Il libro di Carlo Mazzucchelli 100 strategie analogiche per resistere al digitale (e allo smartphone) è pubblicato nella collana Technovisions di Delos Digital
In bici tieni le mani sul manubrio e dimentica di essere connesso
Per Claude Marthaler che ha girato il mondo in bicicletta per sette anni ed è autore del libro Lo zen e l'arte di andare in bicicletta, la bicicletta per i ciclisti non è un semplice mezzo di trasporto ma un prolungamento del Sé e del loro corpo. A essere diventato protesi del corpo è anche lo smartphone, strumento di comunicazione che non ha ancora trovato cantori capaci di descriverne la filosofia zen.
Il dispositivo tecnologico si è rimpicciolito, evita di diventare obeso
Andare in bicicletta secondo Claude Marthaler permette di personalizzare il mondo, vissuto come spazio ludico di conoscenza, rendendolo "[...] più vicino, più comprensibile, più indispensabile", aumentando "la nostra attenzione agli infimi dettagli e accendendo il nostro senso dell'allerta". L'uso dello smartphone in mobilità al contrario riduce lo spazio mondo conosciuto, distoglie lo sguardo dai dettagli circostanti e impedisce ogni senso di allerta aumentando la distrazione e il rischio di incidenti. Tutte le statistiche mondiali indicano in uno su quattro il numero di incidenti stradali causati dall'uso di un dispositivo tecnologico. È un'epidemia destinata a diffondersi su tutte le strade del mondo il cui mezzo di diffusione è spesso uno smartphone ma il cui virus è la distrazione umana, in auto, in moto e in bici, causata dall'irresistibilità e dall'urgenza di una chiamata, di un messaggio alla ricerca di feedback e di reazioni immediate.
La distrazione determinata dall'uso del dispositivo tecnologico non è solo dell'automobilista, responsabile della morte di un numero crescente di pedoni e ciclisti, ma anche dei ciclisti. Impegnati spesso in conversazioni telefoniche, a messaggiare o ad ascoltare musica con i loro dispositivi MP3, sono responsabili di comportamenti che provocano incidenti ad altri e mettono a rischio la loro stessa vita. L'Italia non fa eccezione, anzi è un paese talmente legato all'auto e alla sua cultura da essere considerato nemico della bicicletta e di chi la usa per andare al lavoro o nel tempo libero.
Sulle strade italiane, in città come sulle piste ciclabili e in campagna, la strage di ciclisti è continua: solo nel 2015, secondo dati ISTAT, i morti in sella a una bici sono stati più di duecentocinquanta, uno ogni trentacinque ore. Un numero crescente di queste morti è causato da distrazione dovuta all'uso di un dispositivo, sia da parte dell'automobilista sia da parte del ciclista. Un'abitudine così diffusa da suggerire l'urgenza dell'introduzione di norme legislative e restrittive con l'obiettivo di fermare la strage.
Come molte altre leggi urgenti che riguardano la vita dei cittadini, anche la legge salva-ciclisti è destinata a rimanere ferma a lungo nei labirinti della politica e nelle pastoie burocratiche che li caratterizza. In assenza di una legge non rimane che tenere le mani ben salde sul manubrio, resistere a ogni chiamata o cinguettio tecnologico e soprattutto a qualsiasi tipo di interazione che comporti la scrittura di un testo o l'invio di immagini mentre si è in movimento.
Meglio dimenticarsi di essere connessi, attrezzarsi per aumentare la visibilità su strada e soprattutto mantenere alto il livello di attenzione per evitare sia gli effetti della distrazione propria sia quelli della distrazione altrui.