Il mancato entusiasmo credo dipenda da una forma di ribellione contro la diffusa pratica a ridurre tutto, compresa la mente, a fattori computazionali e algoritmici. Nonostante la narrazione vincente continuo a pensare che noi non siamo un computer, che i nostri neuroni (cellule) non siano semplici unità computazionali, che la realtà interna così come quella esterna non possano essere incapsulate in codici computazionali, che le sinapsi del nostro cervello evidenzino un’intensità e oserei dire una libertà inesprimibili da qualsiasi computer oggi esistente, che la coscienza sia qualcosa di grande, di globale, che non può essere isolata o ricreata attraverso simulazioni, che calcolare non significhi intendere, comprendere.
A sedare l’entusiasmo poi c’è la diffusa accettazione, che vedo come umanamente superficiale, di tecnologie che, mentre si mostrano prepotenti nella loro volontà di potenza, dovrebbero sollecitare tutti a porsi domande profonde, umanistiche, esistenziali, critiche e anche etiche. Uguali domande dovrebbero essere poste sul linguaggio usato, che sembra appiattire le parole su significati impoveriti, perché indotti e viralizzati da abili campagne marketing e storytelling opportunamente costruiti. Un esempio su tutti, il modo con cui si usa la parola creatività per descrivere le meraviglie elargite dalle nuove IA generative, come se la creatività fosse qualcosa di calcolabile e come se la calcolabilità creativa di un computer fosse sufficiente per descrivere la creatività umana.
Su tutto domina, secondo il mio modesto parere, l’assenza di ogni attenzione (fenomenologica) all’esperienza sensoriale, scarsa riflessione sulla differenza tra pensiero umano e “pensiero” sviluppato da una macchina, molta supponenza nel parlare di IA dotate di coscienza quando a oggi la coscienza umana non sappiamo ancora cosa sia, difficoltà a comprendere quanto sia oggi importante riflettere, discutere e raccontare le specificità della nostra intelligenza in termini di comprensione, di consapevolezza, invece di celebrare le capacità intelligenti di macchine capaci solo di funzionare (più o meno bene, visto il numero di allucinazioni che stanno generando), calcolare, elaborare, risolvere problemi e fornire soluzioni (soluzionismo). E poi non ci si interroga a sufficienza di quanto le nostre scelte, le nostre decisioni siano “determinate”, legate all’ambiente nel quale siamo inseriti o semplicemente casuali, legate a fenomeni emergenziali e fuori dal nostro controllo.
L’arrivo delle nuove intelligenze artificiali ha messo in secondo piano il Metaverso, che sembrava il nuovo trend emergente su cui focalizzare attenzione e storytelling. Di Metaverso si tornerà a parlare presto. Colonizzata e resa artificiale la mente bisognerà colonizzare e rendere virtuale il corpo.