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Il nudge non funziona

Il nudge non funziona

17 Giugno 2024 Luciano Martinoli
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Il “nudge”, in italiano pungolo o spintarella, ritiene che sia possibile spingere le persone verso comportamenti prevedibili senza proibire la scelta di altre opzioni. All’economista R. Thaler nel 2017 fu assegnato il premio Nobel in economia per i suoi studi su questa teoria.

Di fatto il nudging (mio commento dell’epoca) prende a prestito alcuni concetti della psicologia per spiegare le conseguenze, in termini economici ma non solo, della nostra frequente irrazionalità che ci porta a errori e indecisioni. Questa visione col tempo si è diffusa anche in altri ambiti.

Un nudge, o pungolo, dovrebbe essere facile da comprendere, da realizzare e poco costoso da evitare e, soprattutto, non deve essere un ordine perentorio. Ad esempio per spingere le persone a consumare una dieta più salutare, un nudge è mettere nei supermercati la frutta e la verdura a livello degli occhi, ma non vietando la vendita di cibo spazzatura.  Thaler nel suo libro scritto col collega Sunste in Nudge – la Spinta Gentile parla di paternalismo libertario.

Ma siamo sicuri che la nostra irrazionalità sia sempre negativa? Vi è sempre certezza di ciò che sia giusto o sbagliato? Chi lo decide? E se un apparente errore faccia parte di una più ampia strategia per arrivare ad un risultato finale positivo, perché correggerlo inficiando tutto il percorso? 

Alcune recente ricerche riportate dal WSJ mettono in discussione la validità della teoria, soprattutto nel lungo periodo. Uno degli esperimenti che diede credibilità al nudging fu uno studio della Cornell University del 2012 sul consumo alimentare. Mettendo cibi salutari, come mele e carote, ad altezza vista in un supermercato, questi venivano acquistati da più persone incentivando un’alimentazione più sana. Ma, come cita l’articolo

…un altro aspetto dell’esperimento non ha ricevuto molta attenzione. I ricercatori della Cornell non si sono limitati a misurare ciò che accadeva alla cassa. Si sono anche soffermati a vedere cosa facevano le persone con il cibo. Le persone che hanno ricevuto il nudge hanno finito per mangiare la stessa quantità di cibo sano di quelle che non lo hanno ricevuto. Il cibo in più che è stato preso grazie al nudge è stato gettato nella spazzatura. Alla fine, l’effetto sul consumo di alimenti sani è stato nullo.

Il professor David R. Just della Cornell lamenta la mancanza di studi a lungo termine sul fenomeno per verificare come e quanto duri l’effetto nudging. E aggiunge:

È sensato pensare che i nudge siano molto più efficaci a breve che a lungo termine. Scelte come quella del cibo, ripetute spesso nel tempo, portano all’apprendimento e alla fine è probabile che le persone riconoscano come l’ambiente interferisca con le loro scelte. Questo potrebbe significare che i nudge sono più importanti nelle decisioni una tantum o rare.

Gli autori dell’articolo, i professori Evan Polman dell’Università del Wisconsin-Madison e Sam J.Maglio dell’Università di Toronto, hanno riscontrato che anche quando i nudge sono migliori di nessun nudge non forniscono quasi tutti i benefici che i risultati iniziali indicano, né quelli su cui contano molti sostenitori dei nudge.

Abbiamo condotto studi su tre delle strategie di nudge più popolari. In uno di questi, abbiamo dato ai partecipanti la possibilità di iscriversi a un sito web per ricevere banali consigli giornalieri. Per un gruppo l’abbiamo descritto come un modo per divertirsi, per l’altro come un modo per diventare ogni giorno più intelligenti. In realtà, tutti venivano indirizzati allo stesso sito, indipendentemente dalla motivazione scelta. Quando abbiamo dato ai partecipanti il sito web come predefinito (scelta di default) – in altre parole, li abbiamo spinti a sceglierlo – il 70% ha optato per quello, rispetto al 48% che ha scelto lo stesso sito quando non era preselezionato. In genere è così che funzionano i nudge predefiniti: le persone sono molto più inclini a scegliere l’opzione predefinita (il default), che presumibilmente sarà la migliore per loro o per la società.
Poi è arrivata la parte importante. Abbiamo aspettato. Abbiamo monitorato la frequenza con cui i partecipanti allo studio hanno visitato il loro sito web per otto mesi. Coloro che sono stati spinti a scegliere il piano predefinito hanno visitato il sito il 42% in meno rispetto a coloro che hanno scelto un piano identico senza essere stati spinti.

Un nudge può indurre le persone a iscriversi, ma non le fa sentire padrone della situazione, come se la scelta fosse davvero loro, e quindi non la seguono più di tanto.

In conclusione i due ricercatori ritengono che il nudging può essere un primo passo, ma nulla di più. Il vero e duro lavoro per indurre dei comportamenti, qualora sia possibile, viene dopo. Era già noto che si può condurre un cavallo al pozzo ma non si può costringerlo a bere. La teoria del nudging appare dunque come l’ennesimo tentativo di sovrastare, stavolta in modo “gentile”, la sacra e inviolabile autodeterminazione dell’individuo. Un modo di trovare una scorciatoia per imporre agli altri di fare “quello che dico io”, ma ignorando l’importanza del contingente, del contesto, della forma unica dell’essere e del pensiero di ognuno. La teoria del nudge si poggia sul presupposto che esista una forma di razionalità assoluta, visibile e accettata da qualsiasi “sano di mente”, che deve guidare il comportamento di ognuno di noi. Essa si propone come evoluzione paternalistica in alternativa alla coercizione ma condividendo lo stesso fine. Ovviamente non può funzionare perché se

È “vero” e giusto tutto ciò che ci piace e che decidiamo insieme agli altri che sia vero e giusto.

è solo questo che determinerà i nostri comportamenti, nel breve come nel lungo termine.

 

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