Tecnobibliografia /

La questione dei nomi delle professioni al femminile

La questione dei nomi delle professioni al femminile

13 Dicembre 2020 Redazione SoloTablet
SoloTablet
Redazione SoloTablet
share
Segnaliamo un articolo di Vera Gheno, autrice di Potere alle parole e di numerosi altri libri, tutti incentrati su una riflessione sulla lingua italiana. Una riflessione che passa in rassegna le abitudini linguistiche degli italiani evidenziando le situazioni nelle quali potrebbero ritrovarsi facilmente. Con il suo lavoro la Gheno aiuta a comprendere come la vera libertà di una persona passa dalla conquista delle parole. Anche declinate al femminile. Sulle parole al femminile, sul loro utilizzo o non utilizzo Vera Gheno ha scritto un articolo esaustivo in termini di spunti di riflessione, suggestioni linguistiche e semantiche, critiche alla cattive pratiche e suggerimenti di nuove buone pratiche.

Recentemente, sui media si è parlato molto dell’elezione di Antonella Polimeni a rettrice dell’Università La Sapienza di Roma e della direzione della partita di Champions League Juve vs. Dinamo Kiev del 2 dicembre 2020 da parte dell’arbitra Stéphanie Frappart. Al di là della rilevanza dei due eventi, una parte della discussione pubblica ha, come di consueto, riguardato i nomina agentis, ossia i nomi di agente: declinarli o meno al femminile? Antonella Polimeni è Magnifico Rettore, Rettore donna o Magnifica Rettrice? Stéphanie Frappart è arbitro, arbitro donna o arbitra? La risposta, Zingarelli alla mano (dato che è il dizionario che più di tutti fa attenzione a riportare il maggior numero possibile di femminili professionali, e lo fa sin dal 1994) è che le forme corrette sono rettrice (peraltro già usato da altre rettrici di importanti atenei italiani) e arbitra. Aggiungo che nessuno dei due è un neologismo: già in latino esistevano le coppie rector/rectrix e arbiter/arbitra, che nel corso dei secoli hanno subito ovvi slittamenti semantici, ossia cambiamenti di significato.

CONSIGLIATO PER TE:

Hegel e il cervello postumano

La risposta, dunque, sembra semplice; eppure, sui social network – e non solo – ho letto moltissime discussioni, talvolta anche dai toni estremamente accesi, sull’opportunità o meno di impiegare questi femminili. Per cercare di risultare utile contemporaneamente a chi desidera avere delle risposte da fornire ai detrattori e alle detrattrici e a chi invece non è convinto della bontà o correttezza dei nomina agentis declinati al femminile, ecco una lista delle obiezioni più comuni assieme ad alcune possibili risposte o suggerimenti per comprendere meglio la questione. Ho scritto un intero libro su questo tema, alla cui consultazione rimando nel caso si volesse approfondire: Femminili singolari (2019, EffeQu).

Leggi anche >> Il difficile dibattito in Italia per un linguaggio inclusivo

1. “I femminili sono cacofonici”

L’obiezione della cacofonia, ossia del suonar male (spesso: “Non si possono sentire”), è forse quella sollevata più spesso. Al di là del fatto che ogni persona ha i suoi gusti, perfino in fatto di parole, osserviamo che nella lingua che usiamo tutti i giorni la cacofonia o l’eufonia delle parole non ha nessuna rilevanza: usiamo i termini che ci servono, non quelli che ci suonano. Isterosalpingectomiatransustanziazionecaldaistapantomimagestazionebrocca sono tutte parole che alle orecchie di qualcuno possono suonare sgradevoli; ciò non toglie che le usiamo senza alcuna remora quando ne abbiamo bisogno. La questione del suono può diventare rilevante se stiamo scrivendo un testo letterario o componendo una poesia – o magari il testo di una canzone – ma non riguarda l’ambito dell’uso. Soprattutto, nessuna parola è mai stata “vietata” perché cacofonica. E poi, se maestra non è cacofonico, perché dovrebbe esserlo ministra? Insomma, se non ti piace il suono di una parola, puoi cercare di evitare di usarla. Ma questo non la rende meno “reale”.

2.“Ministra ricorda minestraarchitetta è troppo vicino a tetta, fa ridere”

Il giochetto delle assonanze è divertente, ma non dirimente. Siamo pieni di parole che ne ricordano altre, magari comiche, volgari o disdicevoli, ma che usiamo lo stesso senza grossi problemi. Oppure, magari ci facciamo pure una risata sopra, ma ciò non ci impedisce di impiegarle: fallo calcisticopalle da tennispene d'amoresfigatotettonica a placchestronzio (l'elemento chimico), cavallo di Troiazoccoli di legnobeneficaretto camminocazzuolascazzareseno e cosenoculatello di Zibelloprocesso penalepompa e sovrapompapiselli (sgranati), bocchino per sigarettecazzottola penuriai membri della commissioneil rinculo dell'armala cappella Sistina. A proposito: architetta forse strappa qualche risata, ma vi consiglio di seguire RebelArchitette affinché la parola acquisti un sapore decisamente diverso.

 

...per completare la lettura dell'articolo su Valigiablu.it

comments powered by Disqus

Sei alla ricerca di uno sviluppatore?

Cerca nel nostro database