Le nuove tecnologie ci stanno abituando a un pensiero binario, condizionato da scelte fatte da altri, da algoritmi e intelligenze artificiali, e da coloro che li hanno creati. Il pensiero critico sembra essere scomparso, come pratica e come bisogno, reso complicato dalla velocità con cui si prendono decisioni, si vivono relazioni sociali e si fanno scelte online. Di pensiero critico c’è però ancora bisogno. Serve alla maggiore consapevolezza che può aiutare nell’interazione con i numerosi mondi, reali e virtuali, nei quali oggi viviamo. Considerando la quantità di tempo passata online, la consapevolezza non può non essere declinata in tecnoconsapevolezza. Di questo SoloTablet ha deciso di parlare/conversare con filosofi, psicologi, studiosi e persone interessate a riflettere sugli effetti della tecnologia, sui cambiamenti che sta determinando e sui possibili scenari futuri.
La consapevolezza di cui abbiamo bisogno interessa almeno cinque ambiti diversi: l’esperienza del tempo, l’uso del linguaggio, la percezione della realtà, la dimensione politica del cittadino del terzo millennio, e la libertà. Cinque ambiti tematici all’origine di cinque possibili domande utili a comporre un’intervista.
Buongiorno Shanti, cosa pensa del ruolo della tecnologia nella realtà presente? Quanto ritiene necessario riflettere criticamente sui suoi effetti dirompenti e rivoluzionari per acquisire una tecnoconsapevolezza utile a costruire scenari futuri che vedano l’uomo sempre al centro e protagonista della sua evoluzione?
Prima di tutto se ci fermiamo a riflettere sul significato etimologico della parola tecnologia, ci accorgiamo che deriva del greco e significa “trattato su un’arte”.
Il suo ruolo quindi dovrebbe essere quello di esaltare i valori di una determinata tecnica oppure di un’arte, per questo esistono diverse tipologie di tecnologie, si parla ad esempio di tecnologia elettronica, tecnologia informatica, tecnologia alimentare, tecnologia meccanica e così via.
Come tutte le tecniche e le arti anche la tecnologia attuale secondo me dovrebbe essere messa al servizio degli altri, invece stiamo assistendo ad un’inversione di marcia, dove noi uomini siamo al servizio della tecnologia.
Fortunatamente la filosofia in questo ci aiuta perché ci permette di fermarci a riflettere su cosa sta accadendo e ci dà le basi per mettere di nuovo l’uomo al centro e dare via a quello che io chiamo il “Neo-Umanesimo Digitale”.
La tecnologia comprime tempo e spazio, ci permette di essere sempre connessi alimentando un qui e ora che ci ha fatto precipitare in un presente continuo illusorio nel quale è difficile individuare priorità e possibilità diverse da quelle dettate dal tempo reale nel quale siamo precipitati. Tutto ciò che non sta dentro questo tempo si trova come ridimensionato o inesistente determinando una fuga dalla memoria e l’impossibilità di progettare scenari futuri diversi da quello tecnologico. Lei cosa ne pensa? Che impatto ha l’attuale percezione diffusa del tempo sul modo di pensare, di fare scelte e di prendere decisioni?
Secondo il mio punto di vista la tecnologia va vista come un’opportunità, non solo per essere più connessi, per accedere ad infinite informazioni in tempo reale, quelli sono aspetti quasi banali.
Il mercato del lavoro sta cambiando sempre più velocemente e da qui ai prossimi 10 anni spariranno molti lavori per come li conosciamo oggi e tutti dovranno adeguarsi per acquisire nuove competenze, perché la maggior parte del lavoro sarà svolto dai robot e dalle macchine.
A quel punto l’uomo avrà la grande opportunità se la saprà cogliere di ritornare alle sue origini e riscoprire il pensiero dedicandosi a conoscere meglio sé stesso, mettendo infine il pensiero in azione tramite le imprese.
Questa è l’unica via che abbiamo secondo me per riappropriarci del nostro tempo e della nostra vita per vivere nel qui e ora.
Sono d’accordo sul fatto che questo abuso di tecnologia rischi anche di compromettere la nostra memoria e diversi studi lo dimostrano, per questo consiglio sempre di sostituire alle foto digitali le stampe cartacee e agli ebook i libri classici, in questo modo prendiamo consapevolezza e scegliamo di alimentare i nostri ricordi più belli.
Scrive Massimo Cacciari che la vera appartenenza sta nella lingua. La lingua è la vera patria, anzi Matria, tanto più è ricca e tanto più accoglie, non è semplice strumento o mezzo ma pensiero, storia, cultura e tutti dovrebbero custodirla, anche trasformandola. Una descrizione che sembra tutto l’opposto dell’uso che oggi ne viene fatto attraverso gli strumenti tecnologici. Un uso di cui la tecnologia non è responsabile ma che ha trasformato la lingua in chiacchiera, il pensiero complesso in cinguettio, allo scopo di manipolare, disinformare e misinformare. Che cosa sta succedendo secondo lei al nostro linguaggio, al modo di comunicare e interagire? Cosa si potrebbe fare per contribuire a una maggiore consapevolezza sugli effetti della comunicazione tecnologica attuale?
Bella domanda, forse la risposta è quella di uscire completamente dai social network e abbracciare il silenzio, dato che questo abuso del linguaggio e della comunicazione ha distrutto il suo potere creativo.
Dovremmo tornare ad un concetto di comunicazione orale, come si auspicava Socrate, forse in qualche modo lo stiamo già facendo, io per esempio ho creato un podcast proprio sul linguaggio e su “Il Potere delle Parole” per aiutare imprenditori, professionisti e aspiranti tali a raccontare in modo più efficace la loro storia personale e professionale.
Ho anche aiutato diversi imprenditori digitali nella creazione di applicazioni vocali per diffondere in modo innovativo i loro contenuti.
Questo movimento è definito “Voice First” e mette al centro proprio la voce, pensiamo ai podcast su Spotify oppure agli smart speakers come per esempio Amazon Alexa e Google Home, sono in qualche modo un ritorno inconscio dell’uomo alla trasmissione di contenuti in modo orale.
Secondo me il linguaggio sta cambiando e io da Filosofo Imprenditore sono chiamato ad esplorare questi nuovi linguaggi per fare innovazione.
Dal mito della caverna di Platone sappiamo che la realtà non è quella che appare. La realtà dell’era tecnologica è reale e virtuale insieme ma forse sempre più illusoria e sfuggente. La sua illusorietà ingannatrice non le impedisce di essere percepita come reale, anche se è tale solo nella nostra mente. Illusoria è anche la realtà sociale e relazionale vissuta dentro le piattaforme di social networking alle quali abbiamo delegato il ruolo di costitutività (Searle) del vivere sociale odierno. In che modo la realtà virtuale sta influenzando il modo di percepire la realtà? La realtà è sempre troppo grande e troppo complessa per essere conosciuta ma forse il vero problema è che oggi, pur essendo sempre connessi, ci stiamo disconnettendo dalla realtà. Lei cosa ne pensa?
Sono assolutamente d’accordo, i social sono la nuova caverna di Platone, il fatto è che non possiamo fare come lo schiavo illuminato che ritorna da maestro nella caverna per liberare gli altri schiavi perché inevitabilmente faremmo la sua stessa fine, ovvero essere uccisi, metaforicamente parlando.
L’unico modo per liberare gli altri è quello di proiettare nella caverna delle ombre differenti per riuscire a far pensare gli schiavi e spingerli a volersi liberare per uscire.
Quindi parafrasando la metafora della caverna, dobbiamo creare dei contenuti differenti sui social network e sui nuovi media per far emergere il loro pensiero e farli uscire da quella caverna, per abbracciarli nuovamente nel mondo reale.
Il dominio della tecnologia con i suoi dispositivi, le sue piattaforme, i suoi algoritmi e concetti ha cambiato la realtà e la dimensione politica del cittadino del terzo millennio. L’azione politica si è ridotta allo scambio di cinguettii, il suo racconto è legato anch’esso ai cinguettii e alla loro frequenza, il ruolo della società civile sembra scomparso, sommerso dall’uso di dispositivi di input che generano messaggi ma nessuna azione politica. Tradurre idee e opinioni politiche in azioni e forme di resistenza, opposizione, reazione è diventato complicato. Ne è testimonianza quanto sta succedendo in Italia su temi quali razzismo, violenza, migrazioni, lavoro e povertà. Più che piattaforme tecnologiche servirebbero infrastrutture intellettuali, le sole che potrebbero forse alimentare consapevolezza e impegno. Lei cosa ne pensa?
Non mi interesso né di politica né di religione, sono argomenti che dividono, io preferisco parlare di argomenti che uniscono.
Le cose cambiano solo se siamo noi in prima persona a cambiare, non ci possiamo creare aspettative su qualcuno che al di fuori di noi cambi le cose al posto nostro.
Infine, il tema della libertà. Il libertarianesimo, la filosofia prevalente tra i produttori di tecnologia, sostiene l’idea di una libertà concepita come assenza di restrizioni. Nella realtà la libertà individuale è a rischio. L’individuo è vittima di un asservimento volontario e complice a piattaforme, algoritmi, logiche e visioni del mondo imposti da altri, senza che ne abbia consapevolezza. Il tutto determinato dalla prevalenza di un pensiero binario, stimolo-risposta, che impedisce la riflessione critica utile a sperimentare una libertà di scelta e processi decisionali non pre-determinati. La libertà è un tema troppo importante per essere delegata ai Signori del Silicio. Lei cosa ne pensa?
Secondo me molti confondono il significato di libertà con il concetto di anarchia, ovvero quello di fare quello che si vuole.
In Silicon Valley per esempio tutte le più grandi big company della tecnologia partendo da Google che è stata la prima, stanno assumendo filosofi e figure che hanno studiato materie umanistiche oppure artistiche, come loro consulenti d’impresa e di comunicazione.
Proprio perché la filosofia non è solo la storia della filosofia o dei pensatori che insegnano a scuola o all’università, la filosofia si pratica, per questo le figure come la mia di “filosofo imprenditore” e quelle dei “filosofi pratici o esecutivi” sono sempre più richieste dal mercato del lavoro perché attraverso l’esplorazione di nuovi linguaggi, il dialogo e la narrazione possiamo aiutare imprenditori e professionisti a far crescere umanamente ed economicamente in modo etico, sano e controllato le imprese dandogli un nuovo punto di vista.
Le machine al lavoro, gli umani senza lavoro felici e contenti!
Per tornare al concetto della libertà, io ho una visione stoica a riguardo, ovvero secondo me la libertà è il rispetto delle regole, ovvero possiamo accettare liberamente il nostro destino mettendo al servizio degli altri il nostro talento oppure opporci tramite il libero arbitrio e fare quello che ci pare.
Secondo me finché l’uomo penserà di non essere libero perché non può fare quello che vuole non sarà mai libero veramente, anche per questo concetto la libertà non va cercata all’esterno ma all’interno di noi.
* Foto by Fotoristico