operativa? Solo dopo è possibile valutare se un caso d’uso contribuisce davvero alla strategia aziendale e stimare (e poi calcolare) in che misura lo fa, individuando metriche e KPI precisi con target misurabili;

  1. Valutare la maturità organizzativa

Una valutazione rigorosa della maturità organizzativa è fondamentale per evitare fallimenti. Un caso d’uso tecnologicamente avanzato applicato a un'organizzazione non pronta è destinato a non funzionare, tanto quanto la tecnologia applicata al processo sbagliato. Bisogna chiedersi: abbiamo i dati necessari? I processi sono sufficientemente strutturati? Le persone sono preparate e pronte al cambiamento? L'infrastruttura può supportare l'innovazione?

  1. Analizzare pro e contro

È necessario valutare anche l'impatto potenziale rispetto alla complessità di implementazione. In questa prospettiva, i casi d’uso ideali non sono necessariamente quelli più ambiziosi, bensì quelli incrementali, perché generano il miglior rapporto tra valore creato e risorse ed energie investite. Questo approccio pragmatico consente di ottenere risultati tangibili in tempi ragionevoli, costruendo gradualmente le competenze e la fiducia dell'organizzazione nell'innovazione;

 

 

 

 

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