Vorrei pensare ad altro, parlare d’altro e scrivere d’altro. Però farlo mi mi sembra, più ancora che difficile, incongruente.
È un pomeriggio di sole. L’aria è tiepida e immobile. Ho già sgranato la prima metà del rosario quotidiano di dati, notizie e opinioni che, della pandemia, delineano gli aspetti medici, epidemiologici, sociali, psicologici, economici, politici, nazionali e internazionali. Verso sera si ricomincia.
Sto affacciata sul cortile e tengo in mano una biro e un blocchetto preso mesi fa in un albergo di un altro continente, quando il mondo era diverso e viaggiare era normale. Provo a cercare argomenti, ma è un’infilata di porte chiuse.
So che, prima o poi, una porta si apre. Devo solo essere paziente e restare attenta abbastanza da intravedere lo spiraglio.
🔥🔥🔥 𝐀 𝐏𝐑𝐎𝐏𝐎𝐒𝐈𝐓𝐎 𝐃𝐈 𝐄𝐌𝐄𝐑𝐆𝐄𝐍𝐙𝐀
Una sirena. Lacerante è la parola esatta, in questo silenzio.
Non sono più uscita di casa da metà marzo, mai: l’onere e il privilegio della spesa spettano a mio figlio. Sono testimone di un fatto epocale, e lo sono restando chiusa tra quattro mura, nel bel mezzo del vuoto che è il centro di Milano. Sentendomi scorticata dalle immagini e dalle storie che mi grandinano addosso da tutti gli schermi.
Ogni tanto, cerco di ricordarmi che ho l’immenso privilegio di respirare.