"Diogene […] obiettò una volta che gli si facevano le lodi di un filosofo: “Che cosa mai ha da mostrare di grande, se da tanto tempo pratica la filosofia e non ha ancora turbato nessuno?” Proprio così bisognerebbe scrivere sulla tomba della filosofia della università: “Non ha mai turbato nessuno” (F. Nietzsche, Considerazioni inattuali III. Schopenhauer come educatore, tr. it. di M. Montinari, in F. Nietzsche, Opere, vol. III, tomo I, Adelphi, pag. 457)."
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Tutti sembrano concordare sul fatto che viviamo tempi interessanti, complessi e ricchi di cambiamenti. Molti associano il cambiamento alla tecnologia. Pochi riflettono su quanto in profondità la tecnologia stia trasformando il mondo, la realtà oggettiva e fattuale delle persone, nelle loro vesti di consumatori, cittadini ed elettori. Sulla velocità di fuga e volontà di potenza della tecnologia e sulla sua continua evoluzione, negli ultimi anni sono stati scritti numerosi libri che propongono nuovi strumenti concettuali e cognitivi per conoscere meglio la tecnologia e/o suggeriscono una riflessione critica utile per un utilizzo diverso e più consapevole della tecnologia e per comprenderne meglio i suoi effetti sull'evoluzione futura del genere umano.
In questo articolo proponiamo l’intervista che Carlo Mazzucchelli ha condotto con Gerardo Ricciardi, Professore presso Ministero Istruzione, Universita' e Ricerca
Buongiorno, può raccontarci qualcosa di lei, della sua attività attuale, del suo interesse per le nuove tecnologie e per una riflessione sull'era tecnologica e dell'informazione che viviamo?
Attualmente sono un docente di filosofia e storia nel liceo scientifico statale di Nocera Inferiore, in provincia di Salerno. Attraverso vari percorsi, supportati da una visione filosofica ispiratrice di riflessioni sui cambiamenti sociali in vista del futuro, ho cominciato abbastanza presto a considerare l’importanza delle innovazioni tecnologiche e delle informazioni che le anticipano, dal punto di vista della loro utilità sociale, culturale, ambientale.
Mi piace ricordare, ad esempio, di avere coordinato, per una associazione di volontariato, un progetto di praticantato nel telelavoro per giovani disabili, nel 1998, nel Comune di Somma Vesuviana (NA) oppure di avere introdotto, con una cooperativa sociale, nel Comune di Roccapiemonte (SA), nell’anno 2000, un servizio di telesoccorso per anziani non autosufficienti. Mentre adesso mi sto occupando della possibilità di sviluppare percorsi di alternanza scuola-lavoro per gli studenti delle scuole superiori in modalità smart working.
Secondo il filosofo pop del momento, Slavoj Žižek, viviamo tempi alla fine dei tempi. Quella del filosofo sloveno è una riflessione sulla società e sull'economia del terzo millennio ma può essere estesa anche alla tecnologia e alla sua volontà di potenza (il technium di Kevin Kelly nel suo libro Cosa vuole la tecnologia) che stanno trasformando il mondo, l'uomo, la percezione della realtà e l'evoluzione futura del genere umano. La trasformazione in atto obbliga tutti a riflettere sul fenomeno della pervasività e dell'uso diffuso di strumenti tecnologici ma anche sugli effetti della tecnologia. Qual è la sua visione attuale dell'era tecnologica che viviamo e che tipo di riflessione dovrebbe essere fatta, da parte dei filosofi e degli scienziati ma anche delle singole persone?
Sicuramente viviamo una fase storica in cui la tecnologia esprime, effettivamente, una vera e propria “volontà di potenza”, per dirla con Nietzsche, una capacità di affermazione della sua presenza nella vita umana come sostitutiva, quasi, di ogni altro fondamento, come creatrice di nuovi paradigmi di rappresentazione dell’umanità. E la pandemia ha accelerato il processo in maniera esponenziale.
Una trasformazione di tale portata merita un “imperativo categorico”, proprio di tipo kantiano: “tu devi”, uomo, seguire la ragione, riflettere su ciò che sta accadendo, ricordandoti, soprattutto, di considerare l’altro uomo, in particolare nell’applicazione etica della tecnologia, “sempre come fine e mai come mezzo”.
Se guardiamo alle tendenze in atto, già da un po’ di anni, sembra che siamo piuttosto lontani da tutto ciò: basti pensare, in tema di pervasività tecnologica e dei suoi effetti, alle molteplici forme di dipendenza che si stanno sempre più confermando, soprattutto nei giovani, ma non solo, o all’uso irregolare, se non illegale, dei dati personali per svariati interessi affaristici.
Tuttavia, il centro del problema, ovviamente, non è la tecnologia, ma il suo uso, o meglio, abuso. L’era tecnologica attuale è ricca di opportunità che rischiano di trasformarsi in rischi, a causa dei possibili effetti, molto indesiderabili ma anche molto probabili, di una applicazione della tecnologia, ai tanti aspetti della vita umana, non incentrata sul rispetto della persona umana.
Fin dall’inizio della relazione uomo-macchina, l’uomo ha dovuto vivere nuovi problemi, ma in questa era tecnologica la “macchina”, nella sua versione digitale, è dotata di una “volontà di potenza” molto forte, in relazione all’impatto che ha sulla vita umana, in dimensioni fondamentali, come quelli legati agli spazi e ai tempi di vita e di lavoro oppure alla interazione uomo-dispositivo nella sua componente psicologico-emotiva. Pertanto è abbastanza evidente che l’umanità deve porsi il problema del controllo della tecnologia, del suo uso, sia in termini comunitari sia in termini personali.
Miliardi di persone sono oggi dotate di smartphone usati come protesi tecnologiche, di display magnetici capaci di restringere la visuale dell'occhio umano rendendola falsamente aumentata, di applicazioni in grado di regalare esperienze virtuali e parallele di tipo digitale. In questa realtà ciò che manca è una riflessione su quanto la tecnologia stia cambiando la vita delle persone (High Tech High Touch di Naisbitt) ma soprattutto su quali siano gli effetti e quali possano esserne le conseguenze. Il primo effetto è che stanno cambiando i concetti stessi con cui analizziamo e cerchiamo di comprendere la realtà. La tecnologia non è più neutrale, sta riscrivendo il mondo intero e il cervello stesso delle persone. Lo sta facendo attraverso il potere dei produttori tecnologici e la tacita complicità degli utenti/consumatori. Come stanno cambiando secondo lei i concetti che usiamo per interagire e comprendere la realtà tecnologica? Ritiene anche lei che la tecnologia non sia più neutrale?
A mio avviso la tecnologia difficilmente potrebbe presentarsi, in qualche modo, neutrale, per le implicazioni che ha, in termini di cambiamenti, nella vita umana e per gli interessi che tali implicazioni innescano nel mondo della produzione industriale, che pongono, ovviamente, l’interesse commerciale al di sopra di tutto.
In effetti, nel corso degli ultimi cento anni, come ci ricorda Galimberti, è possibile notare come ci sia stato un progressivo spostamento del centro decisionale, nella vita umana, dalla politica all’economia, prima, e dall’economia alla tecnologia, dopo. E in questo spostamento strategico di potere decisionale, gli utenti della tecnologia sembrano essere esposti sempre più ad un consumo della tecnologia non supportato da una adeguata consapevolezza delle profonde conseguenze, prodotte dalle innovazioni tecnologiche, soprattutto digitali, virtuali, in termini di cambiamento dei paradigmi stessi della realtà e della conoscenza.
Il cambiamento che ne sta derivando nella vita umana, in tutte le sue dimensioni, sia nel lavoro sia nel divertimento, merita, secondo me, una attenzione continua, d’ora in poi, da parte nostra, tale da farci cogliere gli aspetti più pericolosi, se lasciati inosservati, per il futuro dell’umanità. Penso alle possibili forme di alienazione dell’essere umano, con complicazioni nella vita vissuta, in termini di relazione con se stessi e con gli altri, laddove la realtà parallela possa alterare la percezione della propria e della altrui persona, oppure laddove le nuove modalità di lavoro non in presenza non siano adeguatamente affiancate al riconoscimento di diritti, oltre che di doveri, ancora tutti da definire bene.
Secondo il filosofo francese Alain Badiou ciò che interessa il filosofo non è tanto quel che è (chi siamo!) ma quel che viene. Con lo sguardo rivolto alla tecnologia e alla sua evoluzione, quali sono secondo lei i possibili scenari futuri che stanno emergendo e quale immagine del mondo futuro che verrà ci stanno anticipando?
Con Badiou, quel che viene dovrebbe andare nella direzione di una rottura radicale con il passato per costruire una nuova verità.
Secondo me, c’è bisogno di una qualche radicalità, in termini di ripensamento dell’homo technologicus, del rapporto uomo-macchina, capace di riconnettere l’uomo con se stesso, con il proprio essere, sia razionale sia emotivo, ri-centrando il rapporto sull’umano, come fondamento, in quanto pensiero e linguaggio (oltre che emozione ed empatia), sia della scienza sia della tecnica, per evitare una evoluzione tecnologica che veda l’uomo come soggetto passivo, consumatore acritico, “governato” dalla tecnocrazia, un potere prodotto dall’uomo ma che l’uomo non controlla più, essendo al contrario controllato totalmente, in ogni suo spazio e in ogni suo tempo, nella sua identità digitale.
Le machine al lavoro, gli umani senza lavoro felici e contenti!
Mi viene di pensare a Feuerbach, quando, per spiegare quella che egli considera l’“alienazione religiosa” dell’uomo, ci dice che non è stato Dio a creare l’uomo, ma l’uomo a creare Dio, attribuendogli un potere a cui l’uomo stesso si sottomette. In questo senso potremmo sicuramente parlare di una “alienazione tecnologica” dell’uomo.
Secondo alcuni, tecnofobi, tecno-pessimisti e tecno-luddisti, il futuro della tecnologia sarà distopico, dominato dalle macchine, dalla singolarità di Kurzweil (la via di fuga della tecnologia) e da un Matrix nel quale saranno introvabili persino le pillole rosse che hanno permesso a Neo di prendere coscienza della realtà artificiale nella quale era imprigionato. Per altri, tecnofili, tecno-entusiasti e tecno-maniaci, il futuro sarà ricco di opportunità e nuove utopie/etopie. A quali di queste categorie pensa di appartenere e qual è la sua visione del futuro tecnologico che ci aspetta? E se la posizione da assumere fosse semplicemente quelle tecno-critica o tecno-cinica? E se a contare davvero fosse solo una maggiore consapevolezza diffusa nell'utilizzo della tecnologia?
A mio avviso la dicotomia tra sapere scientifico e sapere umanistico ci ha portato alla situazione in cui siamo.
Per evitare la tecnocrazia, di cui parlavo, nello scenario del mondo futuro, affinché l’umanità si disalieni riappropriandosi di se stessa, occorre, secondo me, ribilanciare, nella nostra cultura, riequilibrare il rapporto tra sapere umanistico-artistico e sapere scientifico-tecnologico. La frattura nel sapere, inteso come unico, con la conseguente scissione in due tipi di saperi considerati contrapposti, è, in fondo all’origine delle due “fazioni”, pro e contro la macchina, non solo oggi, ma negli ultimi secoli, dalla fine del Rinascimento in poi, passando per la rivoluzione scientifica e le rivoluzioni industriali che si sono succedute fino ad oggi.
Non era così, appunto, nell’epoca rinascimentale, in cui il pensiero umano, in tutte le sue dimensioni, coglieva l’unità del rapporto uomo-natura e profetizzava una tecnica capace di offrire all’uomo stesso il controllo della realtà.
La contrapposizione tra umanesimo e tecnologia, con il riconoscimento, via via, nel tempo, di un valore superiore alla dimensione scientifico-tecnologica sulla dimensione umanistico-artistica, nel mondo umano, è, di fatto, secondo me, il problema a monte di tutto.
Mentre l'attenzione dei media e dei consumatori è tutta mirata alle meraviglie tecnologiche di prodotti tecnologici diventati protesi operative e cognitive per la nostra interazione con molteplici realtà parallele nelle quali viviamo, sfugge ai più la pervasività della tecnologia, nelle sue componenti nascoste e invisibili. Poca attenzione è dedicata all'uso di soluzioni di Cloud Computing e ancora meno di Big Data nei quali vengono archiviati miliardi di dati personali. In particolare sfugge quasi a tutti che il software sta dominando il mondo e determinando una rivoluzione paragonabile a quella dell'alfabeto, della scrittura, della stampa e di Internet. Questa rivoluzione è sotterranea, continua, invisibile, intelligente, Fatta di componenti software miniaturizzati, agili e leggeri capaci di apprendere, di interagire, di integrarsi e di adattarsi come se fossero neuroni in cerca di nuove sinapsi. Questa rivoluzione sta cambiando le vite di tutti ma anche la loro percezione della realtà, la loro mente e il loro inconscio. Modificati come siamo dalla tecnologia, non ci rendiamo conto di avere indossato delle lenti con cui interpretiamo il mondo e interagiamo con esso. Lei cosa ne pensa?
La rivoluzione industriale e tecnologica ha avuto, in tutte le sue fasi, un grande impatto, in termini di cambiamento, nel mondo umano, sul piano culturale, sociale, ambientale.
Se accade, da sempre, che noi modifichiamo i processi in cui operiamo, attraverso le innovazioni tecnologiche prodotte da noi stessi, accade anche che i cambiamenti che ne derivano, sul piano culturale, sociale, ambientale, modificano noi stessi, il nostro modo di pensare, di agire, di interagire.
In questo circolo, per molti versi virtuoso ed entusiasmante, in termini di opportunità nuove, si annida il rischio, rivelatosi già con alcune certezze, di una volontà di potenza tecnologica, che si erge al di sopra delle volontà dei singoli, espropriandoli, inconsapevolmente, delle loro “proprietà”, delle loro “ricchezze” personali, i dati, se non addirittura controllandoli, manipolandoli, rispetto ai loro desideri e ai loro bisogni. Io penso che la crescita della consapevolezza di queste modificazioni, soprattutto attraverso l’educazione e l’istruzione, possa farci aprire gli occhi della mente e farci illuminare il nostro percorso così condizionato dall’evoluzione tecnologica.
Se il software è al comando, chi lo produce e gestisce lo è ancora di più. Questo software, nella forma di applicazioni, è oggi sempre più nelle mani di quelli che Eugeny Morozov chiama i Signori del silicio (la banda dei quattro: Google, Fcebook, Amazon e Apple). E' un controllo che pone il problema della privacy e della riservatezza dei dati ma anche quello della complicità conformistica e acritica degli utenti/consumatori nel soddisfare la bulimia del software e di chi lo gestisce. Grazie ai suoi algoritmi e pervasività, il software, ma anche la tecnologia in generale, pone numerosi problemi, tutti interessanti per una riflessione filosofica ma anche politica e umanistica, quali la libertà individuale (non solo di scelta), la democrazia, l'identità, ecc. (si potrebbe citare a questo proposito La Boétie e il suo testo Il Discorso sulla servitù volontaria). Lei cosa ne pensa?
Molti studiosi hanno dedicato una particolare attenzione all’argomento di La Boétie sulla presunta rinuncia del popolo ad una libertà originaria, ceduta, senza costrizioni, ad un governo di pochi, nei moderni regimi democratici.
A me torna in mente Freud, quando ci ricorda come l’uomo sia capace di rinunciare alla propria felicità, che, a mio avviso, ha molto a che fare con la libertà, pur di ricevere in cambio un po’ di sicurezza. In una società tecnocratica, governata con l’algoritmo, la presunzione di un sistema chiuso, improntato ad un calcolo razionale, può suggestionare la mente umana sulla possibilità di un ordine sinottico, assoluto, che finalmente trionfa sul disordine delle libertà individuali, differenti e incontrollabili. E a fronte di un tale “agio”, facciano pure quel che vogliono i “Signori del silicio” di Morozov: questo potrebbero pensare in molti.
Una delle studiose più attente al fenomeno della tecnologia è Sherry Turkle. Nei suoi libri Insieme ma soli e nell'ultimo La conversazione necessaria, la Turkle ha analizzato il fenomeno dei social network arrivando alla conclusione che, avendo sacrificato la conversazione umana alle tecnologie digitali, il dialogo stia perdendo la sua forza e si stia perdendo la capacità di sopportare solitudine e inquietudini ma anche di concentrarsi, riflettere e operare per il proprio benessere psichico e cognitivo. Lei come guarda al fenomeno dei social network e alle pratiche, anche compulsive, che in essi si manifestano? Cosa stiamo perdendo, guadagnando da una interazione umana e con la realtà sempre più mediata da dispositivi tecnologici?
L’accesso a internet è stata una grande opportunità per l’uomo, da tanti punti di vista, ma il peso degli effetti correlati alla rete si fa sentire molto nella nostra vita attuale, nelle nostre relazioni sociali, nella loro versione virtuale. C’è stato il moltiplicarsi, in maniera esponenziale, delle opportunità di interazione con altre persone: tante relazioni, come tante informazioni, non sempre sorrette, sostanziate da autentica realtà, piuttosto artefatte in una rappresentazione mediatica da cyberspazio.
Il dispositivo tecnologico è un mezzo che può avvicinare molto in una condizione di emergenza sanitaria come quella prodotta dalla pandemia che stiamo vivendo, ma, paradossalmente ci può togliere molto in una condizione di “normalità sociale”, laddove ci cattura in un solipsismo tecnologico, in cui il rapporto tra il soggetto e la sua estensione psichica ed emotiva, attraverso la protesi tecnologica, diventa autosufficiente, senza il bisogno e, soprattutto, il desiderio dell’altro, nella sua autentica presenza, sia mentale sia fisica, non virtuale, digitale.
Stiamo perdendo molto, fin da piccoli, credo, in termini di crescita emotiva sana, di competenza emotiva reale, che solo l’interazione in esperienza vissuta, il dialogo tra persone con corpi oltre che con menti, può dare.
In un libro di Finn Brunton e Helen Nissenbaum, Offuscamento. Manuale di difesa della privacy e della protesta, si descrivono le tecniche che potrebbero essere usate per ingannare, offuscare e rendere inoffensivi gli algoritmi di cui è disseminata la nostra vita online. Il libro propone alcuni semplici comportamenti che potrebbero permettere di difendere i propri spazi di libertà dall'invadenza della tecnologia. Secondo lei è possibile difendersi e come si potrebbe farlo?
Nelle mie precedenti risposte, ho fatto riferimento al rafforzamento della formazione umanistico-artistica, accanto alla formazione scientifico-tecnologica, come condizione di fondo, come una cultura antidoto alla pervasività ed alla dipendenza tecnologiche, ma mi sono riferito anche alla conoscenza ed alla consapevolezza delle possibilità e dei limiti dell’uso delle tecnologie, che possono aumentare, di generazione in generazione, attraverso l’educazione e l’istruzione.
“Sapere è potere”, come ci ricorda Bacone. Inoltre penso che più che di difendersi, in particolare con offuscamenti di sé sempre più improbabili alla lunga, si tratti di responsabilizzarsi, non rinunciando, non delegando, la propria parte di controllo, seppure molto piccola, in una sorta di conformismo sociale rassicurante, di “servitù volontaria”, carica di rischi per lo scenario futuro di un mondo ipertecnologizzato.
Vuole aggiungere altro per i lettori di SoloTablet, ad esempio qualche suggerimento di lettura? Vuole suggerire dei temi che potrebbero essere approfonditi in attività future?
Mi permetto di suggerire la lettura di “Dove inizia il futuro".
Conversazioni su cosa ci aspetta con chi sta lavorando al nostro domani”, di Philip Larrey, una serie di interviste ai protagonisti del cyberspazio.
Le ricerche sull'intelligenza artificiale lavorano alla messa a punto di software in grado di sfuggire al controllo umano e la realizzazione di una «superintelligenza» completamente autonoma non è lontana, tanto che sono in molti a essersi pronunciati sugli eventuali rischi legati all'utilizzo di dispositivi dotati di una qualche forma di consapevolezza, una delle qualità più sofisticate ed esclusive della mente umana.
Questo tema merita, a mio avviso, un continuo approfondimento da parte nostra.
Cosa suggerisce per condividere e far conoscere l'iniziativa nella quale anche lei è stato/a coinvolto/a? Cosa pensa del nostro progetto SoloTablet? Ci piacerebbe avere dei suggerimenti per migliorarlo!
Per condividere e far conoscere la vostra iniziativa suggerirei il coinvolgimento delle scuole, senza preclusioni verso alcun livello di istruzione, in considerazione delle diverse fasce di età.
Penso che il vostro progetto “Solo Tablet” sia un progetto importante, direi necessario, proprio per tutte le ragioni già espresse.