Un articolo di Mauro Imbimbo
Quando si pensa ai regimi totalitari del XX secolo - Fascismo, Nazismo, Comunismo staliniano - vengono subito alla mente alcune caratteristiche principali: abolizione di tutte le libertà, partito unico, potere assoluto del Capo, pretesa del regime di plasmare la vita dei cittadini eliminando, o quasi, ogni differenza tra vita pubblica e vita privata.
Di rado, invece, si tiene presente che una delle conseguenze della ricerca del controllo totale sulla vita delle persone riguarda il posto che la verità ha in questi regimi.
Che fine fa la verità nei regimi totalitari?
A questo quesito ha cercato di rispondere Hanna Arendt (1906-1975), filosofa tedesca, allieva di Martin Heidegger, emigrata negli Usa dopo le leggi antiebraiche e lì vissuta sino alla morte.
I principali campi di ricerca della Arendt sono stati due: l’etica e la filosofia politica, e per quel che riguarda quest’ultima fondamentale è stato il suo contributo nella individuazione del fenomeno stesso del totalitarismo, a partire dal noto saggio Le origini del totalitarismo ( 1951).
Il testo di cui ci occupiamo, in questa sede breve nota, si intitola Verità e politica. E’ un articolo-saggio, apparso per la prima volta nel 1967 sulla rivista The New Yorker e in seguito inserito in un volume di saggi edito nel 1968 con il titolo Tra Passato e Presente. E’ il caso di notare come nel titolo del testo che esaminiamo non v’è alcun riferimento esplicito al totalitarismo. Ciò corrisponde alle precise intenzioni dell’autrice: per comprendere cosa accade alla verità nei regimi totalitari è necessario sapere cosa accade alla verità anche nei regimi liberaldemocratici e, più in generale, come si configura il rapporto tra verità e politica nella moderna società di massa, per come si è sviluppata a partire dalla seconda metà del XIX secolo.
La Arendt inizia affermando che vuole esaminare un luogo comune: i rapporti pessimi fra verità e politica.
Si sa che in politica la menzogna è normale, normale l’inganno, e così via.
Tanto è vero che l’imperatore Ferdinando I nel XVI secolo disse, pare: Fiat justitia, et pereat mundus. Cosa significava: si può davvero desiderare la giustizia a tutti i costi, anche a costo che il mondo crolli? Quindi la frase comunica il contrario di ciò dice. Ma, si chiede la Arendt, se sostituissimo veritas a justitia, quali sarebbero le conseguenze. Ossia: possiamo tranquillamente affermare che si può fare del tutto a meno della verità? Appena ci si pensa ci rendiamo conto che non è possibile.
🍒🍒DISORIENTATI E IN FUGA NEL METAVERSO
Per proseguire è necessario distinguere, come fa anche la Arendt, verità di ragione e verità di fatto. Esempi delle prima: assiomi della matematica e della geometria euclidea; esempi della seconda: il pesce è commestibile, la Germania ha invaso il Belgio (agli inizi della Grande Guerra.)
Nella società moderna le verità sotto attacco non sono quelle scientifiche e puramente razionali ma le verità di fatto. Sia nelle democrazie, sia nei regimi totalitari, sono pericolose se contrastano, come spesso accade, o le opinioni dominanti o chi detiene il monopolio dell’informazione, e quindi della genesi delle opinioni.
Si possono separare i fatti dalle opinioni, dalle interpretazioni? Molti sostengono di no. E’ una tesi diffusa quella secondo la quale quando si parla di morale, di politica, dipende tutto dai punti di vista. Per la Arendt non è così: ci sono fatti, non discutibili, non emendabili. E’ proprio questo che infastidisce: la verità si impone e quindi frena il libero dispiegarsi delle opinioni, si siamo in una società libera, o può intralciare la manipolazione dei fatti, se siamo in un regime dispotico, totalitario.
Verità di fatto, verità morali....
Il guaio è che le verità di fatto sono fragili: dipendono da testimonianze, documenti, etc, e chi può escludere del tutto che le testimonianze siano false, i documenti contraffatti? Per questo si insinuano il dubbio, l’incertezza e l’ostilità nei confronti della verità ha buon gioco.
Si può obiettare: ma ci sono le grandi verità morali! come non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te. La Arendt obietta: possono valere per i singoli, ma quando si calano nella pratica delle grandi masse hanno bisogno del consenso e spesso il consenso non c’è. Si veda il caso Socrate.
Il contrario della verità di fatto è la menzogna. La Arendt distingue due tipi di menzogne in politica: pre-moderna e moderna.
La prima coincide con il segreto di Stato, riguarda qualcosa che non si può rivelare per non aiutare il nemico, la seconda riguarda qualcosa di già noto o comunque di conoscibile, che viene trasformato o fatto scomparire.
Esempio dell’URSS: Trotskij era il capo dell’Armata Rossa nel ‘17-’18. Quando alle fine degli anni ‘20 fu espulso dall’URSS, cominciarono a sparire le sue foto individuali, e la sua presenza in foto collettive, in certi documenti, etc, etc.
La menzogna politica moderna in un contesto democratico è una forma di azione, si presenta nelle vesti di una opinione e talvolta di un fatto.
In un contesto dittatoriale, la menzogna è nelle mani dello Stato che ne può fare un uso sistematico, fino ad annullare il confine tra vero e falso. La Arendt sostiene esplicitamente: dal momento che tutto quello che è accaduto ed accade in un ambito storico-sociale avrebbe potuto non accadere le possibilità di mentire sono illimitate. In un regime totalitario la Verità non esiste più perché la realtà stessa, o meglio ciò che sappiamo di essa, viene costantemente modificato se risulta necessario al Potere.
Per la Arendt l’azione in politica crea qualcosa di nuovo ed giusto così ma essa deve riguardare il futuro, non il passato ed il presente, che sono dati. Nonostante sembri inclinare al pessimismo, ritiene che la verità, intesa in senso realistico, non possa sparire completamente dalla scena.
D’altra parte, l’interesse esclusivo alla verità esclude chi lo nutre dalla sfera politica, come è accaduto nel caso di Socrate
Tuttavia, dove c’è libertà la verità conserva uno spazio nella vita pubblica: istruzione, magistratura, stampa.
In ogni caso, l’agire politico non deve mai dimenticare che la verità fissa un limite alle sue possibilità trasformatrici, e questo limite è esattamente rappresentato dai fatti, in primo luogo quelli rilevanti ai fini dell’azione politica.