E se a salvarci non fosse la tecnologia, neppure l’intelligenza artificiale, ma l’anima, nelle molte accezioni con cui ognuno di noi vi si riferisce: psiche, coscienza, intelletto, Sé, spirito, consapevolezza, ecc.? E se fosse così, come e quanto ci stiamo preparando alla salvezza? E se ciò che servisse veramente fosse il riportare l’attenzione all’attività interiore, rinunciando all’esteriorizzazione del Sé sulle piattaforme online? E se gli strumenti che ci servono per affrontare la sfida fossero già tutti disponibili, ma disabilitati e sostituiti da strumenti di cui ci siamo innamorati senza valutarne effetti e conseguenze?
LA POCHEZZA DEL DIBATTITO ONLINE
Nella vita infelice e incerta, esteriorizzata e appiattita, colonizzata dalla tecnologia e consumerizzata nei comportamenti come quella attuale, ci sentiamo tutti imprigionati, usati. Viviamo dentro mondi virtuali e anche quelli reali, visti dallo specchio del solo intelletto utilitaristico, non sono che riflessi di realtà che ci fanno sentire psichicamente labili, emotivamente malati, esistenzialmente in crisi.
Il disincanto crescente, il malessere diffuso, l’impossibilità percepita di nuovi possibili, la resa a cui ci siamo sottoposti, ci impediscono di rivolgere lo sguardo dentro di noi (non a noi, lo sguardo non può essere narcisista). Se lo facessimo troveremmo l’energia che ci serve, la passione che ci manca, il tempo di cui ci priviamo regalandolo al chiacchiericcio rubatempo online. Sentiremmo più forte la necessità di dotarci di nuova conoscenza per affrontare le sfide, condivise con moltitudini, multiformi e multiversali dei nostri tempi.
Mentre molti sono oggi impegnati a creare nuovi possibili per l’Intelligenza Artificiale e ad allenarla a conoscere le sue energie, conoscenze, e passioni, che saranno la base su cui in futuro potrebbe anche costruire la sua vita transumana interiore, l’uomo moderno è sempre più in bilico, senza anima, spossato per lo sforzo tecno-eistenziale e impossibilitato a reagire, a ricercare nuove vie, oltrepassando il presente, andando altrove, cercando un oltre che ridia senso alla sue esistenza, alla sua vita e alla sua ricerca di completezza.
Impegnarsi a ritrovare un’anima è tanto più necessario quanto più siamo ormai ibridati tecnologicamente, obbligati a fare i conti con il nuovo Golem (mostro) tecnologico impegnato a costruire la società, e forse la civiltà, cyborg del futuro. Tutti percepiscono di vivere un’era alla fine dei tempi, e non solo per le sue crisi ricorrenti. Il momento è cruciale, serve una trasformazione (più che digitale) culturale profonda. Unico modo per iniziarla è di tornare a investire pesantemente (“whatever it takes”) sull’uomo, sull’umano, nella sua complessità.
Un primo passo potrebbe essere un impegno maggiore (committed) nella ricerca della propria anima, alla scoperta del suo campo di forze, facendo esperienza dei suoi potenti strumenti, in modo da saper affrontare, individualmente, il nuovo (postumano) che sta arrivando.
Poi tutti potremmo tornare beatamente a parlare o a farneticare sull’Intelligenza Artificiale e sul ruolo che essa avrà nell’evoluzione futura del genere umano, che poi saremmo noi, presi individualmente e socialmente.