Google si è affermato negli ultimi anni come uno dei principali punti di accesso a Internet.
Ci siamo adattati progressivamente alla sua interfaccia sobria e rassicurante, alle inserzioni pubblicitarie defilate ma onnipresenti; abbiamo adottato i suoi servizi e l’abitudine al suo utilizzo si è trasformata ormai in comportamento: “Se non lo sai, chiedilo a Google”. Google ha saputo sfruttare magistralmente il nostro bisogno di semplicità.
Le machine al lavoro, gli umani senza lavoro felici e contenti!
Eppure ci troviamo di fronte a un colosso, un sistema incredibilmente pervasivo di gestione delle conoscenze composto da strategie di marketing aggressivo e oculata gestione della propria immagine, propagazione di interfacce altamente configurabili e tuttavia implacabilmente riconoscibili, cooptazione di metodologie di sviluppo del Free Software, utilizzo di futuribili sistemi di raccolta e stoccaggio dati.
Il campo bianco di Google in cui inseriamo le parole chiave per le nostre ricerche è una porta stretta, un filtro niente affatto trasparente che controlla e indirizza l’accesso alle informazioni. In quanto mediatore informazionale Google si fa strumento di gestione del sapere e si trova quindi in grado di esercitare un potere enorme.
Cosa si nasconde dietro il motore di ricerca più consultato al mondo? Quello che da molti era stato definito e osannato come il miglior strumento per districarsi tra le maglie di Internet, pare celare molti segreti ai suoi utenti.
Si va dalla scansione delle e-mail del servizio Gmail alla indicizzazione proposta da Google che sembra in realtà non dare tutte le risposte richieste dall’utente, fino a ipotesi di violazione della privacy collettiva.
Criticare Google attraverso una disamina della sua storia, la decostruzione degli oggetti matematici che lo compongono, il disvelamento della cultura che incarna significa muovere un attacco alla tecnocrazia e alla sua pervasività sociale.