Carlo Mazzucchelli intervista Nicola Giusto, esperto di strategie digitali e brand marketing, attualmente ricercatore presso l’Università Ca’ Foscari e docente alla Laurea in Web Marketing e Digital Communication dello IUSVE.
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Tutti sembrano concordare sul fatto che viviamo tempi interessanti, complessi e ricchi di cambiamenti. Molti associano il cambiamento alla tecnologia. Pochi riflettono su quanto in profondità la tecnologia stia trasformando il mondo, la realtà oggettiva e fattuale delle persone, nelle loro vesti di consumatori, cittadini ed elettori. Sulla velocità di fuga e volontà di potenza della tecnologia e sulla sua continua evoluzione, negli ultimi anni sono stati scritti numerosi libri che propongono nuovi strumenti concettuali e cognitivi per conoscere meglio la tecnologia e/o suggeriscono una riflessione critica utile per un utilizzo diverso e più consapevole della tecnologia e per comprenderne meglio i suoi effetti sull'evoluzione futura del genere umano.
Su questi temi SoloTablet sta sviluppando da tempo una riflessione ampia e aperta, contribuendo alla più ampia discussione in corso. Un approccio usato è quello di coinvolgere e intervistare autori, specialisti e studiosi che stanno contribuendo con il loro lavoro speculativo, di ricerca, professionale e di scrittura a questa discussione.
Buongiorno, può raccontarci qualcosa di lei, della sua attività attuale, del suo interesse per le nuove tecnologie e per una riflessione sull'era tecnologica e dell'informazione che viviamo?
Ho 9 anni di esperienza nello sviluppo di campagne di comunicazione, strategie digitali, posizionamento SEO, produzione e cura di contenuti, ricerca di soluzioni integrate sui diversi canali media. Come project manager, ho gestito campagne di comunicazione e marketing per diversi brand sia all’estero che in Italia. Come consulente e formatore mi occupo di trasformazione digitale, knowledge management e business development per enti pubblici e privati.
Dal 2014 sono Head of Digital a LeftHanded Studio, un’agenzia di comunicazione di Padova con forte vocazione al mondo della trasformazione digitale.
Dopo la Laurea in Filosofia all' Università Ca' Foscari di Venezia, ho conseguito una scholarship in Digital Communication and Cultures presso University of Sydney e studiato Management Culturale a Torino con l’artista Michelangelo Pistoletto.
Secondo il filosofo Slavoj Zizek viviamo tempi alla fine dei tempi. Quella del filosofo sloveno è una riflessione sulla società e sull'economia del terzo millennio ma può essere estesa anche alla tecnologia e alla sua volontà di potenza (il technium di Kevin Kelly) che stanno trasformando il mondo, l'uomo, la percezione della realtà e l'evoluzione futura del genere umano. La trasformazione in atto obbliga tutti a riflettere sul fenomeno della pervasività e dell'uso diffuso di strumenti tecnologici ma anche sugli effetti della tecnologia. Qual è la sua visione attuale dell'era tecnologica che viviamo e che tipo di riflessione dovrebbe essere fatta, da parte dei filosofi e degli scienziati ma anche delle singole persone?
Michele Foucault ci insegna che l’uomo inventa e sviluppa il sapere tecnico, dove teoria e pratica convivono, come mezzo per la soluzione dei propri problemi. Ma nuove tecnologie offrono nuovi problemi da risolvere e quelle antiche sono a tal punto entrate a far parte della vita dell’uomo che è difficile pensar questo senza quelle. L’uomo e i suoi strumenti tecnologici convivono originariamente nel mondo, con le parole del filosofo francese “Le discipline funzionano sempre di più come tecniche per fabbricare individui utili.” (Foucault, 1975)
Pensare la tecnologia è possibile solamente a partire da una posizione svantaggiata. La tecnologia, sviluppata dall’uomo per allontanare il panico vissuto nell’oscurità della notte, il pericolo degli animali selvaggi e la violenza della natura, è a sua volta opaca, a volte incomprensibile, aliena al proprio creatore e instaura un secondo ordine, questa volta artificiale, di panico.
Ma il rifiuto di alcuni nell’utilizzare l’ultimo prodotto tecnologico offre la possibilità per una seconda riflessione. Non è possibile usare il cellulare per comunicare solo con un ristretto numero di conoscenti escludendone altri, la stampante di tanto in tanto e solo quand'è strettamente necessario, oppure ricorrere a Wikipedia solo quando non ci si trova nelle prossimità di una biblioteca. La tecnica in sé stessa è un fenomeno avvolgente al quale è difficile se non impossibile sottrarsi.
Miliardi di persone sono oggi dotate di smartphone usati come protesi tecnologiche, di display magnetici capaci di restringere la visuale dell'occhio umano rendendola falsamente aumentata, di applicazioni in grado di regalare esperienze virtuali e parallele di tipo digitale. In questa realtà ciò che manca è una riflessione su quanto la tecnologia stia cambiando la vita delle persone (High Tech High Touch di Naisbitt) ma soprattutto su quali siano gli effetti e quali possano esserne le conseguenze. Il primo effetto è che stanno cambiando i concetti stessi con cui analizziamo e cerchiamo di comprendere la realtà. La tecnologia non è più neutrale, sta riscrivendo il mondo intero e il cervello stesso delle persone. Lo sta facendo attraverso il potere dei produttori tecnologici e la tacita complicità degli utenti/consumatori. Come stanno cambiando secondo lei i concetti che usiamo per interagire e comprendere la realtà tecnologica? Ritiene anche lei che la tecnologia non sia più neutrale?
La tecnica è un dispositivo di potere - che funziona solo quando è in grado di avvolgere gli individui in un insieme di relazioni, in un apparato organizzato, conosciuto e prevedibile - in quanto tale la tecnica è originariamente una rete – un network - che aliena all’esterno di sé il non conosciuto e ordina i propri elementi attraverso meccanismi di sapere / potere.
Nessun singolo individuo è in grado di controllare un dispositivo tecnologico in quanto esso è progettato, costruito e alimentato secondo la logica distributiva della rete. La piena comprensione dell’essenza della tecnica è ostacolata dal suo carattere non umano e dalla sua pervasività.
Il moderno apparato tecnologico è una rete distribuita di relazioni di potere non solo perché pensare un singolo device è una contraddizione in termini (quando pochi individui possedevano una carta di credito o un cellulare, questi strumenti erano pressoché inutilizzabili) e nemmeno perché alla tecnica ci si affezioni (al primo uso segue di solito un continuo ricorso allo stesso strumento per la soluzione di simili situazioni).
La tecnologia assume originariamente un’architettura a rete in quanto questa è il presupposto fondamentale e la ragione della sua efficienza: il panico viene allontanato attraverso l’organizzazione e la produzione di uno spazio codificato perché conosciuto e quindi anticipabile. Perché uno spazio sia interamente conosciuto e trasparente è necessario un dispositivo di esclusione e inclusione che registri ogni movimento tra l’ordine interno e il panico esterno.
La società̀ contemporanea è un insieme dinamico di reti distribuite di relazioni e interessi che esercitano il proprio potere attraverso meccanismi di esclusione ed inclusione.
Secondo il filosofo francese Alain Abdou ciò che interessa il filosofo non è tanto quel che è (chi siamo!) ma quel che viene. Con lo sguardo rivolto alla tecnologia e alla sua evoluzione, quali sono secondo lei i possibili scenari futuri che stanno emergendo e quale immagine del mondo futuro che verrà ci stanno anticipando?
A Monaco di Baviera nel 1953, Martin Heidegger in La questione sulla tecnica comincia con il chiedersi quale sia l’essenza della tecnica: “La tecnica non si identifica con l’essenza della tecnica. (...). Non possiamo quindi esperire veramente il nostro rapporto con l’essenza della tecnica finché ci limitiamo a rappresentarci la tecnicità e a praticarla, a rassegnarci ad essa o a fuggirla.”
Secondo il filosofo, ogni risposta che chiami in gioco la responsabilità dell’uso di una determinata tecnologia, o ogni teoria filosofica che preveda di gestire il potenziale tecnico grazie alla sempre crescente abilità umana di ragionare e prendere giuste decisioni, va abbandonata in quanto ignora la capacità “mitopoietica”, ri-costruttiva, della tecnica di alterare le condizioni di creazione del significato e del valore delle azioni.
L’essenza della tecnica non ha nulla a che vedere con lo strumento o processo tecnologico. Secondo Heidegger, la tecnica è essenzialmente un modello di conoscenza, una particolare modalità̀ di rivelazione di ciò̀ che è.
Nella tecnica, l’uomo prende parte, seduce il mondo ovvero fonda uno schema di referenze che costituiscono la maniera nella quale gli oggetti vengono alla presenza. Il modo in cui le mere cose ci si presentano influenza il modo umano di impegnarsi con il mondo.
La tecnica non lascia nemmeno essere l’uomo che, come ogni altro ente nel mondo, è individuato e ordinato dal dispositivo, dal meccanismo, dalla griglia a rete del procedere tecnico. Nella modernità̀ l’agire dell’uomo non ha più̀ scopo proprio perché́ l’ente non è più̀ in quanto ente ma funziona in quanto eterodiretto, connesso originariamente ad altro.
Secondo alcuni, tecnofobi, tecno-pessimisti e tecno-luddisti, il futuro della tecnologia sarà distopico, dominato dalle macchine, dalla singolarità di Kurzweil (la via di fuga della tecnologia) e da un Matrix nel quale saranno introvabili persino le pillole rosse che hanno permesso a Neo di prendere coscienza della realtà artificiale nella quale era imprigionato. Per altri, tecnofili, tecno-entusiasti e tecno-maniaci, il futuro sarà ricco di opportunità e nuove utopie/etopie. A quali di queste categorie pensa di appartenere e qual è la sua visione del futuro tecnologico che ci aspetta? E se la posizione da assumere fosse semplicemente quelle tecno-critica o tecno-cinica? E se a contare davvero fosse solo una maggiore consapevolezza diffusa nell'utilizzo della tecnologia?
Le machine al lavoro, gli umani senza lavoro felici e contenti!
Tecnica, apparato, dispositivo, meccanismo, protocollo, struttura, rete sono infatti i molti modi di chiamare quel potere che non è umano né non-umano, un potere decentrato, ubiquo e continuo che funziona se e solo se è in grado di far sistema e fagocitare in sé tutti gli altri enti ovvero di individuarli e farli essere.
Dal punto di vista del potere, tecnica e rete risultano inseparabili tanto che ogni tecnologia è in sé stessa una rete quasi-finita di relazioni ordinate e regolate dal potere stesso della rete e poiché́, la questione della tecnica è antica quanto il dominio dell’uomo sul fuoco, la rete non può̀ più̀ venir pensata come la moda del nuovo millennio ma come argomento degno di indagine filosofica.
Heidegger sembra già̀ aver chiaro che non è possibile pensare la tecnica - e quindi il potere nella complessità̀ della rete - come l’azione o il pensiero di un solo attore. Allo stesso modo non è possibile cogliere la proprietà̀ della rete a partire dalla somma delle proprietà̀ dei suoi costituenti né, viceversa, questi ultimi come parti di un tutto.
Il potere della tecnica non agisce attraverso azioni violente e determinate ma ciononostante è capace di ordinare, regolare e individuare le connessioni, gli scambi d'informazioni e le azioni delle componenti individuali. È un potere totalitario ma decentrato, continuo ma discreto, individuante e dissociante. Per alcuni versi in modo simile a Heidegger, secondo Foucault la società̀ è da sempre regolata da meccanismi di potere / sapere che garantiscono la produzione e il controllo di relazioni asimmetriche tra gli individui. Nella società̀ moderna questi meccanismi assumono il modello chiamato Panottico.
Il totalitarismo non è che la manifestazione del pensiero tecnico in politica, dove alla rappresentanza e alla discussione tra pari in vista di un accordo fondato sulla ragione degli argomenti è sostituito un apparato amministrativo il cui unico fine è il perpetuamento e la soddisfazione di sé stesso.
Mentre l'attenzione dei media e dei consumatori è tutta mirata alle meraviglie tecnologiche di prodotti tecnologici diventati protesi operative e cognitive per la nostra interazione con molteplici realtà parallele nelle quali viviamo, sfugge ai più la pervasività della tecnologia, nelle sue componenti nascoste e invisibili. Poca attenzione è dedicata all'uso di soluzioni di Cloud Computing e ancora meno di Big Data nei quali vengono archiviati miliardi di dati personali. In particolare sfugge quasi a tutti che il software sta dominando il mondo e determinando una rivoluzione paragonabile a quella dell'alfabeto, della scrittura, della stampa e di Internet. Questa rivoluzione è sotterranea, continua, invisibile, intelligente, Fatta di componenti software miniaturizzati, agili e leggeri capaci di apprendere, di interagire, di integrarsi e di adattarsi come se fossero neuroni in cerca di nuove sinapsi. Questa rivoluzione sta cambiando le vite di tutti ma anche la loro percezione della realtà, la loro mente e il loro inconscio. Modificati come siamo dalla tecnologia, non ci rendiamo conto di avere indossato delle lenti con cui interpretiamo il mondo e interagiamo con esso. Lei cosa ne pensa?
Il principio che domina la tecnica moderna risponde solamente al proprio auto-perpetuarsi e migliorarsi. In questo senso, Heidegger insegna l’automobile, l’aeroplano o il computer non possono venir pensati come oggetti nel senso tradizionale ma devono venir compresi in quanto risposte che la tecnica sviluppa al fine di razionalizzare il sistema di trasporti e comunicazioni. Parallelamente, i passeggeri in volo sono meglio compresi come “risorse impiegate” nel riempire e utilizzare l'aeroplano che come individui dotati di una certa ragione e autonomia, e quindi soggetti dell’atto di essere in volo (Dreyfus, 1995).
Per comprendere la tecnica moderna e contemporanea è quindi necessario sviluppare un pensiero capace di “balzare” al di là della contrapposizione oggetto - soggetto, un pensiero in grado di analizzare i termini “aeroplano” e moltitudine di “passeggeri” non come elementi distinti inseriti in un’equazione ma come nodi di una rete, omogenei elementi di un sistema che è contemporaneamente umano e non umano, agente e risultato. Il lavoro del filosofo Michel Foucault è utile nel fornire importanti strumenti concettuali per muoverci in questa direzione.
Originariamente il Panoptico è il modello, la struttura di un edificio ideato da Jeremy Bentham nel corso della seconda metà del secolo XVIII per rispondere alle nuove esigenze di organizzazione e controllo sociale dettate dallo sviluppo dei centri urbani e dalle mutate condizioni di lavoro, entrambi epifenomeni della cosiddetta prima Rivoluzione Industriale. Nonostante il progetto benthamiano sia in effetti inizialmente presentato come un nuovo modello di carcere, è chiaro sin da subito allo stesso architetto inglese come il Panoptico sia in realtà̀ una rivoluzionaria forma di concepire ogni generica costruzione, e si presenti quindi come l’edificio tout court dell’architettura moderna. L’idea di per sé è semplice: “Tante gabbie, altrettanti piccoli teatri, in cui ogni attore è solo, perfettamente individualizzato e costantemente visibile”.
La struttura si compone di due anelli. In quello esterno vengono collocati i prigionieri, i pazienti, o più̀ genericamente gli individui da osservare e controllare. L’anello interno invece assolve la funzione di occhio, di sorvegliante, di Big Brother in forma tale che i prigionieri siano potenzialmente costantemente visibili ma non possano a loro volta vedere. In questo senso Foucault sottolinea “la visibilità̀ è la trappola” della modernità̀. Nel Panoptico, gli individui da “soggetti di una comunicazione” sono trasformati in prigionieri ovvero “oggetti d’informazione”. La massa di individui, tipica dell’Inghilterra rivoluzionaria e proto-industriale, è organizzata e regolata come una “collezione di individualità̀ separate”. L’impossibilità di verificare l’esercizio attuale del potere di controllo (ovvero l’impossibilità fisica ottenuta grazie alla particolare struttura del Panoptico di osservare l’interno della torre di controllo), è dallo stesso Bentham ripetutamente sottolineata come una delle intrinseche qualità̀ del progetto in un'ottica di riduzione dei costi, efficienza, semplicità̀ e automazione, il cui obiettivo è “far crescere e moltiplicare”.
Di qui l’effetto principale del Panoptico: indurre nel detenuto uno stato cosciente di visibilità̀ che assicura il funzionamento automatico del potere. Far sì che la sorveglianza sia permanente nei suoi effetti, anche se discontinua nella sua azione.
Se il software è al comando, chi lo produce e gestisce lo è ancora di più. Questo software, nella forma di applicazioni, è oggi sempre più nelle mani di quelli che Eugeny Morozov chiama i Signori del silicio (la banda dei quattro: Google, Facebook, Amazon e Apple). È un controllo che pone il problema della privacy e della riservatezza dei dati ma anche quello della complicità conformistica e acritica degli utenti/consumatori nel soddisfare la bulimia del software e di chi lo gestisce. Grazie ai suoi algoritmi e pervasività, il software, ma anche la tecnologia in generale, pone numerosi problemi, tutti interessanti per una una riflessione filosofica ma anche politica e umanistica, quali la libertà individuale (non solo di scelta), la democrazia, l'identità, ecc. (si potrebbe citare a questo proposito La Boetie e il suo testo Il Discorso sulla servitù volontaria). Lei cosa ne pensa?
Nell’età̀ della comunicazione digitale, il dispiegamento dell’apparato tecnologico è tale da rendere i concetti di rete sociale e - come vedremo - di meccanismo protocollare onnipresenti. La teoria delle reti in questo senso più̀ che rappresentare una nuova disciplina è un insieme eterogeneo di nozioni, pratiche e studi sempre presente e necessario.
L’identità̀ degli individui e le relazioni tra questi, la molteplicità̀ di modi in cui il singolo opera e agisce nella società̀ (nell’ambiente di lavoro come nel mondo online ricreativo, nell’intimità̀, con famigliari e amici così come nelle relazioni tra individuo e organi pubblici e apparati istituzionali) sono profondamente plasmate e organizzate dal potere della rete il cui ruolo - in particolare nelle science umane e sociali - non può̀ più̀ venir occultato.
Alexander Galloway in una recente pubblicazione del 2006 traccia un interessante parallelo tra reti biologiche e informatiche, mostrando la vicinanza teorica tra DNA e i due principali protocolli che orinano Internet TCP / IP. Entrambi i tipi di reti sono infatti caratterizzati dalla stessa forma di organizzazione e individuazione, ovvero di controllo e potere, un controllo decentrato e ubiquo che Galloway chiama potere protocollare.
Secondo l’autore i network come Internet possono facilmente venir compresi come non solo tecnici (ergo, non solo materiali) qualora la loro comprensione sia organizzata a livelli gerarchici:
- il livello dell’applicazione che ha il compito di mediare tra l’utente umano e il linguaggio macchina ed è per questo una sorta di traduttore (per esempio, il Web);
- il livello del trasporto che ha il compito di rendere possibile - o negare - la navigazione dei dati attraverso i legami tra le componenti della rete (ad es., il linguaggio TCP o protocollo di trasmissione e controllo);
- Internet o livello fondamentale responsabile del movimento dei dati da un posto all’altro (ad es. IP, il vero e proprio Internet Protol, una sorta di rubrica degli indirizzi che ignora il contenuto dei dati trasmessi concentrando la propria attenzione sull’attuale passaggio dei dati) e la struttura fisica (in Europa solitamente la banda Ethernet ovvero la linea telefonica >issa ma oggi e sempre più̀ i nuovi sistemi 3G o Wi-Fi).
Tale modello, per molti aspetti simile a quello proposto da sociologo olandese Jan Van Dijk ha il merito d’illustrare l’implicita molteplicità̀ ed emergenza delle topologie che possono descrivere e caratterizzare una medesima rete allo stesso momento. Protocolli di differente natura producono nel sistema a rete quello che Galloway (2002) chiama “cecità̀ diacronica” ovvero la possibilità̀ che il sistema sia contemporaneamente cosciente e no del proprio esserci. L’astuto esempio per chiarire tale idea è la contrapposizione tra i protocolli TCP e IP. Mentre il primo funziona grazie a un certo
sapere che riguarda il passato della rete (funziona cioè̀ se e solo se è capace di garantire una certa quantità̀ di memoria) il secondo protocollo ne prescinde completamente, con il risultato che la rete Internet da un punto di vista tecnico è contemporaneamente cosciente e meno della propria memoria.
Una delle studiose più attente al fenomeno della tecnologia è Sherry Turkle. Nei suoi libri Insieme ma soli e nell'ultimo La conversazione necessaria, la Turkle ha analizzato il fenomeno dei social network arrivando alla conclusione che, avendo sacrificato la conversazione umana alle tecnologie digitali, il dialogo stia perdendo la sua forza e si stia perdendo la capacità di sopportare solitudine e inquietudini ma anche di concentrarsi, riflettere e operare per il proprio benessere psichico e cognitivo. Lei come guarda al fenomeno dei social network e alle pratiche, anche compulsive, che in essi si manifestano? Cosa stiamo perdendo guadagnando da una interazione umana e con la realtà sempre più mediata da dispositivi tecnologici?
Oggi non abbiamo più a che fare con singoli individui, come monadi isolate ma con profiles, frammenti di individuo scossi da identità disintegrate e psicotiche intercambiabili, features
Mi sembra che ai tempi di Twitter e Blackberry se ancor si vuol dare un senso a parole come individuo, società̀, essere, identità̀, diversità̀ sia prima necessario un loro profondo ripensamento a partire da un nuovo modo di significare la realtà̀, di comprendere e interagire con essa perché́ è evidente che gran parte di questa non è né interamente non umana né completamente umana. La macchina, ovvero i dispositivi tecnici di cui l’uomo si è dotato nel mondo, in questo senso, rappresenta un eccellente esempio.
A differenza del passato, oggi in Occidente noi viviamo costantemente immersi in un universo di relazioni sociali che spesso presentano molteplici livelli di astrazione contemporaneamente. Così in città come nei piccoli centri siamo costantemente online, connessi, interconnessi alla rete sociale. Fenomeni come Twitter, Facevo e la messaggistica istantanea di Black Berry, iPhone e Skype sono interessanti socialmente ed e psicologicamente perché́ prelevano l’uomo dal suo ecosistema naturale, un animale sempre stato potenzialmente sociale immettendolo in un secondo e diverso ambiente in cui - per magia! - questo diventa costantemente, forzatamente sociale.
La centralità̀ che in questi anni ha assunto il paradigma della rete non può semplicemente venir spiegata come il risultato dell’amplificazione, ovvero dell’aumento quantitativo dei legami e delle relazioni sociali ma deve invece esser compreso come un fenomeno derivante da un salto, una svolta qualitativa nelle interazioni dell’animale ‘uomo’.
Tiziana Terranova (2004) si occupa da anni di studiare il rapporto tra individui e mezzi di comunicazione. Le dinamiche tipiche di una rete sociale sviluppata e tecnologicamente avanzata modificano profondamente la nozione stessa di individuo e determinandone comportamento e modo di affrontare la vita. Noi viviamo in un hypernetwork il cui paesaggio è caratterizzato da enormi flussi d'informazioni ubique e correnti di relazioni tra persone e tra persone e macchine, dominato dall’idea di un tempo globale. Un giorno ha 24 ore perché́ in passato sembrò utile dividere il pianeta in 24 zone temporali distinte. A differenza del passato però oggi la tecnologia ci permette d'intrattenere legami a distanza e questa massa di legami provoca nell’individuo un comportamento dematerializzato e di incorporato, un individuo senza corpo oppure molte identità̀ in un solo corpo.
L’attore è radicalmente indeterminato. Al pari delle reti informatiche, l’alto grado di complessità delle reti biologiche è generato da un apparentemente semplice meccanismo (da 4 basi azotate di DNA). Risolvendo la complessità biologica delle molecole in un codice ordinato, in una sequenza lineare, in un protocollo di informazioni, vengono gettate le basi perché a biologia e cibernetica sia sostituita un’unica disciplina. Dal punto di vista della teoria delle reti, la distinzione tra umano e non-umano, biologico e materiale già non regge più.
Lo sviluppo integrato di scienze cibernetiche e biologiche genera una visione “informatica” della vita che è meglio descritta come visione della vita come una rete.
In un libro di Finni Brunton e Helen Nissenbaum, Offuscamento. Manuale di difesa della privacy e della protesta, si descrivono le tecniche che potrebbero essere usate per ingannare, offuscare e rendere inoffensivi gli algoritmi di cui è disseminata la nostra vita online. Il libro propone alcuni semplici comportamenti che potrebbero permettere di difendere i propri spazi di libertà dall'invadenza della tecnologia. Secondo lei è possibile difendersi e come si potrebbe farlo?
I diversi tipi di potere, al pari delle diverse realtà sociali, convivono nel continuum del presente storico. La storia del potere è quindi la storia dei diversi tipi di potere, o con altri termine delle diverse biopolitiche, sperimentati al fine di migliorare l’omogeneità della distribuzione delle ricchezze tra i diversi gruppi di portatori di interesse nella comunità tutta.
La rete non è affatto libera. Come ogni altra forma di organizzazione di entità separate, implica e trova la propria necessità d’esistere nel potere.
Dopo l’11 Settembre 2001 il processo di globalizzazione ha superato un punto di non ritorno. Da un numero relativamente ristretto di centri di potere si è passati a un sistema complesso di controllo distribuito nella rete sociale e nella rete materiale, tanto da rendere problematica la loro distinzione. La “Rete” come forma emergente di controllo deve quindi aggiornare il tradizionale concetto di “Sovranità” per descrivere fedelmente lo stato attuale del controllo. L’unilateralismo militare statunitense dell’ultima decina d’anni non è di per sé in contraddizione con l’idea che il potere, più che risiedere oggi nelle mani dei Presidenti dei grandi Stati e in quelle dei CEO delle grandi aziende, sia frantumato in un apparato tecnico - informatico di controllo.
Nel mondo contemporaneo il potere opera anonimamente e attraverso la mediazione dell’informazione attraversa e trasforma le relazioni sociali in una rete che è contemporaneamente umana e artificiale, o materiale. Si tratta quindi di comprendere la natura materiale della Sovranità
Viviamo in un presente eterno che spettacolarizza tecnicamente e costantemente sé stesso in immagini infinitamente moltiplicate dai network mediatici globali. In questo presente eterno e privo di storia, la democrazia e l’idea di Stato sono parole svuotate di senso, esse indicano nulla di più che l’esistenza di asimmetriche relazioni di potere e sapere. Al centro della rete sociale infatti, in un luogo prestigioso, dinamico, ipertroficamente connesso a ogni periferia, in cui la densità delle informazioni raggiunge il valore massimo, troviamo gli Stati cosiddetti democratici seduti al tavolo delle corporation internazionali. Alla periferia del sistema - rete, o in altri termini nell’anello esteriore del Panopticon, invece stanno gli emarginati, gli Stati canaglia, i mai nati, la società civile, gli operai, i terroristi, i pacifisti, i non allineati, gli artici e gli eclettici.
Vuole aggiungere altro per i lettori di SoloTablet, ad esempio qualche suggerimento di lettura? Vuole suggerire dei temi che potrebbero essere approfonditi in attività future? Cosa suggerisce per condividere e far conoscere l'iniziativa nella quale anche lei è stato/a coinvolto/a?
Spero di aver mostrato come il paradigma della rete rappresenti uno strumento fondamentale per chiarire l’attuale complessità̀ sociale e come, grazie alla propria generalità̀ e applicabilità̀, questo sia utilizzato in diverse discipline scientifiche a partire almeno dagli anni Settanta e possa interessare oggi scienze umane, ontologia sociale e altri settori d'indagine del pensiero filosofico in quanto “Scienza delle Relazioni”. Per approfondimenti vi invito a seguire il mio profilo Linkedin oppure leggere gli articoli del mio blog culturedigitali.org dedicato a questi e simili argomenti.
Ovviamente, le teorie esposte in questa intervista e il termine “social network” non pretendono di esser né universali né inclusivi. In quanto dinamica, ogni rete sociale è essenzialmente soggetta al cambiamento e in quanto tale più̀ che venir spiegata nella sua completezza, ne va portato alla luce il carattere, rendendo visibile e analizzando i luoghi temporaneamente “durevoli” in un arcipelago in continua attività̀. Del resto, dovremmo abituarci a diffidare da ogni pensiero che proponga se stesso come ultimo e definitivo. Come scrive Mark Granovetter nel 1973: “Paradoxes are a welcome antidote to theories which explain everything all too neatly”.
* Tutte le immagini di questo articolo sono scatti di viaggio di Carlo Mazzucchelli (Paesi Baltici, Francia)