2017 - 100 strategie analogiche per resistere al digitale (e allo smartphone) /

Condividere non dà la felicità e non è sempre la scelta giusta

Condividere non dà la felicità e non è sempre la scelta giusta

01 Ottobre 2017 Redazione SoloTablet
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Il libro di Carlo Mazzucchelli 100 strategie analogiche per resistere al digitale (e allo smartphone) è pubblicato nella collana Technovisions di Delos Digital

Condividere non dà necessariamente la felicità e non è sempre la scelta giusta

 

Le piattaforme tecnologiche di social networking hanno contribuito alla retorica diffusa sulla condivisione come evento capace di produrre felicità personale e benessere. È una retorica utile alla trasformazione di Facebook, Instagram e altre piattaforme in moderne religioni, fondate sulla promessa salvatrice e felicitaria del mezzo tecnologico e che in realtà serve a giustificare il fatto che queste piattaforme sono sempre meno una libera scelta e sempre più un obbligo sociale ("se non sei su Facebook, non esisti").

La retorica che accompagna i meccanismi della condivisione sui social network suggerisce una riflessione approfondita sui significati della condivisione digitale per comprenderne le trappole semantiche e svelarne le ambiguità ma anche per sottolinearne la non obbligatorietà. Per farlo non è necessario abbandonare il mezzo tecnologico dopo averlo classificato come incarnazione del male ma usarlo consapevolmente, studiarlo e comprenderlo in modo da formulare una propria visione soggettiva dello strumento e delle sue funzionalità, compresa quella della condivisione. 

Per condividere qualcosa online è necessario esistere digitalmente attraverso un profilo e un account, significa connettersi e poi andare alla ricerca del contatto, della relazione e dello scambio, tutte pratiche all'apparenza rese facili dalla velocità del mouse o dello schermo tattile ma in realtà difficili, non immediate e anche poco naturali, esattamente come lo sono nella vita reale fuori dallo schermo e dal Web. La condivisione non è naturale nè semplice anche nella vita reale, basta osservare quanta fatica si faccia a condividere (condivisione come dono e gratuità) i nostri spiccioli con i numerosi migranti africani che in citta come Milano presidiano ormai ogni panetteria o edicola.

Una condivisione che si limitasse al dono non sarebbe vera condivisione, sarebbe circoscritta al bene materiale, al suo possesso, alle diverse gerarchie di chi lo possiede e all'affermazione individuale (citazione dal libro L'arte della condivisione). La condivisione vera nasce dall'agire comune tra persone che, nella stessa comunità o gruppo di appartenenza, valorizzano un sentire comune originato dalla disponibilità a relazionarsi con gli altri. Oggi la retorica della condivisione tecnologica, compresa quella della cosiddetta sharing economy, ha trasformato il termine e il concetto che la definisce in una specie di grimaldello con cui è possibile aprire porte diverse, che vanno dalla condivisione di un MiPiace, a quella di un file o di uno spazio virtuale di lavoro, ecc.. Questo tipo di cognizione della condivisione rischia di far perdere il suo significato vero, fatto di agire comune ed esperienze relazionali ma anche il fatto che condividere non è un gesto obbligatorio e neppure sempre gratificante e felicitario.

Lo sanno molto bene, in Rete e sui social network, quei giovani che condividono qualsiasi cosa senza rendersi conto che così facendo stanno regalando alle piattaforme che usano e a chi le abita, un profilo, non solo virtuale, di quello che sono (personalità, valori, idee, opinioni, carenze, ecc.), esponendosi in questo modo a rischi, vendette e scherzi non previsti in forma di bullismo digitale, sexting e stalking sessuale. 

Online le ragioni per condividere qualcosa sono numerose: si condivide per dare valore a una relazione, per definire meglio il proprio profilo digitale, per aumentare quantità e qualità delle relazioni, per sentirsi soddisfatti, per allargare conoscenze e conversazioni su temi e idee politiche che si amano.

Bisogna però anche valorizzare la motivazione che porta a nessuna condivisione. Ad esempio rinunciando a condividere un cambio di stato determinato da un evento o da un momento di felicità, per regalare un sorriso alle persone incontrate in strada, sentendosi felici per vederlo contraccambiato. Una condivisione visiva, tattile, uditiva, olfattiva ed emotiva. Questa sì capace di produrre nuova felicità.

 

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