La tecnica a servizio dell’uomo o l’uomo a servizio della tecnica? Questo è il grande dilemma che vede spesso confrontarsi e scontrarsi la posizione transumanista e quella personalista della bioetica. Il Transumanesimo è nato negli anni ‘80 nelle università americane e incentiva l’uso della tecnica al fine di superare i grandi limiti della natura umana come la vecchiaia e la morte. Oggi grandi progetti transumanisti sono capitanati da personalità del calibro di Elon Musk, Mark Zuckerberg (...).
La bioetica personalista vede nel cardinale Elio Sgreccia il suo più grande esponente e pone la persona umana al centro della riflessione etica subordinando anche la tecnica a essa.
Un organo assai importante fondato sui principi della bioetica personalista è sicuramente la Pontificia Accademia per la Vita che si interroga sulle grandi questioni di inizio e fine vita ma anche sull’uso della tecnica nei diversi settori che permeano il nostro vissuto. È per questo che abbiamo intervistato Andrea Ciucci coordinatore della sede centrale della Pontificia Accademia per la Vita.
A dar voce invece alla posizione transumanista Alessandra Calanchi, professoressa di letteratura anglo-americana all’università di Urbino e influenzata nei suoi scritti dalla prospettiva transumanista.
Di seguito vi proponiamo quindi una doppia intervista che mette in evidenza le differenti posizioni.
1) I grandi limiti dell’uomo da sempre sono la vecchiaia, la malattia e la morte. Gli studi sull’immortalità, sulla cura delle malattie e contro l’invecchiamento potrebbero rivoluzionare il concetto di limite, quale dovrebbe essere quindi, secondo Lei, il rapporto tra natura e tecnologia?
Alessandra Calanchi: È un tema lungamente dibattuto, quello del rapporto fra natura e cultura, o fra natura e tecnologia. Ma a mio parere si basa su un falso problema, o meglio su un’illusione a sua volta generata da una dicotomia discutibile. La natura può essere buona ma anche no (come ci ha insegnato Leopardi) e lo stesso vale per la tecnologia.
Thoreau, filosofo americano dell’800, quando include il fischio del treno fra i canti degli uccelli nel capitolo di Walden intitolato “Sounds”(Suoni) lo aveva capito benissimo, che non si poteva tornare indietro ed era meglio cercare una convivenza pacifica tra natura e tecnologia. Per non parlare di The Man that Was Used Up(L’uomo che fu consumato) di Edgar Allan Poe, un personaggio composto interamente di protesi artificiali, voce compresa.
Oggi viviamo in un’era geologica che è stata chiamata Antropocene, ma dobbiamo ricordarci che questa parola non significa Antropocentrismo, ma si riferisce invece ai danni irreversibili che l’uomo ha fatto alla natura. L’uomo, si badi bene – non una qualche tecnologia sfuggita al suo controllo.
Andrea Ciucci: Il rapporto tra natura e tecnologia è un tema classico della riflessione contemporanea. Al contempo, io credo, mal posto. Quasi che da un lato esistesse una natura pura, incontaminata, e dall’altro un apparato tecnologico che si distanzia, trasforma, defigura la realtà. Non è così. Per un verso l’esperienza della natura che l’uomo fa è sempre culturalmente mediata: si dà in un linguaggio e in un contesto, anche tecnologico. Dall’altro la tecnologia fa parte della vita umana, sin da quando gli uomini hanno acceso un fuoco per scaldarsi e usato un sasso per cacciare; è in qualche modo connaturale con l’esperienza umana.
L’uomo “per natura” usa artefatti tecnologici e abita il mondo in modo tecnologico. In questo senso i limiti sono sempre stati sfide con cui l’umanità si è confrontata ed è cresciuta. Quindi si tratta non tanto di tracciare un limite in astratto e rigido, ma di valutare in modo dinamico l’insieme dei fattori che consente di superare i limiti (come l’uomo ha sempre fatto) senza disumanizzare le persone e la convivenza delle comunità. Il che significa vigilare sulla velocità della trasformazione, sulla interazione tra i diversi cambiamenti, sull’equilibrio complessivo che siamo in grado di custodire.
2) Che ruolo ha oggi l’etica? Di che tipo di etica ha bisogno l’uomo oggi?
Alessandra Calanchi: Gli uomini e le donne di oggi hanno bisogno più che mai di riconoscere il vero nemico, che non è la tecnologia ma il pregiudizio (le cosiddette bias), l’avidità, la sete di profitto umana. C’è un disperato bisogno di etica, un’etica della responsabilità. Non serve, anzi è dannoso incolpare le macchine. Il genere umano deve assumersi le sue responsabilità e ammettere le sue colpe davanti alle generazioni future, se lascerà loro lo spazio di svilupparsi.
La tecnologia in sé non è né positiva né negativa, è semplicemente possibilità
Ci scandalizziamo che l’Europa sia riprecipitata nella guerra, ma quante guerre sono combattute sul pianeta lontano dai riflettori mediatici? Abbiamo bisogno di pace, ma la pace si costruisce abolendo le diseguaglianze che sono state create in un’epoca molto antecedente l’intelligenza artificiale e il machine learning. Una motivazione che ha recentemente portato lo scienziato svedese Svante Paabo a ricevere il Nobel per i suoi studi sull’evoluzione umana è che le sue scoperte hanno fornito le basi per “esplorare ciò che rende noi esseri umani così unici”. Sono molto curiosa di leggere i suoi scritti...
Andrea Ciucci: Le incredibili possibilità che l’uomo contemporaneo sperimenta quotidianamente impongono una domanda di senso e di bontà. Per questo lo sviluppo tecnologico chiede continuamente una riflessione etica, perché non è detto che una cosa sia buona solo perché siamo capaci di realizzarla. Dentro questa urgenza, credo che oggi l’etica debba essere globale (il mondo è diventato un piccolo villaggio in cui le vite di tutti sono incredibilmente interconnesse), olistica (capace cioè di integrare saperi e questioni diverse), dialogica (cioè frutto di quel confronto di posizioni caratteristico di una società plurale).
3)Nella storia del pensiero “persona” è stata definita come un’unità di anima e corpo ma anche come un essere in grado di autodeterminarsi e in relazione. Secondo Lei tramite la tecnologia oggi è possibile dare una nuova definizione di persona?
Alessandra Calanchi: Non tramite la tecnologia... ma certamente la persona, incorporando parti tecnologiche (protesi, pace maker, bypass, occhiali, apparecchi acustici, ecc.), è già una persona diversa dai nostri antenati. Così come è diversa da loro perché mangia cibi transgenici, si vaccina, assume farmaci, respira aria viziata, beve da bottigliette di plastica (con cui, peraltro, sta distruggendo il suo stesso habitat). Ribadisco: siamo noi i nemici peggiori della natura, noi umani. Purtroppo. E ammetto di essere molto affascinata dagli organismi cyborg di Donna Haraway e dagli androidi di Philip K. Dick, perché mi sembrano molto più umani di noi.
Andrea Ciucci: Il pensiero aristotelico, assunto dalla tradizione cristiana occidentale, ha fatto del binomio anima-corpo il modello antropologico esplicativo della realtà umana. La tradizione semitica, reperibile anche nella Bibbia, parla di spirito-anima-corpo, cioè non di sostanze diverse, ma di prospettive diverse su un unico soggetto. Altre tradizioni culturali hanno ancora ulteriori modelli interpretativi. Più recentemente si è affermato, soprattutto nel contesto europeo, in concetto di persona. Il mistero della vita continua a interrogare l’uomo e a generare una riflessione che cresce e si sviluppa nei diversi contesti culturali. La tecnologia che potentemente attraversa tutti gli aspetti della vita umana certamente impone nuove domande alla perenne riflessione antropologica.
4) La relazione tra anima e corpo oggi è messa alla prova dal mondo del digitale come il metaverso ma anche da future tecnologie come la mind up-loading. Può esistere un'anima senza un corpo o un corpo senza anima dunque?
Alessandra Calanchi: Ammesso che l’anima esista (comunque la si voglia chiamare) non so cosa darei per saper rispondere a questa domanda! Provocatoriamente, mi sento di dire che la relazione tra anima e corpo è stata oggetto di discussione fin dai tempi più antichi, e che le diverse culture la declinano in modo molto diverso tra loro. Noi occidentali amiamo le dicotomie, ma in altre civiltà i confini sono meno marcati. Inoltre, parliamo di corpo intero o delle sue parti? Se uno perde le gambe, perde un pezzetto di anima? Certamente la letteratura e il cinema si interrogano da molto tempo su questo tema: anni fa ho dedicato un libro che si intitola Dismissing the Body (Fare a meno del corpo) proprio a questo mosaico di parti (anche astratte) che costituiscono la nostra identità– fisica e psichica, visibile e invisibile, reale e virtuale. Il corpo in sé, così com’è tradizionalmente inteso, mi sembra francamente poco interessante.
Andrea Ciucci: Non sono un esperto delle tecnologie cui fa riferimento, ma onestamente non mi pare che la relazione anima-corpo, tipica di una certa antropologia, sia messa alla prova dal mondo digitale.Però va detto che ci sollecita a pensare in modo nuovo e a trovare nuovi equilibri.
5) Quale posto trova la giustizia sociale in un mondo in cui l’avanzamento tecnologico e scientifico rischia di creare ulteriori divari sociali?
Alessandra Calanchi: Questo è un punto cruciale. Nel momento in cui l’avanzamento tecnologico e scientifico è orientato al profitto e non al miglioramento delle condizioni umane di tutti gli abitanti del pianeta, può solo creare disagio e ingiustizia sociale. Solo lavorando in modo responsabile, trasversale, sostenibile e interdisciplinare potremo (potremmo?) far fronte al crescente divario sociale, alle ingiustizie sempre più drammatiche e alla crisi che chiamiamo ambientale ma che in realtà è soprattutto politica.
Andrea Ciucci: È decisiva. L’avanzamento tecnologico porta in sé la promessa e le possibilità per uno sviluppo più equo e giusto dell’umanità; di fatto, però, vediamo che la tecnologia genera distanze e ingiustizie. Invece di appianarle le amplifica. Oggi lo sviluppo tecnologico è campo primario della riflessione etico sociale.
6) Perché il transumanesimo può essere la giusta risposta antropologica per il futuro?
Alessandra Calanchi: Io studio letteratura, non sono né un’antropologa né una sociologa, e non amo particolarmente le etichette. Ma mi sento di dire che la vita è cambiamento e accettazione del cambiamento. Il transumanesimo ha conosciuto varie fasi e accoglie diverse posizioni al suo interno, e quello che mi interessa è l’umano come processo e non come qualcosa di fisso e inamovibile. L’evoluzione è un fatto e che ci piaccia o no dobbiamo farcene una ragione. C’è stato un periodo in cui la teologia e la scienza dichiaravano eretici (e bruciavano) chi sosteneva che non fosse il Sole a girare intorno alla Terra. C’è stato un periodo in cui interi popoli sono stati rapiti, fatti schiavi e venduti come merce e non erano riconosciuti come esseri umani. Attenzione a idealizzare il passato. Chi siamo noi per decidere chi, in futuro, sarà o non sarà da considerarsi umano?
6) perché la bioetica personalista può essere la giusta risposta antropologica per il futuro?
Andrea Ciucci: Non amo le etichette. Preferisco occuparmi delle questioni. Da appassionato della vita non posso non custodire ogni persona umana. E proprio perché ho a cuore le persone reali più che un modello antropologico, mi sembra decisivo custodirle nella loro storicità dinamica e nelle loro relazioni costitutive con gli altri e nella biosfera che abitano.
*Tutte le immagini sono fotografie delle opere di Emilio Tadini. Scattate durante una visita alla sua casa museo di Milano che suggerisco a tutti di visitare.