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Élite, gilet gialli e arancioni, pastori sardi e pecorino per tutti

Élite, gilet gialli e arancioni, pastori sardi e pecorino per tutti

13 Febbraio 2019 Carlo Mazzucchelli
Carlo Mazzucchelli
Carlo Mazzucchelli
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Per età, cultura politica, curiosità e voglia di cambiamento cerco di prestare sempre attenzione a ciò che mi capita intorno, per informarmi, comprenderlo meglio e farmi delle idee in proposito. Capita anche in questi tempi interessanti, caratterizzati da sommovimenti continui, preludio a cambiamenti più radicali in fase di formazione. In tutto ciò che sta avvenendo i media, tradizionali e digitali, hanno un ruolo rilevante, anche in ciò che evitano di trattare, nascondono o manipolano per non disturbare i timonieri di turno. In molti casi loro stessi!

Eventi e fenomeni emergenti

La scena sociale e politica di questi ultimi anni è caratterizzata dall’apparire improvviso di movimenti che bruciano come falò inesauribili e che, se vengono spenti, si riaccendono in altre forme, in altri luoghi e con altri combustibili. Sono falò iconizzati da chi li accende e poi dai media, con nomi che servono da parole chiave utili a semplificare la comunicazione, attirare l’attenzione e attivare la viralità digitale. Da qui i nomi di Podemos, Cinque Stelle, Syriza, Gilet Gialli, Gilet Arancioni e Pastori Sardi. 

I media tradizionali hanno scoperto in ritardo questi movimenti, fingono di non comprendere e continuano a non volere approfondire le cause che li hanno determinati. Ne è una dimostrazione la repressa esultanza con cui molti volti noti dei salotti televisivi hanno commentato la sconfitta, seria e reale ma non così determinante, dei pentastellati di Abruzzo. I media digitali fanno da contenitori e casse di risonanza dei messaggi, servono da strumenti politici e di comunicazione, anche per uscire dal cono d’ombra che i media tradizionali tendono a imporre. 

La protesta che sta trasformando le strade di Sardegna in fiumi di latte ne è un esempio. Mentre la protesta dilaga e coinvolge un numero crescente di persone, nei salotti televisivi si continua a discettare di scenari partitici, di lotte per la leadership, di scenari elettorali, ma soprattutto si continua a farlo all’interno di gruppi ristretti di persone, sempre le stesse e non necessariamente le più preparate, anche mentalmente, a comprendere i nuovi fenomeni in ebollizione della realtà presente. 

Popolo e Élite

Mentre si discetta di elite e popolo che non c'è, ci si dimentica di raccontare, anzi di far raccontare ai nuovi protagonisti sociali, il perché e le ragioni della loro protesta, i loro obiettivi e le loro iniziative. Eppure l’audience di Lilly Gruber potrebbe battere ogni record se, al posto dei soliti commentatori stanchi e ripetitivi (come si fa a non prevedere cosa diranno Severgnini, Sallusti o Mieli), coinvolgesse in studio i leader del movimento dei pastori sardi o quelli dei movimenti che, potete scommetterci, arriveranno. Leader che, quando intervistati, dimostrano sempre una grande capacità comunicativa, determinata dalla forza pragmatica della loro comunicazione, legata alla necessità di tradurre parole in azioni concrete e non semplicemente ad alimentare il chiacchiericcio televisivo e noioso che caratterizza molti talk show nostrani. 

E’ forse difficile fare propria la richiesta di un euro per litro di latte o dare spazio a chi la esprime? Forse è difficile capire che questo tipo di richieste nasce da problemi reali (“siamo alla fame”) determinati da diseguaglianze cresciute negli anni per colpa di una politica disattenta ai bisogni della maggioranza dei cittadini? In attesa che qualcuno si ponga queste domande e trovi le opportune risposte, in strada in Sardegna stanno scendendo sindaci, insegnanti, parroci e bambini, tutti uniti per sostenere una causa che non è nata per chiedere un sussidio ma lavoro e la dignità che ad esso è sempre stata associata.

I pastori sardi chiedono riforme strutturali, non dissimili da quelle che invocano gli italiani stanchi da tempo per l’assenza di cambiamento reale. Talmente stanchi dall’aver abbandonato ogni fedeltà partitica per altalenarsi da una estremità politica all’altra, ogni qualvolta il gruppo politico di turno, premiato dalle più recenti elezioni, non mantenga le promesse di cambiamento fatte. Non è un caso che i pastori sardi stiano rivolgendosi anche al politico fortunato di turno per chiedergli di non fare cinguettii contenenti promesse che non siano legate al lavoro, alla sua giusta redditività e alle regole da ridefinire per il mercato del latte. 

Non piangere sul latte versato 

 

Il movimento dei pastori, così come quello dei Gilet Gialli, non è che uno dei tanti che movimenteranno la scena sociale e politica prossima ventura. Basta attendere per scoprire che i tempi sono veramente interessanti, colmi di sorprese, improvvisazioni e sollevazioni. Tutti i nuovi fenomeni hanno la forza dell’evento, nella sua tipica forma di apparire all’improvviso interrompendo il normale flusso delle cose. Anche se non diventeranno oggetto di narrazione, questi eventi determineranno l’emersione di qualcosa di nuovo, un mutamento reale nella realtà, nel modo in cui ci appare e la percepiamo. 

Il primo allarme su ciò che poteva succedere lo aveva lanciato l’economista francese Thomas Piketty con il suo Il capitale del XXI secolo, nel quale raccontava come sempre nella storia, quando le diseguaglianze raggiungono una soglia critica, qualche rivoluzione si presenta all’orizzonte.

Oggi, in assenza di risposte concrete e di fronte all’incapacità delle ideologie politiche egemoni di elaborare strategie e politiche radicali, diverse dalle solite, assistiamo all’emergere di qualcosa di completamente nuovo, che viene dal profondo come un magma in eruzione che non si può più fermare. Non si fermerà perché la povertà crescente è diffusa, l’impoverimento delle classi medie è reale e la percezione che le cose non vanno poi così bene è condivisa da molti.

Il tutto determinato da una serie di concause difficilmente districabili nella loro complessità, ma anche per la mancanza di lucidità nel percepire, comprendere e gestire il malessere crescente. Il problema è grande anche perché non si può tornare indietro, bisogna saper fare i conti con i cataclismi in arrivo e farlo con approcci sistematici finalizzati a costruire una nuova economia, fondata sulla solidarietà e capace di affrontare seriamente il problema della diseguaglianza. 

Cosa fare

Il primo passo da fare è parlarne, rifletterci sopra per orientare pensiero e azioni, contribuire al cambiamento e contrastare ogni tentativo di ritorno al passato. Siamo sull’orlo del caos e proprio per questo aperti a nuove possibilità. La direzione che esse prenderanno non è ancora determinata. Da una parte c’è il risentimento, la rabbia, la violenza repressa che si stanno manifestando attraverso mille segnali (razzismo, misogenia, omofobia, fascismo, ma anche depressione, ricorso a nuove droghe e fughe nella realtà digitale). Dall’altra c’è la solidarietà, la compassione, l’apertura mentale al nuovo e al diverso, la volontà a incidere attivamente per far pendere il futuro da questa parte della biforcazione in atto.

La prima parte è oggi ben rappresentata da nuove forze politiche che stanno conquistando i favori degli elettori. La seconda sembra essere acefala, senza guida e senza speranza, ma forse proprio per questo più promettente e sorprendente, legata alla consapevolezza che il futuro non è ancora scritto e ha le sue radici nel presente. Modificando o incidendo su queste radici si finisce per dare forma al futuro.

Per incidere bisogna capire quello che sta succedendo e non lo si può fare assistendo alle vuote chiacchiere televisive o alle tempeste di merda dei media digitali. Bisogna sporcarsi le mani, dire forte quello che si pensa (“I pastori sardi hanno ragione”), contribuire a elaborare pensiero, concetti e nuove idee che possano essere condivisi, diventare oggetto di riflessione e piattaforma di un nuovo sentire e agire. Bisogna continuare a credere che il cambiamento è possibile e soprattutto trovare le motivazioni per impegnarsi perché si realizzi.

 

 

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