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Oltre il nichilismo. L’attualità di Camus, filosofo del futuro

Oltre il nichilismo. L’attualità di Camus, filosofo del futuro

26 Agosto 2015 Fiammetta Cioè
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Fiammetta Cioè
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Camus non smise mai di leggere Nietzsche. Nel suo piccolo appartamento in rue Chanaleilles a Parigi, tra montagne di libri, spiccavano i ritratti di Tolstoj, Dostoevskij e quello di Nietzsche, oltre a quello dell’amatissima madre (nota 1). Dirà che deve tutto quel che è a Nietzsche, come lo deve a Tolstoj e a Melville. Lo citerà nel Discorso che tenne in occasione dell’assegnazione del premio Nobel per la letteratura nel 1958. Venuto a mancare ogni riferimento oggettivo in grado di giustificare la finitezza della vita, può l’uomo arginare il nichilismo che inevitabilmente sopraggiunge? E il nichilismo nietzschiano è potente e rivoluzionario.

Definisco il cristianesimo l’unica grande maledizione, l’unica grande e più intima depravazione, l’unico grande istinto della vendetta, per il quale nessun mezzo è abbastanza velenoso, furtivo, sotterraneo, meschino - lo definisco l’unica immortale macchia d’infamia dell’umanità. Computiamo il tempo da quel dies nefastus con cui ebbe inizio questa fatalità - dal primo giorno del cristianesimo! -E perché non invece dal suo ultimo giorno? Da oggi? - Trasvalutazione di tutti i valori! [...]”(nota 3).

In ambito giuridico il nichilismo elabora una concezione della legge intesa come strumento del più forte, eliminando la sostanziale differenza tra un fatto giuridico, non ‘qualificato’ esistenzialmente, e un atto giuridico, così qualificabile perché espressione di una libera scelta dell’uomo (nota 4).

Il nichilismo di Nietzsche

Sul nichilismo di Nietzsche occorre operare una distinzione tra nichilismo attivo e passivo.

Il primo si configura come emanazione del pessimismo, un insieme di disgusto e nostalgia. Per Nietzsche si tratta di un nichilismo imperfetto, passivo, che si limita a prendere atto della decadenza dei valori, abdicando completamente alla volontà. Può condurre a diversi esiti, tra questi il più minaccioso è quello che porta alla sostituzione di Dio con idoli falsi e illusori, linfa vitale di fanatismi e totalitarismi.

Il nichilismo passivo ha però carattere transitorio. Nietzsche teorizza infatti l’avvento del nichilismo attivo, che non capitolerà di fronte al nulla come quello passivo, ma recherà con sé la speranza del superamento della decadenza. Non si accontenterà di assistere alla sconfitta dei falsi ideali (socialismo, cristianesimo), li smaschererà annunciando il tramonto dell’uomo e l’avvento di nuovi valori. La ‘trasvalutazione di tutti i valori’ annuncia l’avvento di un nuovo protagonista sulla scena del mondo, il superuomo, colui cioè che ‘governerà’ il mondo.

 

Nietzsche è effettivamente quanto riconosceva di essere: la coscienza più acuta del nichilismo. Il passo decisivo che egli ha fatto compiere allo spirito di rivolta ha consistito nel farlo saltare dalla negazione dell’ideale alla secolarizzazione dell’ideale. Poiché la salvezza dell’uomo non si fa in Dio, deve farsi sulla terra. Poiché il mondo non ha direzione, l’uomo, dal momento che accetta, deve dargliene una che faccia capo a un’unità superiore. Nietzsche rivendicava la direzione dell’avvenire umano. Ci sta per toccare in sorte il compito di governanti della terra. E altrove: S’avvicina il tempo in cui si dovrà lottare per il dominio della terra e questa lotta sarà condotta in nome di principi filosofici. Annunciava così il ventesimo secolo. Ma se l’annunciava, era perché aveva avvertito la logica interiore del nichilismo e sapeva che uno dei suoi termini era l’impero. Con ciò, preparava egli stesso quest’impero” (Nota 5).

Dio è morto! L’uomo si trova ora di fronte ad un quesito fondamentale: chi potrà sostituirlo? Ed è qui che Nietzsche eleva l’uomo a “superuomo”, ovvero l’uomo eguaglierà in “potenza” lo stesso Dio. Per il filosofo tedesco l’ubermensch è colui che viene dopo l’uomo, nella sua successiva evoluzione parallela all’accettazione integrale della vita terrena, al rifiuto di ogni qualsiasi tipo di sofferenza (Nota 6).

Non si può però giustificare l’ingiustificabile.

Con il Mito di Sisifo emerge chiaramente la volontà di Camus di circoscrivere il suo agire filosofico all’interno della categoria della ragionevolezza, come fu per Nietzsche, anch’egli cercherà di non ricorrere a pretestuose verità trascendentali per cercare di giustificare ciò che è inspiegabile. L’uomo cerca invano di interagire con il mondo e di allontanare quel senso dell’assurdo che minaccia la sua esistenza (Nota 7).

Il no al nichilismo e la ricerca del “senso” esistenziale

Il carattere paradossale dell’assurdità della vita appare in tutta la sua evidenza: l’uomo e il mondo sono inconciliabili, ma proprio l’assurdità di questa inconciliabilità rappresenta l’unico legame a loro riconducibile. Dio è morto e con lui la prospettiva ultraterrena di una vita oltre la morte che poteva giustificare la finitudine terrena. Come uscire allora da questo stallo esistenziale? (Nota 8).

Le tre vie di Camus 

Camus individua tre vie: accettare di vivere nell’assurdità, rompere le catene dell’assurdità e andare oltre, oppure, ultima possibilità, scegliere la morte (Nota 9).

Ma il suicidio non risolve il problema dell’assurdo, lo sopprime facendo precipitare l’uomo nel nulla che lo ha angosciato in vita (Nota 10).

Quella sul senso della vita è la più urgente delle domande per Camus: la vita potrà essere vissuta? É qui che egli si distacca da Nietzsche. Zarathustra è il profeta dell’oltreuomo, ovvero di qualcuno che ancora non c’è, Sisifo è al contrario l’uomo in tutta la sua immediatezza e quotidianità (Nota 11).

Nietzsche ha sostituito l’ultraterreno con ciò che ancora non c’è, la sua filosofia ha una valenza teorica fondamentale ma pecca di praticità: non possiamo sostituire al Dio cristiano l’oltreuomo che verrà (Nota 13). Camus nel Mito di Sisifo rilegge l’eterno ritorno nietzschiano. Sisifo è l’eroe assurdo, in preda alle passioni e al tormento e per questo condannato all’indicibile supplizio. Giunto alla vetta del monte, sfinito dal disumano sforzo compiuto, egli vede l’enorme pietra rotolare nel mondo inferiore e ricomincia a discendere al piano.

È durante questo ritorno che Sisifo mi interessa. Un volto che patisce tanto vicino alla pietra, è già pietra esso stesso! Vedo quell’uomo ridiscendere con passo pesante, ma uguale, verso il tormento, del quale non conoscerà la fine. Quest’ora, che è come un respiro, e che ricorre con la stessa sicurezza della sua sciagura quest’ora è quella della coscienza. In ciascun istante, durante il quale egli lascia la cima e si immerge a poco a poco nelle spelonche degli dei, egli è superiore al proprio destino. È più forte del suo macigno. Se questo mito è tragico, è perché il suo eroe è cosciente. In che consisterebbe, infatti, la pena, se, a ogni passo, fosse sostenuto dalla speranza di riuscire? "(Nota 14).

Nonostante tutto Sisifo è felice. Eccola la risposta di Camus all’assurdità della vita. Il suo è un eroe assurdo ma felice, perché vive e accetta la propria condanna, e tale presa di coscienza avviene mentre egli ridiscende dalla vetta. Camus lascia Sisifo ai piedi della montagna: “anche la lotta verso la cima basta a riempire il cuore di un uomo. Bisogna immaginare Sisifo felice”.

“’Bisogna immaginare Sisifo felice’ è l’affermazione più dirompente dell’intero percorso filosofico- giuridicoletterario di Camus: Sisifo, l’eroe assurdo, domina la sua tragedia; l’uomo mortale, assurdo, gestisce la tragicità della propria esistenza attraverso la presa di coscienza di quell’assurdo che si manifesta fenomenologicamente anche nel diritto. Da qui nasce la definizione dell’assurdo inteso come continuo presupposto di una dialettica rivoluzionaria, in nuce è presente una lotta senza sosta” (Nota 12).

L’uomo di Camus però è stanco, il nichilismo si aggira insidioso e minaccioso tra le trame dell’umanità. Venute a mancare le “certezze consolatrici” ci si trova difronte ad un bivio: abbandonarsi e lasciarsi sopraffare dal nichilismo o ribellarsi combattendo attraverso la rivolta (Nota 13). Con Mersault Camus afferma in maniera esplicita il nichilismo del reale e, parallelamente, la sua estraneità ad esso. Ne prende coscienza, prima d’allora aveva vissuto questo sentimento inconsapevolmente, non per sua volontà.

La morte di Dio apre agli scenari più vari.

Uno di questo è l’avvento di un sapere meccanico, imposto da leggi matematiche, viene a mancare qualsiasi tipo di morale, la ‘legalità’ subentra alla ‘giustizia’. Una volta affermatosi il nichilismo nulla ha più senso, la ricerca del ‘giusto’ è superflua, fine a sé stessa: “ogni nichilismo considera priva di senso la discussione sulla giustizia(Nota 14) [...]”. Il diritto si riduce ad una mera forma, non troviamo la spiegazione del perché ma soltanto del come: “mistificazione degli atti nei fatti”. Se nulla ha più senso la condizione in cui si trova l’essere umano è ‘al di là del bene e del male (Nota 15).

Sarà L’uomo in rivolta a guardare finalmente oltre il nichilismo e ad affermare che «lo strano amore» che anima la sua rivolta è finalizzato esclusivamente alla felicità presente (Nota 16).
Assunta la dimensione finita dell’esistenza umana, e dopo aver scacciato la sacra trascendenza dal destino dell’uomo e del mondo, Camus non si è lasciato sconfiggere da essa, al contrario, la consapevolezza di tale condizione lo ha condotto alla rivolta, solitaria ma solidale, contro ogni forma di nichilismo e a favore di ogni forma di libertà.

Lui è il pensatore dell’immanenza radicale, il ‘filosofo del futuro’, per usare le parole di Paolo Flores d’Arcais.

Nei momenti più oscuri del nostro nichilismo, ho cercato soltanto la ragione per superare quel nichilismo. E non per virtù, né per rara elevatezza, ma per istintiva fedeltà a una luce in cui sono nato e dove gli uomini hanno imparato da millenni a salutare la vita anche nella sofferenza” (Nota 17).

In questa frase è raccolta tutta la filosofia di Albert Camus, diagnosticare il nichilismo europeo, volerlo superare per mezzo d’una filosofia dell’affermazione, pensare al di là del bene e del male, possedere il senso della terra e la memoria viscerale d’una luce d’infanzia, inserirsi in una luce ancestrale, acconsentire alla vita persino nella sua negatività. Chi non sente in questo il canto d’uno Zarathustra venuto d’Algeria?” (Nota 18)

Civiltà tecnologica e nichilismo

La civiltà tecnologica contemporanea alimenta e potenzia il nichilismo, e quello che dice Camus è quanto mai attuale. L’essere umano è soggiogato completamente dal progresso tecnologico, si nutre di quella volontà di potenza, geneticamente riferibile alla tecnica stessa, che supporta e consola (illusoriamente) l’uomo nell’accettare l’orizzonte della sua finitudine.

A pensarci bene l’uomo non è spinto più da alcun movimento di ‘rivolta’, non è più interessato a circoscrive e a ‘problematizzare’ il fenomeno reale; la condizione assurda, descritta da Camus, si è subdolamente infiltrata in ogni ambito della umana creatività. Per l’essere umano, ormai ingranaggio di quel sistema tecnico’ di elluliana memoria, è reale tutto ciò che è calcolabile. Scientificamente parlando, il fenomeno diritto viene assorbito dal fenomeno tecnico, ed è disciplinato da un linguaggio segnico numerico.

Il nichilismo avanza implacabile e prende il sopravvento in ambito giuridico. Il diritto si adegua al progresso tecnologico, ormai endemicamente e capillarmente dilagante.

La tecnica non è soggetta ad alcun giudizio, si situa al di là del bene e del male.

L’uomo ha idealizzato la rete, attraverso di essa si illude di poter accedere ad una verità assoluta e, allo steso tempo, di essere portatore di una libertà assoluta di pensiero, da sempre rivendicata. Tale illusione è il vero grande bluff della tecnologia.

È accaduto esattamente il contrario, la quantità smisurata e incontrollata dei dati lasciati in rete dall’uomo- utente ha reso possibile un tale controllo che nessun regime totalitario era riuscito a mettere in pratica. Il sistema tecnico diventa la gabbia della società contemporanea.

Il diritto arriva ancora una volta impreparato, dobbiamo ri-percorrere la strada tracciata da Camus e affidarci alla sua rivolta, solitaria ma solidale.

Io mi rivolto, dunque siamo!

 

 

NOTE

Nota 1 H. LOTTMAN, Camus, Milano, 1984, p. 505.
2 Je dois à Nietzsche une partie de ce qui je suis, comme à Tolstoj et à Melville. Prefazione al libro di K. BIEBER, L'Allemagne vue par les écrivains de la résistance française.
3 F. NIETZSCHE, L’Anticristo – Maledizione del cristianesimo, Milano, 1977, pp. 96-97.
4 B. ROMANO, Nietzsche e Pirandello. Il nichilismo mistifica gli atti nei fatti, cit., p. 17.

5 A. CAMUS, L’uomo in rivolta, Bompiani, Firenze, 2017, p.90.
6 F. NIETZSCHE, Così parlò Zarathustra. Un libro per tutti e per nessuno, cit., pp. 60-62.
7 “É dunque con fondamento che dico che il senso dell’assurdo non nasce dal semplice esame di un fatto o di un’impressione, ma scaturisce dal paragone fra uno stato di fatto e una certa realtà, fra un’azione e il mondo che la supera. L’assurdo è essenzialmente un divorzio, che non consiste nell’uno o nell’altro degli elementi comparati, ma nasce dal loro confronto. Nella fattispecie e sul piano dell’intelligenza, posso dunque dire che l’Assurdo non è nell’uomo (se una simile metafora potesse avere un senso), e neppure nel mondo, ma nella loro comune presenza. Per il momento è il solo legame che li unisca”. A. CAMUS, Il mito di Sisifo, Bompiani, Firenze, 2017, pp. 29-30.
8 Ivi, p. 11.
9 A. Camus, Il mito di Sisifo, cit., p. 5.
10 A. Camus, Il mito di Sisifo, cit., p. 30.

11 A. CAMUS, Il mito di Sisifo, cit., pp. 91. 13 A.
CAMUS, Il mito di Sisifo, cit., p. 9 14 Ivi, p. 119.
12 L. AVITABILE, Fenomenologia della legge in Albert Camus, cit., p.8. 

13 A. CAMUS, Lo Straniero, cit., p. 154.

14 B. ROMANO, La funzione del nichilismo giuridico nel nichilismo finanziario, Rivista di filosofia del diritto, 2/2012.
15 B. ROMANO, Nietzsche e Pirandello. Il nichilismo mistifica gli atti nei fatti, cit., p. 40.
16 “Si comprende allora che la rivolta non può fare a meno di uno strano amore. Coloro che non trovano quiete né in Dio né entro la storia si dannano a vivere per quelli che, come loro, non possono vivere; per gli umiliati [...] La rivolta, con questo, prova di essere il moto stesso della vita, e non la si può negare senza rinunciare a vivere. Il suo grido più puro, ogni volta, suscita un essere. È dunque amore e fecondità, o non è niente [...] Allora, quando la rivoluzione, in nome della potenza e della storia, si converte in meccanismo omicida e smisurato, diviene sacra una nuova rivolta, in nome della misura e della vita. Siamo a questo estremo. In fondo alle tenebre avvertiamo già l’inevitabile luce e non ci resta che lottare perché sia. Al di là del nichilismo, noi, tutti, tra le rovine, prepariamo una rinascita. Ma pochi lo sanno”A. CAMUS, L’uomo in rivolta, cit., pp. 332-333.
17 A. CAMUS, L’estate e altri saggi solari, 2003, p. 90.
18 M. ONFRAY, L’ordine libertario: vita filosofica di Albert Camus, cit.

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