Carlo Mazzucchelli intervista Stefano Zammartini, consulente filosofico.
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Tutti sembrano concordare sul fatto che viviamo tempi interessanti, complessi e ricchi di cambiamenti. Molti associano il cambiamento alla tecnologia. Pochi riflettono su quanto in profondità la tecnologia stia trasformando il mondo, la realtà oggettiva e fattuale delle persone, nelle loro vesti di consumatori, cittadini ed elettori. Sulla velocità di fuga e volontà di potenza della tecnologia e sulla sua continua evoluzione, negli ultimi anni sono stati scritti numerosi libri che propongono nuovi strumenti concettuali e cognitivi per conoscere meglio la tecnologia e/o suggeriscono una riflessione critica utile per un utilizzo diverso e più consapevole della tecnologia e per comprenderne meglio i suoi effetti sull'evoluzione futura del genere umano.
Su questi temi SoloTablet sta sviluppando da tempo una riflessione ampia e aperta, contribuendo alla più ampia discussione in corso. Un approccio usato è quello di coinvolgere e intervistare autori, specialisti e studiosi che stanno contribuendo con il loro lavoro speculativo, di ricerca, professionale e di scrittura a questa discussione.
Buongiorno, può raccontarci qualcosa di lei, della sua attività attuale, del suo interesse per le nuove tecnologie e per una riflessione sull'era tecnologica e dell'informazione che viviamo?
Una laurea in filosofia (della scienza) e una in economia per tentare di capire il mondo del quale faccio parte.
Le mie riflessioni sono rivolte principalmente alla condizione umana e come verrà modificata dallo sviluppo tecnico e tecnologico. Nonché sul come tentare di essere una persona migliore (in senso non strettamente etico).
Secondo il filosofo Slavoj Zizek viviamo tempi alla fine dei tempi. Quella del filosofo sloveno è una riflessione sulla società e sull'economia del terzo millennio ma può essere estesa anche alla tecnologia e alla sua volontà di potenza (il technium di Kevin Kelly) che stanno trasformando il mondo, l'uomo, la percezione della realtà e l'evoluzione futura del genere umano. La trasformazione in atto obbliga tutti a riflettere sul fenomeno della pervasività e dell'uso diffuso di strumenti tecnologici ma anche sugli effetti della tecnologia. Qual è la sua visione attuale dell'era tecnologica che viviamo e che tipo di riflessione dovrebbe essere fatta, da parte dei filosofi e degli scienziati ma anche delle singole persone?
Sono sincero e poco attuale. Sono ottimista. E lo sono per istinto e per ragionamento.
Partirei dal ragionamento. Postulare che l’uomo (inteso come specie) possa produrre qualcosa di inumano o di artificiale presuppone un assioma. L’esistenza di qualcosa in noi che sia altro dalla natura. Insomma una presa di posizione decisamente cartesiana. Considero queste categorie del pensiero fuorvianti.
Se noi potessimo produrre cose e pensieri inumani e artificiali allora significa che dentro di noi esiste qualcosa (anima) in grado di suggerirci qualcosa di diverso. Tolta questa premessa è ragionevole supporre che tutto ciò prodotto dall’uomo fa parte dell’esistente. Certo, il cervello concepisce il meglio, ma dovrebbe essere una categoria pragmatica, non etica.
Ricordo l’ultimo Crichton di “State of fear”. Essere ottimisti non vuole dire essere ottusamente ottimisti. Le cose vanno ponderate per quanto si può. Ma non abbiamo alternativa al futuro. E dobbiamo accettare la grande lezione dell’incertezza ereditata dal 900. La lezione che trasporta sul piano esistenziale il principio di indeterminazione di Heisenberg, i due teoremi di Gödel in logica, i teoremi di Arrow in economia. Accettare la nostra intrinseca limitatezza agli estremi della conoscenza, senza esserne annichiliti e senza piombare in varie forme di nichilismo, questo è un obiettivo ragionevole.
Sul piano istintivo sono convinto che la tecnologia potrà essere un’opportunità per una vita ancora intrinsecamente umana. Abbraccio in toto le profezie di Keynes (del 1931): l’occasione per guadagnare tempo alla vita di ognuno di noi.
Miliardi di persone sono oggi dotate di smartphone usati come protesi tecnologiche, di display magnetici capaci di restringere la visuale dell'occhio umano rendendola falsamente aumentata, di applicazioni in grado di regalare esperienze virtuali e parallele di tipo digitale. In questa realtà ciò che manca è una riflessione su quanto la tecnologia stia cambiando la vita delle persone (High Tech High Touch di Naisbitt) ma soprattutto su quali siano gli effetti e quali possano esserne le conseguenze. Il primo effetto è che stanno cambiando i concetti stessi con cui analizziamo e cerchiamo di comprendere la realtà. La tecnologia non è più neutrale, sta riscrivendo il mondo intero e il cervello stesso delle persone. Lo sta facendo attraverso il potere dei produttori tecnologici e la tacita complicità degli utenti/consumatori. Come stanno cambiando secondo lei i concetti che usiamo per interagire e comprendere la realtà tecnologica? Ritiene anche lei che la tecnologia non sia più neutrale?
Nulla è neutrale. Nulla.L’adattamento è continuo.
Penso che l’unica differenza che possa essere individuata come peculiare per i nostri tempi sia la velocità e la quantità di cambiamento nell’unità di tempo. L’accelerazione, ecco il problema che dobbiamo affrontare. Non è un problema da poco.
Charles Babbage già a metà dell’800 aveva concepito un computer funzionante, ma allora la tecnologia era meccanica. C’è voluta la piena utilizzazione dell’elettricità per rendere possibile lo sfruttamento a pieno dei circuiti logici. Un secolo. Ma oggi l’Intelligenza Artificiale sta scaldando i motori dopo la sua prima formulazione nel 1956. 50 anni e la legge di Moore è esemplificativa. Leggo in questi giorni del prossimo lancio dell’”iphone X”: nuova icona tecnologica con realtà aumentata.
Dobbiamo consolidare l’uomo, non fermare (ammesso che ne fossimo in grado) il ritmo di produzione tecnologica.
Secondo il filosofo francese Alain Badiou ciò che interessa il filosofo non è tanto quel che è (chi siamo!) ma quel che viene. Con lo sguardo rivolto alla tecnologia e alla sua evoluzione, quali sono secondo lei i possibili scenari futuri che stanno emergendo e quale immagine del mondo futuro che verrà ci stanno anticipando?
Ci vorranno menti aperte non solo per concepire il futuro, ma per renderlo fruibile attraverso l’azione collettiva.
Insomma mi chiedo serviranno ancora i politici di formazione giuridica o avremo bisogno di politici di formazione scientifica o filosofica? Elon Mask può essere una grande risorsa o una oscura minaccia o, banalmemte, una cavalcata solitaria.
Secondo alcuni, tecnofobi, tecno-pessimisti e tecno-luddisti, il futuro della tecnologia sarà distopico, dominato dalle macchine, dalla singolarità di Kurzweil (la via di fuga della tecnologia) e da un Matrix nel quale saranno introvabili persino le pillole rosse che hanno permesso a Neo di prendere coscienza della realtà artificiale nella quale era imprigionato. Per altri, tecnofili, tecno-entusiasti e tecno-maniaci, il futuro sarà ricco di opportunità e nuove utopie/etopie. A quali di queste categorie pensa di appartenere e qual è la sua visione del futuro tecnologico che ci aspetta? E se la posizione da assumere fosse semplicemente quelle tecno-critica o tecno-cinica? E se a contare davvero fosse solo una maggiore consapevolezza diffusa nell'utilizzo della tecnologia?
L’ho già anticipato. Ma vorrei precisare. Non esistono pasti gratis.
Non sarà facile trovare la via migliore. Ricordo qualche personaggio di Verne che già era preda dell’hubris e le potenti macchine tecnologiche che progettava alla fine diventavano tombe morali. Nella corsa allo spazio moriranno ancora molte persone. Nelle auto a guida autonoma qualcuno rimarrà imprigionato nelle lamiere. Speriamo che siano il meno possibile.
INDICIBILE… MA RACCONTABILE
Ma non possiamo chiuderci nella paura di noi stessi. Dovremo sempre conservare il senso finale delle cose. Fino a che avremo quello, ovvero un assioma più profondo delle macchine, queste saranno al nostro servizio. Dobbiamo interrogarci: non è che stiamo noi perdendo la voglia di interrogarci sulle cose?
Mentre l'attenzione dei media e dei consumatori è tutta mirata alle meraviglie tecnologiche di prodotti tecnologici diventati protesi operative e cognitive per la nostra interazione con molteplici realtà parallele nelle quali viviamo, sfugge ai più la pervasività della tecnologia, nelle sue componenti nascoste e invisibili. Poca attenzione è dedicata all'uso di soluzioni di Cloud Computing e ancora meno di Big Data nei quali vengono archiviati miliardi di dati personali. In particolare sfugge quasi a tutti che il software sta dominando il mondo e determinando una rivoluzione paragonabile a quella dell'alfabeto, della scrittura, della stampa e di Internet. Questa rivoluzione è sotterranea, continua, invisibile, intelligente, Fatta di componenti software miniaturizzati, agili e leggeri capaci di apprendere, di interagire, di integrarsi e di adattarsi come se fossero neuroni in cerca di nuove sinapsi. Questa rivoluzione sta cambiando le vite di tutti ma anche la loro percezione della realtà, la loro mente e il loro inconscio. Modificati come siamo dalla tecnologia, non ci rendiamo conto di avere indossato delle lenti con cui interpretiamo il mondo e interagiamo con esso. Lei cosa ne pensa?
Questo vale per le tecnologie, ma vale anche per le ideologie.
Non posso fare a meno di fare riferimento all’Umberto Eco forse meno conosciuto, quello del “Trattato di semiotica”. La mente produce segni per interpretare la realtà (ammesso che esista una cosa simile), e il pensiero si ancora a questi segni.
Se il software è al comando, chi lo produce e gestisce lo è ancora di più. Questo software, nella forma di applicazioni, è oggi sempre più nelle mani di quelli che Eugeny Morozov chiama i Signori del silicio (la banda dei quattro: Google, Facebook, Amazon e Apple). E' un controllo che pone il problema della privacy e della riservatezza dei dati ma anche quello della complicità conformistica e acritica degli utenti/consumatori nel soddisfare la bulimia del software e di chi lo gestisce. Grazie ai suoi algoritmi e pervasività, il software, ma anche la tecnologia in generale, pone numerosi problemi, tutti interessanti per una una riflessione filosofica ma anche politica e umanistica, quali la libertà individuale (non solo di scelta), la democrazia, l'identità, ecc. (si potrebbe citare a questo proposito La Boetie e il suo testo Il Discorso sulla servitù volontaria). Lei cosa ne pensa?
Quello che vedo è una spinta di forze propulsive che si muovono nei campi della tecnica, della tecnologia e della finanza. Quello che rilevo è una politica incapace di capire i meccanismi e quindi non in grado di offrire una mediazione.
Non si possono fermare le forze che si affermano in un’epoca. Nietzsche non parlava certo a caso quando riconosceva nella volontà di potenza una fluttuazione degli eventi e anche lo stesso Russell scrisse, in un poco noto “Power”, che ogni uomo, se potesse, vorrebbe essere Dio.
L’unico modo per non farsi (o sentirci) travolti dalla tecnologia è quello che capire e, se necessario, essere in grado di limare gli estremi (pragmaticamente). Paradossalmente vedo la vecchia filosofia potenzialmente in grado di svolgere questa funzione.
Una delle studiose più attente al fenomeno della tecnologia è Sherry Turkle. Nei suoi libri Insieme ma soli e nell'ultimo La conversazione necessaria, la Turkle ha analizzato il fenomeno dei social network arrivando alla conclusione che, avendo sacrificato la conversazione umana alle tecnologie digitali, il dialogo stia perdendo la sua forza e si stia perdendo la capacità di sopportare solitudine e inquietudini ma anche di concentrarsi, riflettere e operare per il proprio benessere psichico e cognitivo. Lei come guarda al fenomeno dei social network e alle pratiche, anche compulsive, che in essi si manifestano? Cosa stiamo perdendo guadagnando da una interazione umana e con la realtà sempre più mediata da dispositivi tecnologici?
L’essere umano cerca il senso. Dare un senso alla propria vita. I social sono un ottimo veicolo. Appartenenza. Il gioco rende schiavi. Anche il lavoro. Sei schiavo se hai la predisposizione da esserlo (vedi Fromm: Fuga dalla libertà).
La filosofia, per me, è una potente rielaborazione di secondo livello. Necessaria, faticosa, ma necessaria.
In un libro di Finn Brunton e Helen Nissenbaum, Offuscamento. Manuale di difesa della privacy e della protesta, si descrivono le tecniche che potrebbero essere usate per ingannare, offuscare e rendere inoffensivi gli algoritmi di cui è disseminata la nostra vita online. Il libro propone alcuni semplici comportamenti che potrebbero permettere di difendere i propri spazi di libertà dall'invadenza della tecnologia. Secondo lei è possibile difendersi e come si potrebbe farlo?
Sono un buon sportivo. Quando corro o nuoto non metto alcuno strumento. Mi piace sentire il cuore e il respiro e il movimento. Uno spazio assolutamente vitale.
Per qualcuno potrebbe essere il ballo, o una arrampicata. Non dimentichiamoci che abbiamo un corpo che non è solo un’appendice ben collegata con la centralina nel cranio. Una volta Bertrand Russell, rispondendo al suo editore che gli chiedeva a cosa attribuiva la sua felicità, suggerendo che magari fosse la sua mentalità scientifica, scrisse che attribuiva la sua felicità al fatto che regolarmente andava di corpo due volte al giorno. E, per restare nel paradosso, gli ultimi studi sull’intestino ci raccontano una storia simile.
Vuole aggiungere altro per i lettori di SoloTablet, ad esempio qualche suggerimento di lettura? Vuole suggerire dei temi che potrebbero essere approfonditi in attività future? Cosa suggerisce per condividere e far conoscere l'iniziativa nella quale anche lei è stato/a coinvolto/a?
Un paio di suggerimenti:
“The industries of the future” di Alec Ross
“Avagere is over” di Tyler Cowen.
* Tutte le immagini di questo articolo sono scatti di viaggio di Carlo Mazzucchelli (Islanda)