La percezione che accomuna molti è di catastrofi prossime venture ormai inevitabili, il pensiero si fa pessimista perché ormai sappiamo in che casino siamo precipitati, il problema è cosa fare e come agire. Con un problema in più! Imprigionati dentro un oscurantismo algoritmico che governa in modo binario e semplificato le nostre vite, agiamo spesso senza pensare, senza neppure conoscere e comprendere prima di agire, ci lasciamo vivere.
👩🚒️👩🚒️ Il Decamerone al tempo del Coronavirus
Il disorientamento che ne deriva è sublimato in narcisismo e attivismo online ma non superabile. E a nulla servono le ricette felicitarie offerte da pratiche buddiste o servite da coach, chef e guru più o meno esperti. Ogni sguardo sul mondo, agito con gli occhi bene aperti, ci ritorna la percezione netta, non solo visiva ma anche intestinale ed emozionale (enterocezione), corporale (esterocezione), che qualcosa si è rotto e non è più facilmente riparabile, sicuramente non in modo indolore o in tempi brevi.
Ci riteniamo così bene informati (ma non tutto è informazione!) e così bravi ad offrirci alle narrazioni che ci raccontano e plasmano il mondo dall’aver dimenticato che non tutto può essere smaterializzato e digitalizzato e tantomeno raccontato, che un profilo digitale non è un profilo incarnato, che la mappa non è il territorio (bisognerebbe dirlo a Putin). La pandemia, la guerra, l’inflazione e il costo dell’energia, le calamità naturali, sono tanti elementi che ci riportano dentro la realtà che noi siamo e per questo motivo ci agitano, ci mettono ansia, ci mandano in confusione, ci suggeriscono di cambiare anche se non sappiamo come fare.
Percepiamo con forza l’urgenza di fare qualcosa ma ci sentiamo impossibiliti a farlo, ci limitiamo alla narrazione e alla rappresentazione mediale e iconica online. Così facendo ci votiamo all’inazione e all’impossibilità di agire concretamente nel contribuire a cambiare le cose (coproduzione degli scenari futuri direbbe il filosofo).
Ciò che sta succedendo nel mondo sembra raccontare quanto la tecnologia sia diventata fondamentale nel definire gli scenari futuri e risolvere i problemi presenti. In realtà acuisce la sensazione negativa che neppure l’efficienza, il soluzionismo e la potenza della tecnologia siano in grado di fornire le risposte che andiamo cercando per immaginare scenari futuri diversi e meno catastrofici.
Non ci rimane che tornare a essere umani, riconoscere la nostra fragilità e i nostri limiti, ad accettare la complessità (tutto è ormai intrecciato), a partire dall’accettazione che viviamo un tempo della discontinuità, della rottura paradigmatica, dell’orlo del caos e del salto nel buio. Siamo chiamati ad agire, all’impegno, alla consapevolezza e alla responsabilità. Un agire che dovrà essere incarnato, immerso nella realtà fattuale del vissuto, politico.