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Notre Dame e il fuoco

Notre Dame e il fuoco

16 Aprile 2019 Carlo Mazzucchelli
Carlo Mazzucchelli
Carlo Mazzucchelli
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Stupidità, disattenzione, incuria e assurdità umane, o forse semplice casualità. Un simbolo è stato colpito e con esso l’unità ampia di significati ad esso associati. A distruggerlo è stato un altro simbolo, più forte e indistruttibile perché fondato nel mito e nel sogno, descritto nei poemi e nei romanzi per la sua capacità evocativa, distruttiva e rigeneratrice.

Il fuoco come elemento distruttivo ha la stessa forza dell’impulso di distruzione che gli umani hanno ripetutamente mostrato di avere. Un impulso che potrebbe anche essere inconsapevolmente alla base della devastazione della cattedrale più nota e visitata al mondo. Una cattedrale che ha celebrato il suo autodafè in prima serata, davanti alle platee televisive di tutto il mondo e occupando per ore tutte le piattaforme digitali.

Milioni di persone hanno contribuito ad alimentare altre fiamme rispetto a quelle che nel frattempo divoravano una cattedrale centenaria. Fiamme virtuali, utilizzate per sollecitare emozioni, per raccogliere Like e condivisioni piuttosto che scatenare pensieri e riflessioni. Fiamme secolarizzate che hanno alimentato lacrime virtuali, anche di coloro che Notre Dame non avevano mai vista e mai avranno interesse a visitare. 

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Una rappresentazione teatrale

Quella di Notre Dame è stata una rappresentazione all’altezza del nome. Ha saputo creare panico tra gli spettatori presenti e richiamarne di nuovi. Ha provocato emozioni forti, affascinando per la potenza della sceneggiatura messa in scena e per l’elemento scelto per rappresentarla. Nulla più del fuoco è infatti capace di attirare l’attenzione, catturare la vista, far nascere paura e senso del pericolo e generare un timore diffuso capace di produrre danni. Come quelli che sempre si generano quando una massa di persone si trova circondata dalle fiamme in uno spazio chiuso e cerca, inutilmente, di trovare una via di fuga verso porte mai grandi abbastanza per lasciare uscire tutti. 

La sceneggiatura andata in onda non poteva essere migliore. Neppure se si fosse dato ascolto a registi improvvisati e cinguettanti che suggerivano l’utilizzo di macchine da teatro più potenti come in Canadair. Le fiamme si sono propagate con rapidità e in modo scenografico, prima accerchiando la guglia simbolo della cattedrale, poi propagandosi in modo contagioso come un’onda che ha ricordato quelle della Tempesta di Shakespeare. 

«Se con la vostra arte, amatissimo padre, avete
sollevato quest'urlo dalle onde selvagge, ora calmatele.» 

Lo spettacolo è stato visto, anche dalle telecamere e dagli smartphone, da lontano. L’ubicazione della cattedrale e lo spazio da essa occupati era nota a tutti e là tutti hanno rivolto il loro sguardo incredulo, incuriosito e spaventato. Lo sguardo si è diretto là dove doveva andare in modo automatico, perché si sa sempre dove puntare lo sguardo quando sul palcoscenico sta andando in scena uno spettacolo interessante. La concentrazione dello sguardo ha fatto sparire la città di Parigi a chi era presente nelle sue strade e gli altri spettacoli televisivi o narrazioni online per chi era davanti a un display. Per tutta la durata dello spettacolo il fuoco che si è mangiato Notre Dame ha fatto dimenticare a tutti le loro vite, i loro rapporti (contatti) e le loro abitudini. 

Uno spettacolo dai ritmi perfetti

Lo spettacolo si è dipanato con un suo ritmo, quasi musicale, scandito dalle canne d’organo generate dalle fiamme e dai crepitii di legni ancestrali che mai avevano visto fiamma o fuoco lambire le loro venature. Un ritmo mai uguale, sobbalzante, danzante, quasi programmato per durare come le danze dei dervisci rotanti,  eseguito come per richiamare attenzione e suggerire concentrazione. Il ritmo del fuoco che ricorda quello dei gironi danteschi e dei demoni che li popolano ("Lasciate ogni speranza, o voi ch'entrate!"). 

Una cattedrale che ha fatto la storia religiosa e laica (come non ricordare la ballerina portata in processione verso il suo altare durante la Rivoluzione Francese o l’auto-incoronazione di Napoleone?) con questo incendio ha lavorato in modo magistrale per la sua posterità. Mettendo in scena una variante ha interrotto una sequenza invariabile di eventi che la vedevano semplice protagonista passiva delle azioni di milioni di visitatori o turisti per caso. L’incendio le ha permesso di uscire dall’invisibilità routinaria e di riconquistare la scena. Con una recitazione che verrà ricordata nei secoli dai posteri, sarà integrata in una storia centenaria ricca di eventi e rimarrà nella cache del cloud computing di Google per sempre. 

Immolazioni e roghi 

Testimone del rogo di Jacques de Molay, ultimo Gran Maestro Templare, arso vivo davanti alle sue torri per editto di Filippo IV il Bello e di Papa Clemente V, con l’accusa di adorare il maligno, per una volta Notre Dame ha fatto da richiamo per un altro tipo di esecuzione, la propria. Non voluta, non desiderata ma seguita da una grande folla come grandi furono quelle che seguirono i roghi dell’inquisizione francese a Parigi così come in tutta la Francia. Le vittime di quei roghi trovavano spesso sollievo in carnefici o boia sensibili che le strangolavano prima di appiccare il fuoco alle fascine. La vittima Notre Dame non ha ricevuto alcun sollievo e ha dovuto assistere alla propria immolazione in piena consapevolezza di quanto stava accedendo. 

A rubare la scena a Notre Dame è stato il fuoco, sempre uguale nella sua essenza e potenza e indipendentemente dalle sue cause. Il fuoco che ha distrutto la guglia e il tetto della cattedrale è dilagato in modo insaziabile e veemente. Ha contagiato trave dopo trave mangiandosi una foresta di querce che era stata sacrificata per celebrare la grandezza di Dio e l’abilità costruttrice degli uomini. Travi indifese, separate da secoli, sono state unite impotenti in un abbraccio che in poco tempo le ha divorate. Alla fine, dopo molte ore, il fuoco è stato domato portandolo all’estinzione. Ma il fuoco che ha bruciato Notre Dame non è sparito. 

Il fuoco cova sotto la cenere

Vinto dall’acqua, sua acerrima nemica, e dall’abilità umana nel domarlo, il fuoco cova sotto le ceneri e sopravvive altrove. Nelle tante periferie urbane che il fuoco lo hanno alimentato negli ultimi mesi per le strade principali di Parigi. E’ un fuoco violento, pieno di vitalità, alimentato dalla rabbia montante e diffusa per la disuguaglianza e la povertà crescenti, che ha mostrato la sua capacità di dilagare rapidamente, dappertutto (non solo in Francia) e con caratteristiche simili. E’ un fuoco che è diventato metafora perfetta per le masse di persone che, in ogni parte del mondo, si stanno formando per protestare, rivendicare diritti, chiedere rappresentanza o sostituire quella che hanno ritirato alle forze politiche al potere. Come il fuoco, queste masse nascono ovunque, spesso all’improvviso e spontaneamente, sono contagiose e richiamano un numero crescente di persone, per poi altrettanto velocemente scomporsi ed estinguersi. 

Come scriveva Elias Canetti “tra i tratti pericolosi della massa spicca particolarmente la tendenza incendiaria”. Gli uomini hanno imparato da tempo a maneggiare il fuoco controllandolo, ad esempio negli incendi volontari di boschi e foreste per creare terreni utili alle abitazioni e alle speculazioni immobiliari.

Ma il fuoco può sfuggire di mano o causare danni per essere stato usato per richiamare l’attenzione. Il fuoco che ha devastato Notre Dame ha richiamato l’attenzione ed è sfuggito di mano, anche se dopo numerose ore è stato domato. Quello che cova sotto la cenere delle nazioni che si preparano alle elezioni europee è un fuoco pronto a divampare in modo contagioso ovunque.

Meglio predisporre Canadair e acqua in abbondanza!

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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