L'immagine di copertina è di Alessandra Loreti
C’è chi si vergogna di amare la patria. Persino oggi che l’Italia è chiusa in casa per proteggersi dal coronavirus. Credendo che sia un sentimento sconveniente, un tic sovranista, un riflesso fascista. Chi diventa rosso quando si commuove per il proprio Paese, temendo che il passo successivo sia necessariamente lo scoccare dell’ora delle decisioni irrevocabili, dovrebbe leggere l’ultimo libro di Filippo La Porta, Alla mia patria ovunque essa sia (Gog Edizioni). La Porta sostiene che la «patria è una cosa bellissima». E lo sostiene essendo uno che ieri (oggi è un critico letterario e un saggista) è stato un sessantottino, un militante dell’estremismo di sinistra: «Da ragazzo – scrive – mi fingevo Vietcong, Guardia Rossa, Black Panther, Feddayn, Tupamaro, indossavo maschere, preferibilmente esotiche». La bandiera dell’Italia non gli ha mai fatto palpitare il cuore. Sebbene, uno dei suoi eroi culturali, il socialista libertario George Orwell, consigliasse di diffidare dei tipi che non si emozionano alla vista della bandiera nazionale.
La patria non è fascista. Anzi, il sentimento della patria – secondo Simone Weil – è il sentimento che ha spinto i popoli europei a resistere al nazismo. Affermazione paradossale e contro-intuitiva. Dal momento che anche i nazisti facevano la guerra per servire la patria. Ma erano due patrie diverse – ecco il punto. Per il nazi, alla parola patria corrisponde il sangue e il suolo. L’idea della grandezza nazionale. L’orgoglio, le parate. In poche parole: la forza. Per gli anti nazi – sostiene Simone Weil, citata da La Porta – l’amore per la patria non è l’amore per il vigore nazionale. È amore per la delicatezza della patria. È il sentimento di «una cosa preziosa, bella, fragile peritura», che è esposta alle sventure, e può essere distrutta. E dice Simone Weil: questo si ama, quando si ama la patria.