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Come dervisci rotanti che danzano sull'orlo di un burrone ( Gianni Spulcioni)

Come dervisci rotanti che danzano sull'orlo di un burrone ( Gianni Spulcioni)

01 Ottobre 2020 Interviste filosofiche
Interviste filosofiche
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Stiamo pericolosamente danzando sull’orlo del burrone. Le indubitabili opportunità che la tecnologia ci offre di vivere meglio, hanno un rovescio della medaglia pericoloso che oggi mi pare stia prendendo il sopravvento. In ciò, a mio avviso, sicuramente molto aiutata dall’attuale situazione economica con i suoi risvolti sociali.

"Diogene […] obiettò una volta che gli si facevano le lodi di un filosofo: “Che cosa mai ha da mostrare di grande, se da tanto tempo pratica la filosofia e non ha ancora turbato nessuno?” Proprio così bisognerebbe scrivere sulla tomba della filosofia della università: “Non ha mai turbato nessuno” (F. Nietzsche, Considerazioni inattuali III. Schopenhauer come educatore, tr. it. di M. Montinari, in F. Nietzsche, Opere, vol. III, tomo I, Adelphi, pag. 457)."  


Sei filosofo, sociologo, piscologo, studioso della tecnologia o semplice cittadino consapevole della Rete e vuoi partecipare alla nostra iniziativa con un contributo di pensiero? .

Tutti sembrano concordare sul fatto che viviamo tempi interessanti, complessi e ricchi di cambiamenti. Molti associano il cambiamento alla tecnologia. Pochi riflettono su quanto in profondità la tecnologia stia trasformando il mondo, la realtà oggettiva e fattuale delle persone, nelle loro vesti di consumatori, cittadini ed elettori. Sulla velocità di fuga e volontà di potenza della tecnologia e sulla sua continua evoluzione, negli ultimi anni sono stati scritti numerosi libri che propongono nuovi strumenti concettuali e cognitivi per conoscere meglio la tecnologia e/o suggeriscono una riflessione critica utile per un utilizzo diverso e più consapevole della tecnologia e per comprenderne meglio i suoi effetti sull'evoluzione futura del genere umano.

In questo articolo proponiamo l’intervista che Carlo Mazzucchelli  ha condotto con Gianni Spulcioni.


 

Buongiorno, può raccontarci qualcosa di lei, della sua attività attuale, del suo interesse per le nuove tecnologie e per una riflessione sull'era tecnologica e dell'informazione che viviamo? 

Sono un consulente aziendale principalmente in ambito gestione risorse umane e governance d’impresa. Ho una lunga esperienza professionale in imprese di settori economici diversi e di culture molto differenziate. Al contempo sono membro di Consigli di Amministrazione di alcune Società. Ho scritto qualche articolo e libro.

Nel corso della mia esperienza professionale ho ben imparato che la tecnologia e la sua evoluzione hanno un impatto rilevante sulla vita e le attività delle imprese, che va al di là del semplice aspetto “tecnico” ma coinvolgono, forse più, l’aspetto socio-organizzativo e alla fine culturale.

Mi considero un privilegiato, perché appartengo ad una generazione (sono nato nel 1959) che ha avuto la possibilità di vivere in presa diretta la trasformazione del mondo in cui viviamo per effetto dei cambiamenti economici, sociali (la globalizzazione e i suoi effetti) e tecnologici, impressionato come tutti dal passaggio dal telefono fisso a parete allo smartphone, dalle lettere alle mail e dalla contabilità a mano all’high frequency trading.

Sono assai interessato, e un po’ preoccupato, a capire bene dove questa trasformazione ci stia portando: probabilmente siamo in un passaggio non ancora completato verso qualcosa che finora non è del tutto delineata. Ho una naturale inclinazione, per formazione culturale, all’approfondimento e allo studio dei fenomeni sociali del nostro tempo, secondo una visione d’insieme che cerca di essere appunto sistemica e non particolaristica perché sono convinto che la complessità del mondo di oggi non possa essere spiegata a compartimenti stagni, con riduzioni semplicistiche, ma vada compresa tenendo in conto i diversi fattori che la determinano. In particolar modo i cambiamenti tecnologici di questi ultimissimi anni stanno avendo un fortissimo impatto nell’ambito economico, sociale, politico, relazionale e alla fine personale, e proprio per questo non possono essere sottovalutati. Cito altri: siamo di fronte non ad un’epoca di cambiamenti ma ad un cambiamento epocale. Ovviamente non solo a causa della tecnologia, ma … aiuta parecchio anche quella.  

Secondo il filosofo pop del momento, Slavoj Žižek, viviamo tempi alla fine dei tempi. Quella del filosofo sloveno è una riflessione sulla società e sull'economia del terzo millennio ma può essere estesa anche alla tecnologia e alla sua volontà di potenza (il technium di Kevin Kelly nel suo libro Cosa vuole la tecnologia) che stanno trasformando il mondo, l'uomo, la percezione della realtà e l'evoluzione futura del genere umano. La trasformazione in atto obbliga tutti a riflettere sul fenomeno della pervasività e dell'uso diffuso di strumenti tecnologici ma anche sugli effetti della tecnologia. Qual è la sua visione attuale dell'era tecnologica che viviamo e che tipo di riflessione dovrebbe essere fatta, da parte dei filosofi e degli scienziati ma anche delle singole persone? 

L’era tecnologica che stiamo vivendo ha luci ed ombre. D’altronde la storia dell’umanità (amo molto lo studio dei fatti storici) a ben guardare è sempre stata caratterizzata da sviluppi e da evoluzioni (talvolta rivoluzioni) che contenevano in sé stesse aspetti positivi ma al contempo anche negativi. Basti pensare ad esempio alla rivoluzione industriale di fine Ottocento.

Abbiamo oggi il dovere di porci di fronte a questi anni di grande cambiamento con una rigorosa analisi e riflessione, finalizzata anzitutto a capire. Capire cause, effetti, implicazioni. Capire senza demonizzare ma anche senza esaltare.

La storia ci dimostra ampiamente che la tecnologia è (sarebbe) di per sè stessa neutrale: è come l’essere umano decide di gestirla e farla evolvere che la fa divenire cattiva o positiva, deleteria o benefica. Non c’è una tecnologia che contiene in sé una immanenza di negatività o di positività. E’ ciò che ne fa l’uomo che la può rendere tale.

Ne discende che occorre soprattutto e anzitutto capire bene cosa l’essere umano ne stia facendo oggi, come la stia usando. Capire ciò che è cambiato (e come) e anche come viene utilizzato.

Occorre cioè consapevolezza. Vedo troppa passiva accettazione, esaltazione modaiola senza senso da un lato ma anche demonizzazione intellettuale dall’altro. 

Miliardi di persone sono oggi dotate di smartphone usati come protesi tecnologiche, di display magnetici capaci di restringere la visuale dell'occhio umano rendendola falsamente aumentata, di applicazioni in grado di regalare esperienze virtuali e parallele di tipo digitale. In questa realtà ciò che manca è una riflessione su quanto la tecnologia stia cambiando la vita delle persone (High Tech High Touch di Naisbitt) ma soprattutto su quali siano gli effetti e quali possano esserne le conseguenze.  Il primo effetto è che stanno cambiando i concetti stessi con cui analizziamo e cerchiamo di comprendere la realtà. La tecnologia non è più neutrale, sta riscrivendo il mondo intero e il cervello stesso delle persone. Lo sta facendo attraverso il potere dei produttori tecnologici e la tacita complicità degli utenti/consumatori. Come stanno cambiando secondo lei i concetti che usiamo per interagire e comprendere la realtà tecnologica? Ritiene anche lei che la tecnologia non sia più neutrale? 

La mia impressione è che si stiano dando per scontate troppe cose: che la tecnologia sia buona per definizione, che da essa possano provenire solo benefici e che la sua evoluzione e applicazione sia ineluttabilmente positiva e inevitabile. Non è così.

In linea generale sono abbastanza convinto che la tecnologia sia neutrale: l’intelligenza dell’uomo, le sue capacità cognitive, l’inarrestabile fame di sapere e di conoscere lo porta storicamente a sviluppare conoscenze, saperi, e con essi la tecnologia. Ma è essenziale l’utilizzo che ne viene fatto, le modalità con le quali la applichiamo.

Adesso, con il grande sviluppo tecnologico digitale che stiamo vivendo, questo diviene ancora ancora più vero, ancora più delicato, per la enorme mole di implicazioni che esso comporta, del tutto nuove rispetto ad un passato anche recente.

Per la prima volta nella storia dell’umanità, di fatto miliardi di persone sono connesse in tempo reale le une con le altre. Il flusso di informazioni si è universalmente diffuso e soprattutto è passato dall’essere prodotto per così dire da uno nei confronti di molti, cioè intermediata (la stampa, la televisione, la radio ecc.) all’essere prodotta da molti (potenzialmente tutti) nei confronti di molti (tutti), cioè disintermediata, in cui ciascuno può davvero fare informazione (o psudo tale…) nei confronti di una platea potenzialmente sconfinata ed in cui ciascuno al contempo è autore e utente. Con tutti i rischi che ne discendono, ben noti, in termini di qualità dell’informazione, di fake news, di verità alternative e via dicendo.

Bastano solo questi riferimenti per convincersi che il cambiamento è già avvenuto e che occorre una consapevolezza profonda di tutto questo perché sono reali i rischi (anzi sono ormai un fatto) di disinformazione che a sua volta può avere conseguenze nefaste dal punto di vista sociale e politico, come purtroppo stiamo già vedendo.

La possibilità offerta dalla tecnologia di essere connessi e di aprire menti e culture allo scambio di idee, si traduce facilmente in effetti deleteri per il futuro stesso dell’uomo dal punto di vista politico.   

Secondo il filosofo francese Alain Badiou ciò che interessa il filosofo non è tanto quel che è (chi siamo!) ma quel che viene. Con lo sguardo rivolto alla tecnologia e alla sua evoluzione, quali sono secondo lei i possibili scenari futuri che stanno emergendo e quale immagine del mondo futuro che verrà ci stanno anticipando?

Non appartengo alla schiera dei demonizzatori ad ogni costo del progresso tecnologico attuale, pur tuttavia avverto che stiamo pericolosamente danzando sull’orlo del burrone. Le indubitabili opportunità che la tecnologia ci offre di vivere meglio, hanno un rovescio della medaglia pericoloso che oggi mi pare stia prendendo il sopravvento. In ciò, a mio avviso, sicuramente molto aiutata dall’attuale situazione economica con i suoi risvolti sociali.

Come già dicevo, occorre una visione d’insieme (per quanto possibile) che sappia tenere assieme i vari elementi: la tecnologia non è un fattore esclusivo a sé stante ma al contrario è inserito in una realtà che è anche economica e sociale dalla quale è influenzato e che a sua volta influenza. L’uso che oggi viene fatto della tecnologia fa pensare più a un futuro da Grande Fratello che non da Paradiso in terra.

Ma penso anche che siamo ancora in tempo a intervenire per scongiurare questo pericolo, ancorché ciò sia molto difficile e impegnativo: è necessaria una consapevolezza molto diffusa di questi fattori, di queste conseguenze. Si può fare un uso corretto della tecnologia se abbiamo ben presenti i valori universali ai quali dobbiamo fare riferimento e che devono governare il futuro dell’uomo: libertà? Giustizia sociale? Democrazia e liberalismo? Eticità? Tutela della riservatezza e della autonomia personale? Altro ancora. 

Secondo alcuni, tecnofobi, tecno-pessimisti e tecno-luddisti, il futuro della tecnologia sarà distopico, dominato dalle macchine, dalla singolarità di Kurzweil (la via di fuga della tecnologia) e da un Matrix nel quale saranno introvabili persino le pillole rosse che hanno permesso a Neo di prendere coscienza della realtà artificiale nella quale era imprigionato. Per altri, tecnofili, tecno-entusiasti e tecno-maniaci, il futuro sarà ricco di opportunità e nuove utopie/etopie. A quali di queste categorie pensa di appartenere e qual è la sua visione del futuro tecnologico che ci aspetta? E se la posizione da assumere fosse semplicemente quelle tecno-critica o tecno-cinica? E se a contare davvero fosse solo una maggiore consapevolezza diffusa nell'utilizzo della tecnologia?

 

Credo fermamente che il tema prioritario sia la maggiore consapevolezza nell’utilizzo della tecnologia. Non sono certamente tecnofobo: studiando la storia si ha ben chiaro di quanto la l’innovazione tecnologica abbia contribuito all’evoluzione dell’umanità. Non sono neppure però tecnofilo a oltranza né tecno-entusiasta. Sono convintissimo che sia necessario non prendere tutto per oro colato ma approfondire i vari aspetti, i pro e i contro, di ogni innovazione per farsi consapevoli dei benefici ma anche delle potenziali conseguenze negative.

Dunque mi sento più tecno-critico. Però questa è la strada più complessa, più faticosa. Troppo più semplice e comodo “cedere” alle lusinghe della tecnologia in modo irriflessivo …. E qualcuno ha tutto l’interesse perché sia così (di nuovo il tema dell’uso che si fa della tecnologia). Rivestono a mio avviso un ruolo di grande peso quelli che io definisco, con una formula desueta, gli intellettuali, ossia coloro, gli esperti, che hanno competenze e conoscenze frutto di studio e approfondimento: devono portare nel mondo consapevolezza. Devono evidenziare i rischi accanto ai benefici. Avendo come guida e ispirazione i valori universali dell’uomo.

E’ tutt’altro che facile. Mi spaventa leggere che secondo un’indagine del 2011 del linguista Tullio De Mauro il 71% della popolazione adulta italiana si trovava al di sotto del livello minimo di lettura e comprensione di un testo italiano scritto di media difficoltà. Spavento che aumenta leggendo degli esiti di una simile analisi fatta dall’OCSE nel 2013 in cui si evidenzia che in Italia (è solo un esempio) solo 1 adulto su 20 possedeva un alto livello di competenze alfabetiche per comprendere testi complessi e che quasi 3 adulti su 10 avevano prestazioni al di sotto del livello considerato minimo sia nelle competenze alfabetiche che matematiche. Da qui la delicatezza del ruolo di chi spiega e diffonde consapevolezza. Occorre farlo, e farlo in un certo modo, facendosi comprendere con semplicità. Non è paternalismo ma (anche qui) consapevolezza delle caratteristiche del terreno su cui si deve seminare e quindi di ciò che devo o non devo fare per seminare. 

Mentre l'attenzione dei media e dei consumatori è tutta mirata alle meraviglie tecnologiche di prodotti tecnologici diventati protesi operative e cognitive per la nostra interazione con molteplici realtà parallele nelle quali viviamo, sfugge ai più la pervasività della tecnologia, nelle sue componenti nascoste e invisibili. Poca attenzione è dedicata all'uso di soluzioni di Cloud Computing e ancora meno di Big Data nei quali vengono archiviati miliardi di dati personali. In particolare sfugge quasi a tutti che il software sta dominando il mondo e determinando una rivoluzione paragonabile a quella dell'alfabeto, della scrittura, della stampa e di Internet. Questa rivoluzione è sotterranea, continua, invisibile, intelligente, Fatta di componenti software miniaturizzati, agili e leggeri capaci di apprendere, di interagire, di integrarsi e di adattarsi come se fossero neuroni in cerca di nuove sinapsi.  Questa rivoluzione sta cambiando le vite di tutti ma anche la loro percezione della realtà, la loro mente e il loro inconscio. Modificati come siamo dalla tecnologia, non ci rendiamo conto di avere indossato delle lenti con cui interpretiamo il mondo e interagiamo con esso. Lei cosa ne pensa? 

Concordo pienamente. A mio avviso, è assolutamente diffusa una scarsa conoscenza dei fenomeni e delle potenziali o reali conseguenze.

Quanti davvero hanno chiaro anche solamente cosa si intenda per big data, cosa avvenga realmente sotto la superficie ogni volta che si accede ad un sito? Non c’è da essere molto ottimisti, anche tenuto conto di detto poco sopra a proposito di competenze e capacità di comprensione.

Qui sta il punto cruciale: ci vuole pensiero critico. Ovviamente c’è invece chi ha tutto l’interesse a fare in modo che non ci si tolgano quelle lenti con cui interpretiamo il mondo. 

Se il software è al comando, chi lo produce e gestisce lo è ancora di più. Questo software, nella forma di applicazioni, è oggi sempre più nelle mani di quelli che Eugeny Morozov chiama i Signori del silicio (la banda dei quattro: Google, Fcebook, Amazon e Apple). E' un controllo che pone il problema della privacy e della riservatezza dei dati ma anche quello della complicità conformistica e acritica degli utenti/consumatori nel soddisfare la bulimia del software e di chi lo gestisce. Grazie ai suoi algoritmi e pervasività, il software, ma anche la tecnologia in generale, pone numerosi problemi, tutti interessanti per una una riflessione filosofica ma anche politica e umanistica, quali la libertà individuale (non solo di scelta), la democrazia, l'identità, ecc. (si potrebbe citare a questo proposito La Boétie e il suo testo Il Discorso sulla servitù volontaria). Lei cosa ne pensa?

Concordo pienamente con chi mette in guardia dal pericolo che ormai i signori del silicio costituiscono sotto molteplici punti di vista.

Anzitutto è il potere: è inquietante che questi pochi protagonisti abbiano accumulato un potere enorme, che è anche politico, nel senso che sono assolutamente in grado con le loro dimensioni di condizionare i governi locali e le relative scelte. Quanto meno per evitare regole troppo stringenti. Il discorso sarebbe lungo ma interessantissimo.

Con il potere di condizionamento politico c’è quello di condizionamento personale. Tutti sappiamo come questi signori abbiano la concretissima possibilità (certezza) di disporre di dati infiniti su ognuno di noi a costo zero e su ogni fenomeno della vita sociale, senza effettivi limiti reali a tutela della riservatezza individuale.

Trovo questa situazione veramente pericolosa poiché quando si concentra il potere, troppo potere, in pochissime mani le tentazioni autoritarie diventano concrete. E’ un tema a mio avviso di grandissimo rilievo e che meriterebbe approfondimenti e un risveglio critico da parte dell’opinione pubblica che ancora mi pare non ci sia, o sia al più limitato ad una elite di studiosi.

Uno dei presupposti della democrazia è l’indipendenza e la pluralità dei media per fare informazione: appunto “medium”, mezzo, potremmo dire canale, attraverso il quale si fa informazione. Ebbene se oggi informazione si fa ormai soprattutto attraverso Facebook e gli altri social network, è bene chiedersi quanto davvero essi possano essere indipendenti, appartenendo – diciamo così - a proprietari unici. Potrebbero decidere di orientare l’informazione a qualche scopo, le possibilità tecnologiche (software, algoritmi ecc…) certo loro non mancherebbero.

Temi troppo sofisticati? Forse, ma propaganda e gestione del consenso sono temi che la storia ha sempre conosciuto.

Di recente ho letto una dichiarazione di un noto personaggio italiano secondo il quale solo la democrazia diretta è il futuro (che fa il paio con chi sostiene che il parlamento è ormai superato): la ritengo affermazione pericolosissima. Non è pensabile che si possa chiedere ad ogni cittadino di esprimersi direttamente su ogni argomento della vita pubblica solamente utilizzando qualche piattaforma digitale: in un mondo sempre più complesso come si può pensare che ciascuno abbia competenze pressoché universali per potere decidere a ragion veduta? Chi pone le domande e i quesiti da sottoporre ai cittadini per le decisioni del caso ha in realtà un potere enorme (conta moltissimo – come tutti sappiamo – come si pongono le domande…) e dunque costituisce una elite che invece guarda caso è proprio ciò che chi sostiene queste posizioni vuole combattere. Nessuno però, che io sappia, gli ha risposto con la stessa enfasi e visibilità. 

Una delle studiose più attente al fenomeno della tecnologia è Sherry Turkle. Nei suoi libri Insieme ma soli e nell'ultimo La conversazione necessaria, la Turkle ha analizzato il fenomeno dei social network arrivando alla conclusione che, avendo sacrificato la conversazione umana alle tecnologie digitali,  il dialogo stia perdendo la sua forza e si stia perdendo la capacità di sopportare solitudine e inquietudini ma anche di concentrarsi, riflettere e operare per il proprio benessere psichico e cognitivo. Lei come guarda al fenomeno dei social network e alle pratiche, anche compulsive, che in essi si manifestano? Cosa stiamo perdendo o guadagnando da una interazione umana e con la realtà sempre più mediata da dispositivi tecnologici?

Misura, equilibrio. Sono due paroline magiche che dovrebbero prevalere sempre, in particolar modo quando parliamo di social network.

Sono fuori discussione gli effetti negativi di un certo loro uso (ancora una volta, è l’uso che conta) purtroppo ben assai diffuso: compulsivo. Ho letto di serissimi studi scientifici che provano la perdita di concentrazione e anche di capacità cognitiva con questo tipo di uso. Ma prima ancora mi pare che l’effetto davvero deleterio sia nella inesorabile, graduale perdita di capacità di interrelazione sociale tra gli individui: voglio dire che stanno perdendo terreno da un lato la capacità di coltivare e sviluppare relazioni “vere”, de visu, e non virtuali, e dall’altro il confronto di idee vero, onesto, autentico, il dialogo appunto. Questo è rischioso perché è sempre stato il confronto ed il dialogo a spingere avanti il mondo. La storia insegna che quando questo è mancato (qualunque siano la ragioni) si sono avuti momenti molto bui di involuzione della vicenda umana.

Tornando all’inizio, io credo che l’interazione con i propri simili e con la realtà, mediata dai dispositivi tecnologici sia certamente positiva e consenta apertura e circolazione delle idee, purché però se ne faccia un uso misurato e non compulsivo. Altrimenti i pericoli di perdita secca sono enormi.

In un libro di Finn Brunton e Helen Nissenbaum, Offuscamento. Manuale di difesa della privacy e della protesta, si descrivono le tecniche che potrebbero essere usate per ingannare, offuscare e rendere inoffensivi gli algoritmi di cui è disseminata la nostra vita online. Il libro propone alcuni semplici comportamenti che potrebbero permettere di difendere i propri spazi di libertà dall'invadenza della tecnologia. Secondo lei è possibile difendersi e come si potrebbe farlo?

L’essere umano ha saputo evolversi nei millenni fin qui, dunque sa di certo trovare il modo per sconfiggere i rischi che corriamo se facciamo un uso scorretto della tecnologia. La resistenza è certo possibile.

Io però credo che sia necessario anzitutto lavorare sugli aspetti culturali, ossia sull’impegnarsi (tutti coloro che sono in grado di farlo) nel diffondere consapevolezza sul momento che stiamo vivendo, sui pro e i contro di certi utilizzi della tecnologia. E’ – l’ho già detto – un lavoro lungo e delicato e non è detto che sia coronato da successo, ma non ci sono alternative. Deve maturare nella massa (sì, proprio nella massa) la consapevolezza. Non credo all’efficacia di divieti e di controllori di vario tipo calati dall’alto. Le persone vanno coinvolte come sempre non si può imporre nulla. 

Vuole aggiungere altro per i lettori di SoloTablet, ad esempio qualche suggerimento di lettura? Vuole suggerire dei temi che potrebbero essere approfonditi in attività future? Cosa suggerisce per condividere e far conoscere l'iniziativa nella quale anche lei è stato/a coinvolto/a?

Per formazione culturale, sento forte il richiamo all’approfondimento del legame tra tecnologia (almeno di un certo uso di essa) e politica: lo considero molto stretto e ritengo che anche – e forse soprattutto - da qui passi il destino futuro della democrazia e del liberalismo: quanto certe posizioni populiste ormai diffuse hanno trovato alimento nella polarizzazione di opinioni in rete, attraverso un uso distorto (comunque non positivo) della rete e dei social? Probabilmente si tratta di una influenza reciproca che ai autoalimenta, ma appunto trovo di grandissimo interesse approfondire il tema.

Suggerisco una lettura illuminante, alla portata di tutti, che si rifaccia anche a questi aspetti: Cass R. Sunstein, #republic. La democrazia nell’epoca dei social media, Il Mulino, 2017 

Cosa pensa del nostro progetto SoloTablet? Ci piacerebbe avere dei suggerimenti per migliorarlo! 

Splendido! Insistere, insistere, insistere…

 * Tutte le immagini sono fotografie di viaggio di Carlo Mazzucchelli (Francia, raduno di auto d'epoca)

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