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🍒🍒 MIGRANTI , INTERNAUTI E VIANDANTI

🍒🍒 MIGRANTI , INTERNAUTI E VIANDANTI

06 Ottobre 2023 Carlo Mazzucchelli
Carlo Mazzucchelli
Carlo Mazzucchelli
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Mentre moltitudini, per pura sopravvivenza, si mettono in viaggio, rischiando la loro vita e rovinando l’esistenza dei loro cari, noi occidentali benestanti possiamo continuare a interrogarci filosoficamente sul nostro essere viandanti.

Per noi vi-andare significa mettersi in cammino, coltivare l’etica e la filosofia del camminare, senza alcun rischio reale e alcuna sofferenza, per altri diventare viandanti è una scelta di vita, connessa alla volontà di darsi un’opportunità di vita migliore. Il migrare e il vi-andare sono diventate metafore fondamentali di una realtà nella quale moltitudini di persone, in realtà non vanno da nessuna parte. Tanto sono vincolate, passivamente e ludicamente asservite alle piattaforme tecnologiche che utilizzano e che fanno ogni cosa per soddisfare bisogni e desideri, da esse stesse indotti. Queste piattaforme andrebbero abbandonate e da internauti tutti dovrebbero diventare viandanti. 

Lasciando il tema del migrare ai racconti dei media e alle loro elucubrazioni mai chiare perché sempre dentro cornici politicizzate e piene di pregiudizi, tipicamente eurocentrici e post-colonialisti, vorrei soffermarmi sul tema del vi-andare, dei viandanti, al quale Umberto Galimberti ha regalato il suo ultimo ponderoso lavoro di riflessione sull’era della tecnica. Un’era tecnologica che ha cambiato in profondità il nostro modo di rapportarci alla realtà, al mondo e agli universi vari che abitiamo, non sempre paralleli e molti dei quali sovrapposti (viste le disuguagliane correnti non tutti hanno le stesse opportunità). Sempre più simili a macchine, delle quali abbiamo introiettato la tecnica del funzionare, abbiamo dimenticato che si può ancora agire (non semplicemente fare), esistere, mettersi in movimento, adottare la logica del viandante, diversa da quella del semplice viaggiare, dell’andare in crociera (Quanti di voi si potrebbero sentire viandanti a Mikonos, Santorini, Venezia o Firenze?). 

Abituati come siamo a perseguire mete e obiettivi, condizionati dalle logiche computazionali degli algoritmi (Tripadvisor, Booking, ecc.), abbiamo perso la voglia del partire, del mettersi in viaggio senza meta, di dedicarsi alla ricerca di destinazioni senza alcun aiuto tecnologico, di ricercare la connessione fisica con la natura, i suoi paesaggi e territori, di provare l’effetto che si prova arrivando a una frontiera, di sperimentare la percezione che noi esseri umani non siamo gli unici esseri viventi sulla terra. Un pianeta che pensiamo di poter dominare proprio quando scopriamo che la natura (vedi le crisi climatiche e le pandemie) si sta vendicando su quanto negli anni abbiamo fatto. 

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Sviati come siamo dall’idea di vivere mondi perfetti agevolati e governati dalla tecnologia, malati come siamo di individualismo e cinico narcisismo, abbiamo dimenticato che noi esseri umani siamo esseri fragili, vulnerabili, sempre provvisori, instabili e incompiuti, viandanti su un pianeta con il quale abbiamo perso la connessione. Accettare questa realtà è già un mettersi in viaggio come viandanti di quello che io ho chiamato NOSTROVERSO (a breve pubblicherò un libro sul tema proponendo pratiche utili a resistere ai metaversi tecnologici), opposto a tutti i vari metaversi nei quali abbiamo trasferito la nostra esistenza online. 

Spaesati e disincantati sull’efficacia delle promesse della tecnologia, ci troviamo a viaggiare, quasi sempre da soli, dentro territori tecnologici nei quali, con i nostri doppi digitali andiamo alla ricerca di legami (ma otteniamo solo contatti), di conversazioni (ma ci fermiamo spesso alle semplici interazioni), di relazioni (ma senza corpo le relazioni sono inesistenti), di comunità. La semplicità delle nostre interazioni e vite onlife ci ha fatto dimenticare la complessità della vita, ci riempie di informazioni senza darci le conoscenze e la saggezza che ci servono per navigare dentro le crisi profonde di questi tempi. Il tutto è peggiorato dalla nostra rassegnazione e passività, nei comportamenti così come nel pensare. Continuiamo a credere di essere in controllo, liberi di fare delle scelte e prendere decisioni, in realtà abbiamo delegato tutto ad altri e ci lasciamo guidare da altri. 

La fuga non serve, forse è anche impossibile. Ciò che serve è mettersi in viaggio, trasformarsi in viandanti curiosi dell’esistenza e della vita, fuori dai confini trasparenti ma rigidi delle gabbie di acciaio delle piattaforme tecnologiche, incamminati all’aria parte su percorsi non suggeriti da agenzie di viaggio ma guidati dalla curiosità e dall’immaginazione, dalla ricerca di senso e dalla voglia di prendersi cura della terra, dall’accettazione della imprevedibilità, dalla voglia di incontrare altri viandanti e relazionarsi a loro in carne e ossa, con gli sguardi e le iridi degli occhi. 

Dopo avere scoperto che la storia non è finita e percependo che il presente nel quale ci siamo confinati non ci dà la felicità, stiamo cominciando a capire che la salvezza non sta nella fuga e nell’abbandono ma nel vi-andare, nel diventare viandanti dell’esistenza, riscoprendo la dimensione qualitativa della vita dopo esserci arresi a quella quantitativa, computazionale, lineare e digitale. Come scrive Galimberti “Il viandante abita la storia, ma si sottrae alla tirannia del presente perché guarda al futuro, non al futuro-salvezza promesso dalla religione e neppure dal futuro-progresso promesso dalla modernità, ma a quel futuro che si dischiude non appena si evita di assolutizzare il presente come unica forma dell’esistenza”.

Il viandante guarda al futuro per scorgere altre modalità per abitare la terra! 

Quanti di voi sono pronti a vi-andare, a diventare viandanti, che muovono i loro passi non per arrivare da qualche parte ma pe conoscere ciò che si incontra per la via?

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