"Diogene […] obiettò una volta che gli si facevano le lodi di un filosofo: “Che cosa mai ha da mostrare di grande, se da tanto tempo pratica la filosofia e non ha ancora turbato nessuno?” Proprio così bisognerebbe scrivere sulla tomba della filosofia della università: “Non ha mai turbato nessuno” (F. Nietzsche, Considerazioni inattuali III. Schopenhauer come educatore, tr. it. di M. Montinari, in F. Nietzsche, Opere, vol. III, tomo I, Adelphi, pag. 457)."
Sei filosofo, sociologo, piscologo, studioso della tecnologia o semplice cittadino consapevole della Rete e vuoi partecipare alla nostra iniziativa con un contributo di pensiero? Puoi farlo scrivendo a questo indirizzo.
Tutti sembrano concordare sul fatto che viviamo tempi interessanti, complessi e ricchi di cambiamenti. Molti associano il cambiamento alla tecnologia. Pochi riflettono su quanto in profondità la tecnologia stia trasformando il mondo, la realtà oggettiva e fattuale delle persone, nelle loro vesti di consumatori, cittadini ed elettori. Sulla velocità di fuga e volontà di potenza della tecnologia e sulla sua continua evoluzione, negli ultimi anni sono stati scritti numerosi libri che propongono nuovi strumenti concettuali e cognitivi per conoscere meglio la tecnologia e/o suggeriscono una riflessione critica utile per un utilizzo diverso e più consapevole della tecnologia e per comprenderne meglio i suoi effetti sull'evoluzione futura del genere umano.
In questo articolo proponiamo l’intervista che Carlo Mazzucchelli ha condotto con Pietro Piro
Buongiorno, può raccontarci qualcosa di lei, della sua attività attuale, del suo interesse per le nuove tecnologie e per una riflessione sull'era tecnologica e dell'informazione che viviamo?
Sono un sociologo, ho lavorato negli ultimi anni nell’ambito della marginalità sociale degli adulti e in particolare sulle misure di contrasto alla povertà.
Dal primo luglio sono “responsabile ricerca e sviluppo” dell’area sociale e formativa dell’Opera Don Calabria di Verona.
Affianco all’attività sociale anche quella di ricercatore e saggista.
L’interesse per le nuove tecnologie e per il “Sistema Tecnico” è centrale nella mia riflessione sull’uomo.
Credo sia necessaria una riflessione profonda sulla natura dell’innovazione tecnologica, sul suo impatto sull’ecosistema, sulle conseguenze socio-politiche, sul potenziale di liberazione e, purtroppo, anche sulle possibili derive autoritarie e distruttive.
Secondo il filosofo pop del momento, Slavoj Žižek, viviamo tempi alla fine dei tempi. Quella del filosofo sloveno è una riflessione sulla società e sull'economia del terzo millennio ma può essere estesa anche alla tecnologia e alla sua volontà di potenza (il technium di Kevin Kelly nel suo libro Cosa vuole la tecnologia) che stanno trasformando il mondo, l'uomo, la percezione della realtà e l'evoluzione futura del genere umano. La trasformazione in atto obbliga tutti a riflettere sul fenomeno della pervasività e dell'uso diffuso di strumenti tecnologici ma anche sugli effetti della tecnologia. Qual è la sua visione attuale dell'era tecnologica che viviamo e che tipo di riflessione dovrebbe essere fatta, da parte dei filosofi e degli scienziati ma anche delle singole persone?
Credo sia molto difficile rispondere su un piano così complesso. Ogni innovazione tecnologica è dotata di un “potenziale di liberazione” che permette all’uomo di liberare tempo dalla fatica e dal dolore e, allo stesso tempo, è un potenziale che può essere usato per rinforzare un sistema di potere, di controllo, di oppressione.
Tutto dipende dai criteri che presiedono la selezione delle innovazioni che diventano “quotidianità” e dagli interessi che ispirano questa selezione.
Credo che, in questo momento, l’innovazione tecnologica sia motivata prevalentemente dalla ricerca del profitto e delle strategie militari. Allora, mi pare fondamentale chiedersi come la politica può e deve influire sulle scelte e fare in modo che gli interessi che la motivino siano ispirati a una maggiore equità sociale e a una democrazia reale dalla base larga e partecipata.
Una democrazia in cui la politica protegge l’individuo dallo strapotere dei grandi apparati multinazionali e crea le basi per un vero progresso culturale.
Tra le più grandi mancanze del dibattito politico italiano mi pare ci sia proprio una riflessione approfondita sull’innovazione tecnologica. È un vuoto di pensiero molto grave e carico di conseguenze.
La riflessione che dovrebbe essere fatta dalle singole persone credo potrebbe essere questa: utilizzando questo strumento tecnologico cosa guadagno e cosa perdo? Mi aiuta a migliorare la qualità della mia vita, oppure, mi rende sempre più ansioso e dipendente? Potrebbe essere un buon esercizio critico.
Miliardi di persone sono oggi dotate di smartphone usati come protesi tecnologiche, di display magnetici capaci di restringere la visuale dell'occhio umano rendendola falsamente aumentata, di applicazioni in grado di regalare esperienze virtuali e parallele di tipo digitale. In questa realtà ciò che manca è una riflessione su quanto la tecnologia stia cambiando la vita delle persone (High Tech High Touch di Naisbitt) ma soprattutto su quali siano gli effetti e quali possano esserne le conseguenze. Il primo effetto è che stanno cambiando i concetti stessi con cui analizziamo e cerchiamo di comprendere la realtà. La tecnologia non è più neutrale, sta riscrivendo il mondo intero e il cervello stesso delle persone. Lo sta facendo attraverso il potere dei produttori tecnologici e la tacita complicità degli utenti/consumatori. Come stanno cambiando secondo lei i concetti che usiamo per interagire e comprendere la realtà tecnologica? Ritiene anche lei che la tecnologia non sia più neutrale?
Credo che dobbiamo riconoscere – come ci ha insegnato Ivan Illich – che gli strumenti tecnologici ci permettono di sviluppare alcune sensibilità e, allo stesso tempo, ne atrofizzano delle altre.
Sé attraverso gli strumenti tecnici possiamo compiere operazioni complesse che prima non potevamo neanche immaginare, rischiamo di non saper più farne altre perché perdiamo la quotidianità dell’uso. Pensi, ad esempio, alla scrittura. Se si esercita tutti i giorni per diverse ore, poi si può raggiungere un certo virtuosismo e un’ottima calligrafia. Altrimenti, non scrivendo più con la mano, come succede oggi, ma solo attraverso una tastiera, rischiamo di regredire in quell’abilità.
Ogni abilità, ogni senso, ogni capacità percettiva, richiede esercizio, continuità, passione, approfondimento. Sé utilizziamo uno strumento che sostituisce una nostra abilità percettiva, rischiamo di dover fare sempre affidamento a quello strumento per svolgere quella funzione. Pensi a com’è cambiato radicalmente il nostro senso dell’orientamento da quando disponiamo di navigatori satellitari. Ricordo quando questa tecnologia non era di uso quotidiano e si viaggiava con delle mappe che richiedevano una notevole capacità di lettura e interpretazione. Oggi una voce gentile ci guida a destinazione. Comodissimo. Ma quanta sensibilità abbiamo perso?
I concetti, le idee, le strutture complesse di pensiero si sviluppano dalle sensibilità quotidiane che offrono la base, il materiale di costruzione per la mente. L’uso di strumenti tecnologici costruisce la nostra mente. È inevitabile. Jacques Ellul si è spinto ad affermare che oggi la coscienza dell’individuo è un riflesso dell’ambiente tecnico. Credo sia un’affermazione molto provocatoria che andrebbe approfondita con il contributo di molti specialisti in vari settori della scienza.
Gli strumenti tecnici – e qui faccio riferimento anche al cacciavite – non sono mai “neutri”. Sono sempre pensati per un uso, e quindi, per influire sulla relazione tra persona e ambiente. Lo strumento cambia la realtà, la modifica, la influenza. Una bomba atomica anche se non è mai utilizzata e dimora in un polveroso magazzino segreto, ha un potere d’influenza enorme. Una torcia elettrica ha lo stesso potere? In pieno giorno no. Ma quando si fa notte fonda e l’angoscia del buio terrorizza, la sua presenza può diventare essenziale, vitale, decisiva.
Secondo il filosofo francese Alain Badiou ciò che interessa il filosofo non è tanto quel che è (chi siamo!) ma quel che viene. Con lo sguardo rivolto alla tecnologia e alla sua evoluzione, quali sono secondo lei i possibili scenari futuri che stanno emergendo e quale immagine del mondo futuro che verrà ci stanno anticipando?
Quello che si riesce a percepire dalle informazioni alle quali possiamo accedere, è che si sta lavorando per rendere alcuni uomini sempre più longevi, forse immortali. Il presupposto è che se la mortalità è un codice iscritto nel DNA, basta cambiare questo codice e il gioco è fatto. Si diffonde sempre più l’idea che i problemi che hanno afflitto l’umanità: malattie, carestie, guerre, ignoranza, povertà, siano state causate da problemi tecnici e che domani, quando la ricerca avanzerà, tutte queste afflizioni saranno solo un brutto ricordo. Anche sé la fiducia nella scienza e nella tecnica sembra diminuire nell’opinione pubblica, le aspettative di salvezza che la persona comune ha nei confronti del futuro tecnologico sono enormi.
Gli scenari futuri sono però difficili da descrivere nel dettaglio. Tuttavia, mi pare che si possa dire che il più grande problema del prossimo futuro sarà come gestire le risorse di un Pianeta che è sempre più sfruttato. La popolazione del pianeta cresce sempre di più e aumenta la pretesa di una vita dignitosa e felice. Questa richiesta illimitata di benessere non tiene conto dei limiti di risorse definite. In questa forte contraddizione deve essere letta tutta la lotta per il potere politico del prossimo futuro. Fa bene Bruno Latour ad affermare che la questione climatica, la crescita delle disuguaglianze e le migrazioni sono il centro del dibattito geopolitico globale.
L’immagine del mondo futuro che già si sta anticipando, è quella di un Pianeta sofferente, inquieto, carico di contraddizioni, con una ristretta élite capace di accedere ai benefici diretti di una tecnologia avanzata e un’enorme massa di poveri costretti a lottare contro l’inquinamento, il degrado, la perdita d’identità e di territorio.
Secondo alcuni, tecnofobi, tecno-pessimisti e tecno-luddisti, il futuro della tecnologia sarà distopico, dominato dalle macchine, dalla singolarità di Kurzweil(la via di fuga della tecnologia) e da un Matrix nel quale saranno introvabili persino le pillole rosse che hanno permesso a Neo di prendere coscienza della realtà artificiale nella quale era imprigionato. Per altri, tecnofili, tecno-entusiasti e tecno-maniaci, il futuro sarà ricco di opportunità e nuove utopie/etopie. A quali di queste categorie pensa di appartenere e qual è la sua visione del futuro tecnologico che ci aspetta? E se la posizione da assumere fosse semplicemente quelle tecno-critica o tecno-cinica? E se a contare davvero fosse solo una maggiore consapevolezza diffusa nell'utilizzo della tecnologia?
Secondo me nei confronti della tecnologia occorre avere un atteggiamento prudente come di fronte a tutti i problemi complessi. Occorre dare energia a una politica della tecnica che sia capace di pianificare lo sviluppo tecnologico non solo in base ai bisogni della specie umana ma a quella di tutte le specie viventi. Abbiamo bisogno di un’ecologia profonda, radicale, centrata sui più alti livelli di connessione tra tutti gli esseri viventi.
Per questo motivo ritengo che si debba approfondire e diffondere a livello planetario tutte quelle “tecnologie dello spirito” come lo yoga, la meditazione, la preghiera, che permettono una maggiore connessione con le dimensioni più sottili della mente e l’apertura di canali di coscienza capaci di fare sentire la connessione profonda di tutti i fenomeni della realtà. In questo senso, non sono né ottimista, né pessimista, perché mi sembrano due atteggiamenti che non tengono conto della complessità e delle circostanze.
Credo di essere in ascolto delle connessioni profonde e queste connessioni invitano al silenzio più che alla parola. Al non agire piuttosto che all’azione.
Mentre l'attenzione dei media e dei consumatori è tutta mirata alle meraviglie tecnologiche di prodotti tecnologici diventati protesi operative e cognitive per la nostra interazione con molteplici realtà parallele nelle quali viviamo, sfugge ai più la pervasività della tecnologia, nelle sue componenti nascoste e invisibili. Poca attenzione è dedicata all'uso di soluzioni di Cloud Computing e ancora meno diBig Data nei quali vengono archiviati miliardi di dati personali. In particolare sfugge quasi a tutti che il software sta dominando il mondo e determinando una rivoluzione paragonabile a quella dell'alfabeto, della scrittura, della stampa e di Internet. Questa rivoluzione è sotterranea, continua, invisibile, intelligente, Fatta di componenti software miniaturizzati, agili e leggeri capaci di apprendere, di interagire, di integrarsi e di adattarsi come se fossero neuroni in cerca di nuove sinapsi. Questa rivoluzione sta cambiando le vite di tutti ma anche la loro percezione della realtà, la loro mente e il loro inconscio. Modificati come siamo dalla tecnologia, non ci rendiamo conto di avere indossato delle lenti con cui interpretiamo il mondo e interagiamo con esso. Lei cosa ne pensa?
Mi chiedo spesso: quando le macchine svilupperanno una propria coscienza, una capacità di ragionare sulla propria condizione, una riflessione su loro stesse, saranno ancora disponibili a essere completamente a nostro servizio? Oppure, svilupperanno delle pretese di riconoscimento, di autonomia, d’identità simili alle nostre? L’intelligenza artificiale può implementarsi a prescindere dall’uomo? Non sono in grado di dare delle risposte tecniche a questi interrogativi, però sono inquietato da questi possibili scenari.
Credo che le mie paure e preoccupazioni derivino da fantasmi dell’inconscio più profondo. Fantasmi che alimentano l’angoscia. Mi sembra impossibile pensare al futuro senza qualche timore.
Se il software è al comando, chi lo produce e gestisce lo è ancora di più. Questo software, nella forma di applicazioni, è oggi sempre più nelle mani di quelli che Eugeny Morozov chiama i Signori del silicio (la banda dei quattro: Google, Fcebook, Amazon e Apple). E' un controllo che pone il problema della privacy e della riservatezza dei dati ma anche quello della complicità conformistica e acritica degli utenti/consumatori nel soddisfare la bulimia del software e di chi lo gestisce. Grazie ai suoi algoritmi e pervasività, il software, ma anche la tecnologia in generale, pone numerosi problemi, tutti interessanti per unauna riflessione filosofica ma anche politica e umanistica, quali la libertà individuale (non solo di scelta), la democrazia, l'identità, ecc.(si potrebbe citare a questo proposito La Boétiee il suo testo Il Discorso sulla servitù volontaria). Lei cosa ne pensa?
La concentrazione di potere in poche mani è stata sempre pericolosa. Potere economico, militare, culturale, scientifico. Credo che introdurre processi di democratizzazione e di partecipazione diretta sia l’unico antidoto pacifico e razionale che conosciamo.
Occorre diffondere sempre, a tutti i livelli, l’idea che la cooperazione è più fruttuosa della competizione e che condividere è meglio che accaparrare. Non è facile, me ne rendo conto, ma è l’unica via percorribile.
Una delle studiose più attente al fenomeno della tecnologia è Sherry Turkle. Nei suoi libri Insieme ma soli e nell'ultimo La conversazione necessaria, la Turkle ha analizzato il fenomeno dei social network arrivando alla conclusione che, avendo sacrificato la conversazione umana alle tecnologie digitali, il dialogo stia perdendo la sua forza e si stia perdendo la capacità di sopportare solitudine e inquietudini ma anche di concentrarsi, riflettere e operare per il proprio benessere psichico e cognitivo. Lei come guarda al fenomeno dei social network e alle pratiche, anche compulsive, che in essi si manifestano? Cosa stiamo perdendo guadagnando da una interazione umana e con la realtà sempre più mediata da dispositivi tecnologici?
Ho scritto una recensione al libro Insieme ma soli di Sherry Turkle http://wwwdata.unibg.it/dati/bacheca/1030/58262.pdf al quale mi permetto di rimandare per un approfondimento.
Sui social network mi sono fatto un’idea molto precisa: sono uno strumento fondamentale d’interazione sociale e si tratta di un fenomeno complesso la cui piena comprensione richiede il contributo di numerosi specialisti in diversi ambiti del sapere. Di certo, non possiamo più pensare la nostra vita sociale, senza fare riferimento diretto a questi strumenti. Questa polarizzazione è indicativa dell’importanza che hanno assunto nella nostra vita.
In un libro di Finn Brunton e Helen Nissenbaum, Offuscamento. Manuale di difesa della privacy e della protesta, si descrivono le tecniche che potrebbero essere usate per ingannare, offuscare e rendere inoffensivi gli algoritmi di cui è disseminata la nostra vita online. Il libro propone alcuni semplici comportamenti che potrebbero permettere di difendere i propri spazi di libertà dall'invadenza della tecnologia. Secondo lei è possibile difendersi e come si potrebbe farlo?
Credo che la storia ci abbia insegnato che quando enormi apparati di potere e di controllo cercano di determinare ogni aspetto della vita dell’uomo e di guidarne i pensieri si finisce sempre per perdere di vista la persona e la sua unicità. Più si cerca di omologare e più diventa necessario sviluppare relazioni rizomatiche, intrecciare piani diversi del sapere, costruire ponti dove gli altri alzano i muri.
Per vincere la paura occorre accedere all’inviolabile dell’uomo, al suo segreto, all’inaccessibile e imparare a tutelarlo, nutrirlo, amarlo. Per vincere la paura dell’assedio è necessario farsi porte, non accumulare “tesori in terra”, condividere il più possibile. Solo quando svilupperemo una mente non giudicante, sensibile all’amore, aperta alla novità, alla vita, saremo capaci di “difenderci” dai continui attacchi di chi cerca di fare profitto delle nostre insicurezze.
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* Tutte le immagini sono scatti fotografici di un viaggio in Kamchatka