Il libro di Carlo Mazzucchelli 100 strategie analogiche per resistere al digitale (e allo smartphone) è pubblicato nella collana Technovisions di Delos Digital
Non trattare le macchine come persone e le persone come macchine
In una realtà mista, virtuale e reale, di mondi paralleli abitati sempre più da un'umanità varia, alla Blade Runner (i mutanti che ora ritornano nel nuovo film da poco in circolazione) e alla Guerre Stellari (tutti si ricorderanno la scena del bar popolata da una miriade di razze aliene), umani, umanoidi, replicanti, cyborg, macchine intelligenti, robot indossabili alla Robocop o Iron Man, Chatbot (come nel film Her) e simbionti non sono più semplici concetti e denominazioni usate per distinguere specie simili ma tra loro diverse, specie non necessariamente aliene o ostili al genere umano e alla civiltà che le ospita (inuna visione transumanista i replicanti di Blade Runner 2019 ad esempio superano la stessa specie umana attraverso la capacità di generare).
Sperimenta ogni tanto il suono sporco e graffiante di un LP analogico
Il robot e la macchina, pensanti, dotati di intelligenza artificiale e capaci di apprendere, hanno assunto sembianze umane e, come surrogato dell'uomo, stanno suscitando riflessioni intellettuali e filosofiche ma soprattutto paure e nuove aspettative. Le macchine stanno diventando compagne stabili degli umani in molte delle loro attività e ambiti esperienziali, non necessariamente percepite come pericolo ma anzi considerate come amicche sensibili, compagne fedeli e affidabili, entità con le quali è piacevole interagire e relazionarsi. Questo anche se la macchina non è ancora dotata di autocoscienza, non ha alcuna possibilità di guardarci come ci guarderebbe un nostro simile e soprattutto di relazionarsi a noi nel senso umano del termine. Come hanno scritto Roberto Cingolani e Giorgio Metta nel loro libro Umani e umanoidi, "...la macchina interagisce con noi seguendo algoritmi di intelligenza artificiale, che per quanto sofisticati da consentirle di parlarci, di scrivere, di guidare un'auto e di prendere piccole decisioni operative, non hanno alcunchè di sentimentale, di personale o di emozionale".
In un contesto ibridato tecnologicamente, si rischia di guardare a queste macchine robotiche e umanoidi come a replicanti, esseri quasi umani, trattandole come siamo abituati a trattare altri esseri umani. Al tempo stesso, condizionati dalla pervasività degli strumenti tecnologici che, in forma di protesi terminali dei nostri sensi, stanno determinando sempre più le modalità e le pratiche comunicazionali, lavorative e relazionali, rischiamo di trattare gli esseri umani come se fossero macchine, semplici terminali riceventi e comunicanti assimilabili ai dispositivi che stanno usando, essi stessi replicanti agli occhi di nuove generazioni di macchine intelligenti e autonome.
Succede così che invece di ascoltare lo sviluppo completo di un pensiero o di una riflessione ci si distragga per controllare l'arrivo di nuovi messaggi sul display, indisponendo il proprio interlocutore ma soprattutto interrompendo ogni sintonizzazione cognitiva raggiunta con quanto stava cercando di comunicare. Comportamenti simili sono riscontrabili in ogni ambito di vita quotidiana, a pranzo, al lavoro, in treno e in camera da letto. L'interruzione continua e l'attenzione rubata dal display sempre acceso non sono che segnali di un cambiamento in atto nelle relazioni umane. Se quando si parla si è sempre interrotti e poco ascoltati è facile percepirsi assimilati a macchine-robot che possono essere messe in pausa, spente e riaccese a piacimento, ripartendo nell'interazione da dove ci si era interrotti. Come succede in Netflix con i film la cui visione non è stata completata.
Una funzionalità questa della quale gli umani non sono ancora dotati perché la ripartenza non dipenderebbe da semplici criteri tecnici e di misurazione del tempo. Sentendosi trattati da semplici macchine algoritmiche, è più facile vivere la relazione con il dispositivo tecnologico attuale, domani con una macchina intelligente, come se fosse normale e quasi umana. La normalità che emerge da pratiche di interazione prolungate può portare a proiettare sulle macchine sentimenti ed emozioni umane, amicizie e fantasie, paure, ansie e bisogni e il nostro stesso Io. Le stesse pratiche possono però portare a trattare le numerose persone che si incontrano nelle attività di ogni giorno come semplici macchine. Provate a pensare ad esempio alla sparizione di ogni forma di dialogo con il cassiere di un punto vendita Esselunga o Coop, o alla scomparsa degli operatori dei caselli autostradali ai quali si poteva chiedere chi aveva vinto il derby tra Milan e Inter.
La cosa è ancora più grave se si pensa che molte persone in procinto di essere sostituite dalle macchine (in Esselunga l'introduzione di sistemi di cassa veloce indica a tutti qual è la direzione presa e la sua destinazione) manifestano la loro insofferenza quando qualcuno si rivolge a loro come esseri umani. È come se avessero introiettato il loro destino e la loro evoluzione futura verso un mondo più conveniente e facile ma anche meno cordiale e umano. Un mondo nel quale molti, compresi i cassieri del punto vendita, sembrano preferire parlare e interagire con i loro smartphone invece di dedicare attenzione, tempo, cordialità e sentimenti umani alla vecchietta che frequenta il supermercato più volte alla settimana per uscire dal suo isolamento e superare la sua solitudine.
La fuga dalla relazione umana è normale, serve a proteggere la propria intimità, ma ricercarla nelle macchine non è la soluzione da perseguire. Non fa che aumentare solitudine, isolamento e vulnerabilità. Il percorso verso una realtà sempre più governata dalla tecnologia non sembra essere più interrompibile. In attesa che il mondo sia popolato più da cyborg che da umani, si può però continuare a trattare le macchine come tali cercando di recuperare il rapporto umano con gli esseri umani ancora disposti a considerarsi e a essere trattati come tali.