Su Facebook ma soprattutto attraverso Flickr, Pixart, Instagram, Pinterest e SnapChat, la vita è raccontata con immagini, inquadrature fotografiche e narrazioni visuali. La comunicazione attraverso immagini è diventata rito sociale ed elemento stabile degli stili di vita di milioni di persone che, dotate del loro dispositivo mobile, sono oggi in grado di catturare, con lo scatto di una fotocamera, una miriade di oggetti, situazioni e persone trasformandole in immagini, icone, entità interattive e performative e in soggetti virtuali autonomi. Immagini capaci di una loro vita propria, in grado di cambiare l'ambiente nel quale vengono proiettate e le persone con cui stabiliscono un contatto visivo e una relazione emozionale o cognitiva.
👩🚒️👩🚒️ La libertà de(a)llo schermo
Le tecnologie hanno modificato il nostro rapporto con il tempo e con lo spazio e fornito all'immagine lo strumento perfetto per realizzare meglio quanto in realtà è sempre stata capace di fare, determinare il destino di chi la guarda. Ne fa testo dall'antichità il mito di Medusa capace di pietrificare chiunque la guardasse o la triste storia della moglie di Lot, ridotta in un mucchietto di sale per avere osato guardare per l'ultima volta la sua città da lontano. La società tecnologica multimediale e tecnologica attuale ha cambiato le forme della comunicazione, la percezione della realtà (non solo fattuale ma anche virtuale) e le esperienze psichiche (legate a ricordi, emozioni, ecc.) solitamente associate alla visualizzazione di un'immagine.
Il potere dell'immagine è paragonabile alla potenza della tecnologia che ne favorisce la diffusione e la proliferazione. Le due forze unite insieme hanno dato forma a ambienti virtuali, tecnologicamente modificati, nei quali è impossibile sfuggire alla tirannia del MiPiace così come al diluvio travolgente delle immagini. La sensazione di impotenza che può colpire ogni individuo è tale da rendere impossibile elaborare strategie difensive e di fuga. Si potrebbe chiudere gli occhi ma il nostro cervello continuerà a proporci le immagini dentro di noi, oppure addormentarsi ma i sogni continueranno a presentarsi in forma di immagini.
Una terza opzione e possibile via di fuga è quella di ridurre l'esposizione cognitiva e visiva alle immagini digitali tornando a una dimensione ed esperienza limitata, fatta di immagini tradizionali, quelle che da sempre la vista ci ritorna negli ambienti che abitiamo, nei viaggi che facciamo e nelle esperienze sentimentali ed emotive che sperimentiamo. Se è vero che le immagini condizionano pensiero ma anche sensibilità e comportamenti, farsi guardare da immagini reali, non virtuali, può aiutare a comprendere il ruolo creativo dell'immagine, a favorire la percezione scenica di un contesto naturale e l'empatia, il godimento di sé stessi e l'esperienza del senso di meraviglia che sempre si manifesta di fronte alle opere della natura, allo spettacolo della Terra e alle bellezze prodotte dalla creatvità umana. (per approfondire meglio questi concetti suggerisco la lettura di Immagini che ci guardano di Horst Bredekamp).
Distogliere lo sguardo dalle immagini del display permetterebbe di alzare lo sguardo verso l'alto, un comportamento che è alieno ai cittadini di New York o Chicago ma anche a milioni di bambini della generazione Z che hanno lo sguardo sempre basso. Uno sguardo rivolto ai display dei loro dispositivi che tengono sempre tra le mani, che sta rubando loro la magia e l'incantamento che sempre nascono da esperienze visuali emozionanti e diverse.