Mai profetizzare la fine di qualcosa
Uno dei grandi vantaggi dell'era digitale è che sono scomparsi dai giornali quegli articoli piagnucolosi e saccenti che prevedevano l'imminente morte della scrittura. Il tema, casomai, è mutato: come scriviamo male. Devo dire che è vero. L'esercizio, infatti, nel caso della scrittura, non sviluppa l'organo, come in altri casi.
Ma credo che insistere sulla bassa qualità della scrittura sia inutile se restringiamo il campo di osservazione alla scrittura dei blog e dei social (come Facebook). Infatti, ci sono due questioni ben più rilevanti da affrontare al riguardo.
Il blog, ovvero Lo spazio per chi non ha spazio
Le piattaforme blog hanno azzerato la necessità, per qualsiasi autore, di sottoporre il proprio scritto a un processo editoriale. Pubblicare un articolo stampato, un libro (ma anche un film o un disco) richiede ancora oggi che qualcuno lo legga e lo valuti positivamente, che qualcuno investa per stamparlo, che qualcuno spenda qualche soldino per comprarlo. Solo al termine di un processo di questo tipo, e termine positivo, l'autore diventa un autore.
Le piattaforme blog fanno diventare chiunque un autore, a costo zero. Il che ha i suoi bravi aspetti positivi, accanto a quelli negativi, dei quali ne cito uno solo: che è cresciuta a dismisura la produzione di contenuti (il che ingombra il web). Nella quantità spesso di bassa qualità, vi sono però dei contenuti buoni e utili, alcuni dei quali, spinti dal gran numero di lettori, alimentano il dibattito e costringono in qualche caso il mondo dell'informazione (e più raramente della scienza e dell'arte) a tenerne conto.