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IL VUOTO IN CUI SIAMO PRECIPITATI

IL VUOTO IN CUI SIAMO PRECIPITATI

04 Ottobre 2024 Carlo Mazzucchelli
Carlo Mazzucchelli
Carlo Mazzucchelli
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Il vuoto di cui voglio parlare è in primo luogo quello che sto creando tra me e i media italiani che hanno dimenticato (mia percezione), ma forse non hanno mai saputo, raccontare la realtà (verità). La distanza cresce per come vengono raccontate le crisi del nostro tempo malato, per l’ignoranza (non conoscenza) che trapela sui fatti, sugli eventi, sui fenomeni, in particolare quelli che riguardano le guerre in corso. Per capire quello che sto dicendo suggerisco di leggere il libro, appena pubblicato in Italia, di Emmanuel Todd: La sconfitta dell’occidente. Mi sono ritrovato in molte tesi e riflessioni in esso contenute, rispecchiate anche qui in molte delle cose che ho scritto.

Poi c’è il vuoto che molti sperimentano per essere diventati individualisti e narcisisti, ma soprattutto nichilisti, per avere abbandonato credenze religiose e metafisiche, ideologie e utopie, abbandonando ogni pulsione o motivazione a cambiare la realtà, accontentandosi di essere uguali (l’era dei tutti uguali di Byung-Chul Han) agli altri nei consumi, nello stile di vita, nei comportamenti e nei modi di pensare. Una conseguenza dell’essere tutti uguali è che si è diventati tutti dei nani, per di più molto cattivi, intolleranti, sia nella sfera privata sia in quella pubblica. 

Poi c’è il vuoto di cui ha parlato nel 1983 (1983-1993 Editions Gallimard) il filosofo francese Gilles Lipovetsky, autore che leggo da sempre, unitamente ad altri autori francesi come Francois Jullien, Miguel Benasayg (argentino d’origine), Edgar Morin ed Eric Sadin. Il libro (L’era del vuoto) registrava il passaggio alla società postmoderna come un passaggio verso l’individualismo e l’indifferenza di massa che ha determinato la perdita di fiducia nel futuro. Tutti o quasi sono concentrati sul presente e pochi trovano il tempo da dedicare a forgiare l’uomo nuovo che verrà. Un compito diventato oggi prioritario considerando l’avvento delle intelligenze artificiali e di narrazioni che le raccontano come inevitabili, progressive e vincenti. 

Precipitati da tempo nel vuoto non ne percepiamo il ristagno che ne viene generato e gli effetti collaterali che ne derivano, quali la confusione tra informazione e conoscenza, l’evanescenza delle forme di espressione utilizzate, la prevalenza dell’atto di comunicare sui contenuti e la natura stessa del comunicare (dialogare, conversare, confabulare), la trasformazione della realtà in oggetti e prodotti da consumare e oggettivizzare, l’accontentarsi delle narrazioni mainstream, l’accettazione passiva di un linguaggio che rimbomba senza alcuna conseguenza pragmatica, la disaffezione verso la cosa pubblica e i beni comuni, la fuga da ogni attività (politica) collettiva e responsabilità, l’affermarsi di un narcisismo che è l’essenza stessa del vuoto. 

Dal vuoto che si è generato e nel quale ci siamo rintanati, contenti delle regalie ludiche e delle gratificazioni consumistiche elargite dall’alto, ne è derivata quella che sia Lipovestky sia Todd chiamano realtà popolata da zombie. 

Zombie (“trafitti dai messaggi”) sono tutti coloro che a forza di rispecchiarsi in uno schermo si innamorano così tanto della loro immagine da perdere i contatti con il proprio Sé. Questo per Lipovetsky. Zombie per Todd lo siamo invece diventati tutti, dentro democrazie (?) nelle quali l’individualismo, l’atomizzazione e il vuoto che ne derivano rende tutti deboli rispetto al potere ed ai suoi apparati (media, élite accademiche, ecc.). Per Todd poi siamo anche diventati zombie per avere secolarizzato la nostra religione e le sue pratiche. E questo, sempre secondo Todd (ma lo penso anche io da tempo) è una delle cause del declino (della sconfitta) dell’occidente.

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