Julian Assange, Australiano di nascita, si definisce anarchico, libertario e cyberpunk. Ha trasformato le sue conoscenze tecnologiche e capacità giornalistiche in strumenti di attivismo politico, finalizzato a disvelare gli inganni della tecnologia. Nato alla politica alla fine degli anni ottanta come attivista hacker sovversivo con lo pseudonimo di Mendax, nel 1995 scrive il software open-source Strobe, dedicato alla scansione delle porte di ingresso dei computer connessi in rete. Nel 1997 collabora alla stesura del libro Underground: tales of hacking, madness and obsession on the electronic frontier. Nel 2007 è tra i promotori del sito Wikileaks che nel 2010 rende di pubblico dominio 250.000 documenti diplomatici statunitensi, molti dei quali secretati. Denunciato in Svezia per stupro nel 2010 è stato giudicato nel 2012 in Inghilterra e condannato alla estradizione. Subito dopo la condanna si è rifugiato nell’ambasciata dell’Equador a Londra chiedendo asilo politico e dove si trova ancora oggi. È stato candidato al Nobel per la pace per la sua attività di informazione e trasparenza.
“Più grande è il potere, maggiore è la necessità di trasparenza perché se il potere viene abusato, il risultato può essere disastroso.”
“Ogni qualvolta siamo testimoni di una ingiustizia e non agiamo, stiamo formando il nostro carattere alla passività e perdiamo l’abilità di difendere noi stessi e le persone che amiamo.
Se disponiamo di un cervello e di coraggio, siamo chiamati a non bruciarli sottomettendoli passivamente alle idee degli altri, migliorando l’efficienza del potere o immergendosi nell’oscurantismo, ma a provarne il vigore e I talenti lottando contro gli oppositori più forti che possiamo incontrare”
“Molte persone che operano e scrivono in rete considerano Internet uno strumento di civilizzazione globale, ma sono in errore…Sono in errore perché non hanno mai incontrato il nemico… Noi lo abbiamo incontrato…”
Assange ama la tecnologia ed è consapevole delle opportunità e dei benefici da essa generati, ma considera Internet il maggiore facilitatore di totalitarismi futuri (“usare internet è come avere un carro armato nella propria camera” – “Il telefono mobile è semplicemente un dispositivo di tracciamento e monitoraggio delle attività individuali”). Lo ha scritto nel suo libro Cyberpunk: freedom and the future of Internet, costruito su una serie di interviste trascritte da un programma da lui condotto per un canale televisivo russo. Argomenti delle interviste erano la sorveglianza sulla Rete da parte dei governi, la legislazione contro la condivisione di file, il fenomeno dei media sociali.
Il pericolo di Internet consiste nella sua diffusione geografica e pervasività che trasformerà il mondo globale in un matrix, caratterizzato da (video, audio, geo) sorveglianza di massa e controllo. Unica possibilità di difesa possibile è la completa crittografia delle proprie informazioni personali con sistemi non comprensibili e svelabili da altri.
Il suo libro, tradotto in Italia e pubblicato da Feltrinelli con il titolo, troppo markettaro e scelto per vendere di più, Internet è il nemico, non rende giustizia al suo contenuto. Il giudizio sulla deriva totalitarista e anti-democratica di Internet è l’oggetto delle conversazioni riportate ed è sicuramente un atto di accusa nei confronti di Internet che, da strumento straordinario di comunicazione e innovazione, si sta trasformando sempre più in macchina di censura, controllo e oppressione.
Dalle interviste con tre autori e cyber-attivisti (Jacob Appelbaum, Andy Müller-Maguhn, Jérémie Zimmerman), impegnati sulla scena della contro-cultura digitale antagonista emerge però molto di più. Vi si parla liberamente di informazione libera, di libertà di espressione dei cittadini della rete e delle persone, di filtri e profilazioni che ledono le libertà del cittadino, di censure e manipolazioni delle informazioni e delle notizie, di effetti collaterali ecc.
Il libro non ha la pretesa di essere un saggio o uno studio. È una semplice testimonianza nata da conversazioni tra persone che conoscono le logiche e gli algoritmi della Rete, che vivono la loro esperienza online da attivisti che non si arrendono alle trasformazioni in corso e che cercano di condividere le loro conoscenze con l’obiettivo di far crescere auto-consapevolezza e pensiero critico. Un testo molto diverso da quelli più approfonditi e ricchi di conoscenze e informazioni pubblicati negli ultimi anni da Morozov, Lanier e altri. Si capisce che quella di Assange è una visione politicizzata e finalizzata all’azione ma l’analisi degli aspetti economici e sociali risulta essere in molti aspetti superficiale e troppo utopistica perché non ancorata pragmaticamente alla realtà del popolo della rete.
Il libro contiene una critica radicale che chiama all’azione e alla rivolta contro il pensiero unico dominante e la percezione manipolata della Rete come spazio di libertà e di democrazia mentre non lo è più. Il richiamo non può che essere politico e rivolto a quanti hanno scelto di mantenersi informati per poter fare delle scelte libere da cui tutti i cittadini, e non solo alcune ristrette minoranze, possano trarne vantaggio.
Il messaggio di Assange sembra ricordare quelli spediti in bottiglia via mare. Non si sa se e quando arriverà e non si conosce in anticipo quale effetto riuscirà a raggiungere. Un messaggio in lingua italiana che arrivasse in Africa difficilmente potrebbe essere decodificato. Nato con l’intento di comunicare e informare il libro di Assange contiene un linguaggio tecnico e ostico ai più perché richiede conoscenze tecnologiche e di Internet che solo pochi addetti oggi hanno. Il rischio è che emerga soltanto la visione negativa e cupa di Internet come luogo infido e pericoloso e che spariscano le molte opportunità di cambiamento che comunque la Rete è ancora in grado di offrire.
L’idea di una Internet sempre più controllata da poche multinazionali e dai governi nazionali è molto veritiera e vicina alla realtà (il caso Prism NSA insegna) ed è facilmente condivisa da quanti hanno riflettuto sul fenomeno della globalizzazione, sulla evoluzione del capitalismo tecnologico e finanziario, sulle strategie geo-politiche attuali e sui nuovi media digitali e i loro linguaggi. Rimane sullo sfondo e sfugge completamente l’altra faccia di Internet, quella positiva fatta di piccole reti e spazi territoriali contestualizzati (autonomi?) e locali che illustrano bene quanto la tecnologia in sè non sia negativa e sia ancora utilizzabile per creare nuove utopie e benefici reali.
L’obiezione che i quattro attivisti, protagonisti del libro di Assange, potrebbero fare è che anche là dove Internet è stato usato e poi mediatizzato come strumento di libertà, come nelle rivoluzioni arabe del 2013, il risultato non è stato necessariamente positivo. La Rete e le tecnologie 2.0 sono state infatti usate anche dai governi e dagli stati per contrastare le rivolte e poi per controllarle, manipolarle e imbrigliarle. Terminata l’euforia tipica delle masse che si concentrano (Massa e Potere direbbe Elias Canetti) e acquisiscono forza, oggi i governi, come quello egiziano, usano gli strumenti tecnologici per individuare i capi e le teste pensanti delle primavere per arrestarli, processarli e mandarli in galera. Un ulteriore esempio di quanto sia diffusa l’ingenuità della Rete (per citare Eugeny Morozov) da parte dei cittadini e di quanto, al contrario, sia forte il controllo sui media e su Internet degli apparati governativi e di polizia. Il tutto favorito dal ruolo di Inspector che giocano le numerose multinazionali che si contendono il mercato tecnologico come Google, Facebook, Amazon e altre ancora.
Le machine al lavoro, gli umani senza lavoro felici e contenti!
Chi è disposto ad accettare la visione di Assange come valida dovrà convenire che libertà, democrazia e giustizia non sono più valori perseguibili con strumenti tecnologici che vengono sempre più usati per determinare i rapporti di forza tra i pochi che comandano e hanno, e la massa che non comanda e non ha.
Ne consegue il richiamo ad una maggiore consapevolezza, ad una ricerca costante dell’anonimato online, ad una attenzione maniacale alla privacy dei profili digitali e personali, alla ricerca di fonti di informazione alternative (Wikileaks e non solo), alla fuga dalla retorica dei social network e dalla loro falsa realtà comunitaria e partecipativa.
Di Assange merita di essere menzionato l'ultimo libro, non ancora pubblicato in Italia, dal titolo When Google met Wikileaks, un attacco durissimo, ricco di riferimenti letterari a George Orwell e Hannah Arendt, a Google perché "mostra l'impenetrabile banalità del non fare il male". L'accusa principale è di essere tutt'uno con la politica estera degli Stati Uniti e di essere diventata una entità che potrebbe configurare una nuova forma postmoderna di totalitarismo.
A finire sotto accusa è il modello di business di Google costruito sulla sorveglianza e la raccolta di miliardi di informazioni per immagazzinarle, indicizzarle e usarle a scopi non dichiarati e senza l'autorizzazione dei cittadini che le hanno prodotte e delle quali sono proprietari. La sorveglianza di Google è assimilabile nell'analisi di Assange a quella della NSA (National Security Agency), venuta a galla grazie a Snowden.
Per Assange "...Larry Page ha una visione totalizzante...nel nome di ciò che sembra una massimizzazione dell'efficienza, senza alcuna considerazione per il sistema totalizzante che è stato costruito e che fa sembrare gli assillanti burocrati stalinisti, ignoranti al confronto".
Scheda libro
Titolo intero: Internet è il nemico
Titolo originale: Cyberpunks - Freedom and the future of Internet
Genere: Internet
Listino: 9,99 (formato EPUB)
Editore: Feltrinelli Editore
Collana: Serie Bianca
Pagine: 176
Data uscita: 12/06/2013
Bibliografia
- State and terrorist consipacies, 2006
- Conspiragy as governance, 2006
- The hidden curse of Thomas Paine, 2008
- What’s new about Wikileaks, 2011
- Cyberpunks 2012
- Cohen N, You can’t read this book: censorship in an age of freedom, 2012
- Leigh D, Wikileaks: inside Julian AssangÈs war on secrecy
- · When Google met Wikileaks