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Ipoteche sul futuro

Ipoteche sul futuro

10 Ottobre 2014 Antonio Fiorella
Antonio Fiorella
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Stiamo scivolando in un futuro aperto a scenari apocalittici. C’è già chi scommette, se non arriverà prima l’apocalisse, che entro il 2050 dovremo comunque farci da parte. “Qualsiasi cosa ci renda umani, come il genoma o le funzioni cognitive, verrà mappata e resa virtuale dai computer [...] I nostri meccanismi non biologici avranno la meglio, mentre quelli biologici verranno meno. La coscienza, in quanto tale, sarà il risultato di una precisa combinazione di microchip e nanobot”.

Nel frattempo ciò che conosciamo come pensiero “umano” avrà già cessato di esistere.

Dal canto loro i giovani, nel preferire i social network alla propria privacy, hanno già compiuto una scelta verso un “futuro meno privato e quasi telepatico, in cui le persone conosceranno comunque l’una i pensieri dell’altra”.

Douglas Rushkoff sembra non nutrire dubbi. Nel suo libro Presente continuo, descrive una umanità immersa in una dimensione onirica che ha travolto i confini tra presente e passato. Ed è pronta ad accogliere il nuovo acriticamente senza troppo rendersene conto.   Quando tutto accade ora viene meno lo sviluppo narrativo del racconto. E l’essenza di ciò che siamo stati.

Ursula K. Le Guin, scrittrice di fantascienza, sostiene che le storie - da Rapunzel e Guerra e Pace - sono tra i più importanti strumenti prodotti dalla mente per comprendere la realtà. Benché alcuni popoli non abbiano conosciuto la ruota, hanno appreso e tramandato storie ai propri discendenti. 

Ma ora sembra che tutto ciò che eravamo (o avevamo acquisito) stia per diventare acqua passata. La linearità del racconto faceva sì che si dovesse dipendere dal narratore, il quale aveva il potere di provocare tensione, trovare vie d’uscita, motivare percorso, svolte ed esito finale. Anche i prodotti venivano pubblicizzati alla stessa maniera. Prima del telecomando il pubblico televisivo non aveva alternative. Subiva la medesima “coercizione del parrocchiano” che, immobile tra i banchi di chiesa, doveva ascoltare fino in fondo la predica del sacerdote officiante la messa.

Perfino i notiziari, dispensati ad orari ben stabiliti, trasformavano i fatti del giorno in storie. D’altronde era una modalità che veniva insegnata alla scuola di giornalismo.

I videogiochi, i reality show hanno rotto gli schemi. Messo da parte il copione, si è lasciato libero sfogo alla partecipazione e all’improvvisazione. In una parola, al presente. Quando i produttori si sono accorti di poter fare a mano degli sceneggiatori e degli attori, la narrativa lineare ha subìto un collasso epocale.

E dato che la narrazione di tv, film e libri non funziona più come prima, hanno preso il sopravvento i videogiochi, coinvolgendo i partecipanti, lasciando loro la possibilità di comunicare tramite le proprie esperienze.

James Carse, storico delle religioni, aveva elaborato il concetto di giochi infiniti molto tempo prima dell’avvento dei videogiochi. La narrazione nei giochi finiti porta alla conclusione di determinare vincenti e perdenti. Carse nel promuovere i giochi infiniti, accantonava l’idea di “combattere gli uni contro gli altri”, proponeva invece l’aiuto reciproco per favorire con esso la possibilità di godersi il presente.

I god game sono giochi di simulazione, strategici, dove i giocatori possono creare e gestire una città, una fattoria, un ambiente. Questi giochi, nel trattare di volta in volta salute pubblica, violenza, etica, ecc. aiutano a misurarsi con lo shock del presente.

Tale approccio nell’ambito della politica aiuta a scavalcare quei movimenti caratterizzati dal “fine che giustifica i mezzi”. Occupy Wall Street non è tra questi. In quanto movimento aperto alla riflessione collettiva, ha un approccio flessibile, accumula idee su idee, prende nota di ogni considerazione. Non ha obiettivi dichiarati che una volta raggiunti portano a qualche destinazione prefissata. E’ piuttosto una tavola rotonda dove si scambia la conoscenza. ”E’ un approccio scomodo e imprevedibile, ma coerente con i valori di panorama post-narrativo [...] Si tratta della traduzione concreta della sensibilità peer-to-peer della rete”.

Il calendario aveva posto un ordine all’avvicendarsi delle stagioni, aveva mappato l’anno solare, e dato la centralità a Dio. L’orologio, nel suddividere la giornata, dava priorità all’operato. Da ora et labora siamo così passati ai metodi tayloriani applicati al lavoro. Il presente continuo può fare a meno del richiamo all’efficienza dettato dal “tizio nell’ufficio ai piani alti”. Ci pensa il palmare che abbiamo con noi a tenerci incollati a tutto quanto il mondo esterno si aspetta da noi. Se vogliamo davvero sentirci liberi, dobbiamo disconnetterci, vivere “fuori della rete”, ritornare ad essere membri dell’era pre-digitale.

“Per quanto illogico possa sembrare, a volte il modo migliore per vedere dove vanno le cose è spostare lo sguardo più lontano”.

Gli indigeni e gli scienziati sono gli esseri umani più consapevoli dei cicli della natura. Per il resto si è per lo più frastornati dalla mole di sollecitazioni d’ogni genere. Il mercato globalizzato, attraverso la catena degli iper, dei super e dei mercati di ogni dimensione, hanno di fatto cancellato le stagioni rendendo disponibili i prodotti agricoli tutto l’anno, ad ogni latitudine. E noi “non solo ci diamo da fare per tenerci informati sugli ultimi prodotti e servizi, ma acquistiamo prodotti e servizi che hanno il solo scopo di aiutarci a tenerci informati”.

Il tempo digitale tende a presentare contemporaneamente diverse “scale di misura”.

Internet nel dare il medesimo spazio, e pari rilievo, a eventi del passato,  a eventi di domani o di un imprecisato momento del futuro, ci mette perennemente di fronte a delle scelte. Più ci immergiamo nella rete,  più il tutto diventa simile a un gioco elettronico dove “il percorso digitale appare come una fitta gerarchia di decisioni”. Vivere nella RAM significa trovarsi in balia degli algoritmi, i cui risultati agiscono su di noi prima ancora che possiamo accorgercene.

Negli anni ’40, l’esperienza prestata al servizio dell’esercito diede modo al matematico Norbert Wiener di riflettere sul feedback. L’ufficiale di rotta, a mano a mano che prosegue nella navigazione, ricava informazioni dalla bussola e corregge l’errore. Quando guidiamo nel guardare avanti utilizziamo lo stesso procedimento. Sarebbe piuttosto problematico invece cercare di pianificare le azioni necessarie per ogni eventualità che potrebbe essere in agguato.

La cibernetica studia i fenomeni di autoregolazione, i processi di comando e controllo che tengano conto di misurazioni e feedback in tempo reale.

La storia umana, avendo abbandonato la sua forma narrativa, è precipitata in un “movimento perpetuo”. Si è scoperto come la tecnologia digitale metta alla prova coerenza e ritmi naturali. Si è anche visto all’opera banche e aziende tese a comprimere il tempo e a ridurre all’osso “il singolo istante” sovraccaricandolo come una molla. Nella speculazione è insito un alto grado di rischio sistemico. Nello stesso tempo l’assunzione del rischio offre una via d’uscita, poiché prospetta una rottura dello status quo, quindi implica una frattura che infrange la continuità.

“L’apocalisse [ è ] una linea di spartizione, un noi e un loro e, cosa più importante, un prima e un dopo”.

La parte scabrosa, nella convivenza con il presente continuo, è il precipitare inesorabilmente verso un futuro gravato d’ipoteche oltre che d’incognite.

AF

 

Presente continuo, quando tutto accade ora, Douglas Rushkoff, Codice edizioni

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