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Come è potuto accadere?

Come è potuto accadere?

27 Dicembre 2012 Antonio Fiorella
Antonio Fiorella
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Possediamo sia le conoscenze sia gli strumenti per mettere fine alla crisi economica, secondo Paul Krugman, ma non viene fatto abbastanza per affrontare con vigore la recessione ed eliminare la sofferenza; la disoccupazione di massa è una tragedia, ed è insieme fonte di povertà e causa del risorgere degli estremismi. Una recensione riflessione sull'ebook dell'autore di "Fuori da questa crisi, adesso!".

Come è potuto succedere? Si chiede l’autore, premio Nobel per l’economia, nel libro Fuori da questa crisi, adesso! E’ un’esortazione a fare presto.

E a quanti propongono di “focalizzarsi sul lungo termine,” risponde con le parole di John Maynard Keynes:

“Questo lungo termine è una guida fallace per gli affari correnti. Nel lungo termine saremmo tutti morti. Gli economisti si danno un compito troppo facile e troppo inutile se nelle stagioni tempestose sono in grado di dirci soltanto che quando la tempesta è passata da un pezzo il mare torna calmo.”

All’epoca della Grande depressione, le conoscenze non erano quelle attuali: nessuno era in grado di comprendere la dinamica perdurante della crisi e suggerire il da farsi. Invece “i leader di oggi non hanno quest’attenuante.”

E’ istruttivo il caso della cooperativa di baby-sitting. Lo studio Monetary theory and the Great Capitol Hill Baby-sitting Coop crisis fu pubblicato nel 1978. In pratica le coppie che si associavano ricevevano 20 buoni (ognuno dei quali corrispondeva a mezz’ora di baby-sitting); quando uscivano dalla coop dovevano restituirne il medesimo numero. L’accaparramento dei buoni da parte di alcune coppie (per necessità future, o in vista del momento di lasciare) portò alla paralisi. La quale fu superata solo quando “gli economisti del gruppo” convinsero i dirigenti a stampare altri buoni.

“La cooperativa di baby-sitting di Washington era una vera e propria economia monetaria, ancorché in miniatura... I grandi problemi economici possono avere una soluzione molto semplice.”

In conclusione, il problema della crisi era ed è causato da una domanda insufficiente.

Quando i debitori si trovano nell’impossibilità di spendere di più, anzi, sono indotti a ripagare i propri debiti, e nello stesso tempo, i creditori non sono disponibili a incrementare la loro spesa, ne consegue una fase recessiva nell’economia. Ciò è quanto è successo negli USA e all’economia mondiale.

Non solo: nonostante le immissioni di denaro da parte della FED i privati non aumentano i consumi; si è caduti nella cosiddetta “trappola della liquidità.”

“La combinazione tra la trappola della liquidità ... e il peso di un indebitamento eccessivo ci ha portato in un mondo di paradossi, in cui la virtù è vizio e la prudenza è follia, e la maggior parte delle soluzioni che ci propongono gli ‘esperti’ può solo incancrenire la situazione.”

Come il ‘paradosso del deleveraging’, enunciato da Minsky: il comportamento prudente, degli individui e delle imprese, finisce per accentuare le difficoltà economiche anziché risolverle.

Un altro economista americano, Irving Fisher, ha osservato e poi descritto il  fenomeno della ‘liquidazione’ dei beni aziendali (asset), per ridurre i debiti. Se troppi operatori si trovano nella medesima necessità, i loro sforzi per arginare la situazione diventano controproducenti e autolesionistici.

Queste dinamiche appaiono ovvie, e ci sarebbe pure la soluzione, ma il problema di fondo è che tante persone influenti (che l’autore sarcasticamente definisce Very Serious People) si rifiutano di prenderla in considerazione.

 

Come si è arrivati a una tale situazione? In una economia in crescita, il leverage (l’indebitamento che sale) assume una connotazione espansiva: in pratica tira aria di ottimismo e più o meno tutti vogliono approfittarne; ciò induce a prendere rischi, finché accade qualcosa d’imprevisto, l’arresto momentaneo dell’economia o lo scoppio di una bolla; se di colpo i debitori sono costretti a correre ai ripari, collettivamente, si mette in moto la spirale deflazionistica, che trasforma  lo scenario, prima roseo, in incubo.

La deregolamentazione ha favorito lo sviluppo di un sistema bancario ombra (dove hanno una sede privilegiata derivati e finanza creativa), che avrebbe dovuto essere assoggettato alle medesime regole che disciplinano le banche tradizionali. “Il mancato adeguamento delle normative ha avuto un peso determinante nella crescita esponenziale del debito e nella crisi che ne è seguita.” Il crollo della fiducia, soprattutto verso le attività bancarie, porta alla corsa agli sportelli; una volta che il panico si è diffuso, la situazione degenera e diventa “una profezia che si autoavvera.”

“Ma vi sarà capitato di sentire tutta un’altra storia, come per esempio quella raccontata da Michael Bloomberg...” Secondo la destra repubblicana l’eccesso dei debiti sarebbero dovuti a “una sinistra dal cuore troppo tenero,” alle “agenzie governative,” che avrebbero spinto le banche a prestare soldi e a concedere mutui ipotecari senza adeguate garanzie. La verità è che i conservatori, ogni volta che sono andati al potere, “hanno smantellato molte delle tutele introdotte all’epoca della Depressione,” lasciando le masse in braghe di tela.

“Nel 2006, i 25 gestori di hedge fund meglio pagati si sono messi in tasca 14 miliardi di dollari, ovvero tre volte gli stipendi di tutti gli 80 mila insegnanti di New York messi insieme.” Ciò che appare in aperto conflitto con quanti sostengono che la forte sperequazione dei livelli retributivi sia determinata dal divario dei livelli di istruzione. Gli insegnanti hanno quasi tutti una laurea, ma non godono neanche lontanamente degli incrementi di reddito dei top manager, CEO e gestori di fondi.

A partire dal 1980, negli USA, nel Regno Unito e successivamente in altri paesi ha soffiato il vento del cambiamento. La destra politica ha introdotto la riduzione delle aliquote fiscali per i redditi più alti, spazzando via il cosiddetto “vincolo dell’oltraggio,” portando cioè il differenziale tra le retribuzioni più basse e quelle più elevate a livelli mai visti in tempi recenti, almeno nei paesi democratici avanzati.

La “perniciosa combinazione tra politica e trionfo della sociologia accademica” ha determinato la scomparsa della civiltà economica che si era affermata nella seconda metà del secolo scorso.

Negli ambienti conservatori si è instaurata una visione strumentale del pensiero keynesiano che identifica lo stesso con “la pianificazione centralizzata” e la redistribuzione del reddito alle classi non meritevoli.

Secondo Keynes è una pessima scelta quella di lasciare la gestione delle politiche economiche alla mercé degli speculatori. Infatti sosteneva: “quando lo sviluppo del capitale di un paese diventa un sottoprodotto dell’attività di un casinò, è probabile che si tratti di un lavoro malfatto.” Invece negli ultimi decenni si è imposto il dogma che devono prevalere le leggi di mercato.

 

Quello che dicono i numeri... I dati indicano che negli USA, se si tiene conto di coloro che non cercano più un lavoro e di quanti hanno ripiegato su uno part-time, i disoccupati arrivano al 15 per cento circa della forza-lavoro: il doppio di quelli registrati prima della crisi.

Il perdurare della situazione depressiva conduce alla stagnazione e allo scoramento; molti dei disoccupati si vedono costretti ad accettare un’occupazione meno qualificata; è questo il caso anche dei neolaureati. Sono competenze che vanno in fumo. Infine il calo degli investimenti mette a repentaglio le possibilità di sviluppo futuro.

Gli USA producono beni e servizi intorno a 14/15 trilioni di dollari l’anno. Il piano di stimolo della domanda di 787 miliardi di dollari, considerando l’affacciarsi della crisi di una durata ipotetica di 3 anni, avrebbe mirato a rivitalizzare un’economia pari a 45 trilioni... Uno stimolo quindi che rappresenta più o meno il 2 per cento del totale preso in considerazione. A questo punto non sembrano così tanti, vero? Fa osservare Krugman, il quale aggiunge che per una serie di ragioni, Obama avrebbe fatto la cosa giusta, ma purtroppo su scala ridotta.

(Altri numeri: il debito complessivo USA - tra governo federale, statale e amministrazioni locali - è pari al 93,5 per cento del PIL - fine 2010).

Considerato che nell’ordinamento economico-legislativo degli Stati Uniti esiste già il fallimento pilotato (Chapter 11), pur di sbloccare lo stallo economico, converrebbe riscrivere i contratti dei mutui ipotecari e implementare dei piani di rinegoziazione del debito.

In sintesi, la mancanza di posti di lavoro provoca danni certi mentre il deficit di un paese, come l’America, rappresenta un danno prevalentemente ipotetico. Ovviamente stampare moneta mette in moto un processo che genera inflazione. Ma questo non accade quando ci si trova nella trappola della liquidità.

L’ammontare del debito non è tragico, sempre che non aumenti più in fretta dell’inflazione e della crescita economica messe insieme. Pertanto “i moniti su una presunta crisi del debito si basano sostanzialmente sul nulla” - a condizione che il paese abbia sovranità sulla propria moneta.

Stati Uniti, Gran Bretagna e Giappone hanno una propria divisa. Invece Italia, Spagna, Grecia e Irlanda, hanno perso la loro sovranità monetaria; essendo i loro debiti espressi in euro, si scoprono vulnerabili e in balia degli attacchi speculativi.

 

Le élite europee erano così affascinate all’idea di creare un potente simbolo di unità da sovrastimare i benefici della nuova moneta unica e da trascurarne le possibili (e significative) negatività.” Nell’interscambio commerciale ci sono dei costi reali nell’utilizzo di più valute di cambio, cosa che l’adozione di una moneta comune (l’euro) ha superato. Ma un paese che cede la propria sovranità monetaria perde difatti la possibilità di ricorrere alla svalutazione, di adottare stimoli alla crescita... e di altre misure economiche che aiutano ad affrontare le turbolenze economiche.

Inoltre la svalutazione della moneta si configura come la via maestra per intaccare il valore reale dei salari senza dover intavolare estenuanti negoziati con le controparti. Milton Friedman ricorreva al paragone con l’ora legale. “Non è assurdo tirare indietro le lancette di un’ora d’estate, quando si potrebbe ottenere esattamente lo stesso risultato convincendo tutti gli individui a modificare le proprie abitudini?”

Le retribuzioni possono essere diminuite quasi da un giorno all’altro, e con limitati problemi di ordine pubblico, attraverso la svalutazione della moneta: recentemente è accaduto in Islanda.

Ma non può essere fatto, senza ripercussioni, nei paesi dell’euro.

Vale anche per l’Europa il ruolo assunto da politici e tecnocrati, Very Serious People, che dibattono il problema partendo da “un falso resoconto delle cause della crisi.” Nei fatti ostacolano le soluzioni davvero efficaci e perseverano con “politiche destinate a peggiorare ulteriormente la situazione.” Purtroppo si è affermata la convinzione, moralistica, che la crisi europea dipende dall’irrespon-sabilità nella gestione dei bilanci pubblici. Avendo alcuni paesi fatto registrare deficit astronomici, si sarebbe reso necessario imporre delle regole che prevengano il ripetersi di questo ciclo perverso.

Prima della crisi Irlanda e Spagna avevano un debito basso; il debito dell’Italia era elevato, ma era stato contratto negli anni ’70 - ’80, e negli ultimi anni era in calo. Ed era in progressivo calo la media ponderata del debito, in percentuale sul PIL, dei cosiddetti PIIGS (Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia, Spagna). Soltanto in seguito alla crisi il debito si è ingigantito ed è diventato un fattore destabilizzante per la zona periferica dell’euro.

Ciò nonostante politici e funzionari europei(1) continuano a propugnare politiche di austerità. Il problema viene enunciato in termini morali. I paesi che si trovano in difficoltà, perché non hanno mantenuto in regola i loro conti, hanno peccato, e ora sembra giusto che ne paghino le conseguenze... che non devono ricadere sui paesi virtuosi.

Confrontando Europa e Stati Uniti, sotto il profilo del debito pubblico e di quello dei privati, l’Europa complessivamente si trova meno esposta. Purtroppo il fatto che il Vecchio continente non sia un “aggregato omogeneo” e che ogni paese abbia il suo bilancio e il proprio mercato del lavoro, ma non la propria moneta, rende l’intera area geografica più esposta.

La logica economica indica che la politica fiscale deve andare controcorrente, imponendo tagli alla spesa pubblica quando i tempi lo permettono. Poiché l’austerità deprime ancora di più le economie che rallentano, rigore e incrementi d’imposte dovrebbero quindi essere pianificati nel lungo termine, e in presenza di una ripresa effettiva.

La logica del potere, invece, asseconda altre priorità.

 

Antonio Fiorella

 

Fuori da questa crisi, adesso! Paul Krugman, Garzanti

(1) link: Il disegno europep

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