il caso AI.
Cambiare le visioni del mondo, primo passo per l’innovazione che può portare una tecnologia. il caso AI.
Siamo fortemente legati ai nostri pregiudizi, alle immagini del mondo che ci siamo formati anche grazie alle precedenti tecnologie.
Prendiamo ad esempio il caso del neologismo “cavallo di ferro”, inventato dai nativi del nord America e poi diffusosi sia in USA che nel Regno Unito, per indicare il treno a vapore. La tecnologia prevalente nel trasporto e il principale “motore” per muovere macchinari era il cavallo. Dunque per analogia una nuova macchina che faceva di più e meglio la stessa cosa doveva essere un “cavallo”, anche se di diversa natura. A dimostrazione di come l’immagine abbia resistito, e resista tutt’ora, oggi viene ancora utilizzata come unità di potenza HP (Horse Power o CV Cavallo Vapore nella nostra lingua). Il più moderno Watt fatica ad imporsi.
Analoga situazione sta accadendo con l’Intelligenza Artificiale. Partiamo dal presupposto che dietro una comunicazione “intelligente”, ovvero articolata, informata e che ci sorprende come nel caso di ChatGPT, ci sia “intelligenza” – non meglio definita. Questa tecnologia invece ci mostra che le performance di tali algoritmi non necessitano di intelligenza, anzi sono efficaci proprio per questa mancanza. Così come per trasportare persone e merci i motori (a vapore, a scoppio, elettrici, ecc.) non hanno bisogno di cavalli e proprio per questo sono migliori.
Si apre allora un interrogativo totalmente nuovo: come “gestire”, nel bene e nel male, una comunicazione con un partner artificiale? Come evitare fraintendimenti, abusi e utilizzi fraudolenti?
Un recente articolo apparso sul New Yorker (Non c’è alcuna Intelligenza Artficiale. Ci sono modi di controllare questa nuova tecnologia, ma prima dobbiamo smetterla di mitizzarla) prova a rispondere ricordandoci che
“…per decidere come affrontare questa nuova sfida è importante ricordarsi che la tecnologia deriva dalla nostra capacità di sviluppare modi nuovi per risolvere problemi pratici. Le AI non fanno eccezione, non sono qualcosa di “altro” rispetto a noi, semmai sono e saranno il riflesso di ciò che siamo.”
A mio avviso più che modi nuovi per risolvere problemi pratici servono ancor prima modi nuovi di vedere il mondo. Non c’è bisogno di battere le ali come un uccello per volare, non c’è bisogno di muscoli e ossa come un cavallo per spostare cose, non c’è bisogno di intelligenza umana per comunicare in modo verosimile ad un umano e così via. Da questi cambi di paradigma sono nate le innovazioni tecnologiche, non viceversa. Comprenderlo e accettarlo è il primo passo per la loro demitizzazione e la conseguente corretta disciplina di cui necessitano.
Ancora una volta dunque la tecnologia si mostra per quello che è: un manufatto della mente umana i cui utilizzi rispecchiano e amplificano, ma non creano, pregi e difetti della nostra natura.