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La tecnologia ha sequestrato la capacità umana di intuire gli stati d'animo del prossimo. Poi offre il suo soccorso!

La tecnologia ha sequestrato la capacità umana di intuire gli stati d'animo del prossimo. Poi offre il suo soccorso!

26 Agosto 2015 Interviste filosofiche
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Il dibattito sugli aspetti non prettamente tecnologici dalla rete si concentrano prevalentemente sulla privacy o sui temi comunicativi e sociali. Queste sono importanti aree di riflessione, ma ciò che spesso manca è l'attenzione verso gli aspetti psicologici, antropologici e direi anche spirituali, nel senso di evoluzione/involuzione della consapevolezza e delle qualità che ci rendono umani. A dirlo è Ivo Quartiroli in una intervista concessa a SoloTablet ricca di spunti, di riflessioni utili alla elaborazione di pensiero critico e alla comprensione del presente tecnologico in cui siamo tutti coinvolti, immersi e in qualche modo imprigionati.

Intervista di SoloTablet a Ivo Qurtiroli, autore dl libro Internet e l'io diviso, edito da Bollati Boringhieri

 

I tempi che viviamo sono tutti tecnologici e obbligano a nuove riflessioni sul ruolo che la tecnologia sta avendo nella trasformazione della vita delle persone ma anche nelle molteplici metamorfosi psicologiche, mentali, personali e sociali in corso.

La riflessione coinvolge molti studiosi ed esperti, non solo stranieri. In Italia da tempo Ivo Quartiroli ha avviato una riflessione profonda sulla tecnologia che va alla ricerca di come siamo diventati cognitivamente, emotivamente e spiritualmente nell’era dei mille schermi.

Per chi non lo sapesse o avesse uno sguardo perennemente rivolto alle opere di autori anglo-americani, Ivo Quartiroli è da sempre osservatore attento della Rete e dell’evoluzione tecnologica che, nel giro di pochi decenni, ha cambiato il mondo con successive e rapide rivoluzioni.

La sua riflessione, condivisa attraverso libri, portali web, convegni, non è banale (vale come esempio il suo libro Internet e l’io diviso - La consapevolezza di sé nel mondo digitale) e non è riconducibile alla narrazione giornalistica prevalente, spesso fatta di narrazioni mutuate da testi pubblicati in Rete. La riflessione di Quartiroli è originale, nasce da una ricerca personale finalizzata alla comprensione del sé nell’era digitale, una ricerca individuale e spirituale insieme, fatta di tante letture e meditazioni che gli hanno suggerito di guardare alla tecnologia con occhi diversi, non centrati sull’hardware e il software, olistici e interessati a cogliere i dettagli delle molte trasformazioni da esse indotte.

 

D: Buongiorno Ivo e grazie per avere concesso questa intervista a Solotablet. Il nome del dominio può ingannare ma nella realtà il portale offre da anni una riflessione sulla tecnologia e sui suoi effetti. Nell’introduzione del tuo libro Internet e l’io diviso anche tu sostieni l’importanza di passare da una semplice analisi di ciò che possiamo fare con la tecnologia a una riflessione attenta e critica sugli effetti che essa sta avendo su di noi. La riflessione non può essere banale e non può essere relegata alla contrapposizione tra tecnofobi e tecnofili. E’ una riflessione che sta portando però un numero crescente di studiosi a suggerire maggiore attenzione e sviluppo di pensiero critico soprattutto per il monopolio crescente di pochi produttori e l’uso che fanno di motori di ricerca, media sociali, cloud computing e Big Data, per la sostituzione strisciante ma continua di lavoratori umani con robot e macchine intelligenti, per l’imposizione di un modello economico nel quale pochi guadagnano e molti sono obbligati a offrire gratuitamente il loro lavoro e soprattutto per l’emergere di nuovi comportamenti diffusi che indicano una totale, e forse fatale,  fiducia nelle tecnologie e nei loro prodotti. Qual è la tua visione attuale e in quali direzioni andrebbe orientata oggi la riflessione sulla tecnologia?

 

R: Grazie Carlo per avermi dato l'opportunità di raccogliere alcune delle mie recenti riflessioni. Il dibattito sugli aspetti non prettamente tecnologici dalla rete si concentrano prevalentemente sulla privacy o sui temi comunicativi e sociali. Queste sono importanti aree di riflessione, ma ciò che spesso manca è l'attenzione verso gli aspetti psicologici, antropologici e direi anche spirituali, nel senso di evoluzione/involuzione della consapevolezza e delle qualità che ci rendono umani.

La tecnologia (forse) ci rende più informati e più comunicativi, ma ci rende anche più consapevoli, più creativi, più sensibili alla compassione? Ci rende più consapevoli di noi stessi? La consapevolezza di sé è elemento indispensabile per poter effettuare le scelte ed agire liberamente nel mondo. E' quindi la tecnologia un ausilio o una barriera alla conoscenza di noi stessi? L'autoconoscenza richiede anche spazi di vuoto e di silenzio per consentire alla psiche di essere ascoltata. Il silenzio della mente è cosa rara ma senza riflessione e meditazione non possiamo uscire dal ciclo informativo infinito e dare spazio ai movimenti profondi della psiche.

La tecnologia sta provocando dei cambiamenti senza precedenti nel rapporto non solo con gli altri, ma anche in quello con noi stessi, portandoci ad essere sempre connessi. Questo è un fattore anti-meditativo che ci porta lontano da noi stessi e dal nostro corpo, luogo in cui si radica la presenza. Un team di psicologi l'anno scorso ha condotto un esperimento con centinaia di studenti, invitandoli a passare un periodo di alcuni minuti, da 6 a 15, in una stanza, soli con i propri pensieri (1).

La maggior parte degli studenti ebbero delle difficoltà. La cosa impressionante è che molti dei partecipanti trovarono l'esperienza talmente sgradevole da preferire lauto-amministrazione di una scossa elettrica che in precedenza avevano detto che avrebbero pagato per evitare.

Questo mi fa dire che nel momento in cui si ferma il flusso informativo, il disagio viene provocato da una parte dall'emergere del sommerso della psiche a cui non è stato dato spazio per lungo tempo, e dall'altra da una vera e propria crisi di astinenza. L'uso dei media con schermo provoca rilasci continui di dopamina in anticipazione dell'evento successiva, creando una condizione di dipendenza.

Poiché vi sono sempre meno interazioni faccia a faccia e sempre più messaggistica, i ragazzi stanno perdendo l'abilità di decodificare il linguaggio del corpo e le espressioni. Un esperimento ha rilevato che cinque giorni in un campeggio senza schermi migliora le abilità di comprensione dei segnali emotivi non verbali (2). Un gruppo di preadolescenti ha trascorso un tale periodo sabbatico senza accesso agli schermi.

Questi sono stati confrontati con un gruppo di controllo. Il gruppo senza schermi dopo tale esperienza ha notevolmente migliorato le capacità di intuire i messaggi emotivi non verbali. Questo studio conferma uno studio del 2012 di Clifford Nass che aveva rilevato che il multitasking danneggia lo sviluppo sociale/emozionale delle adolescenti, ma che l'interazione reale lo cura (3).

Anche in questo caso, la tecnologia ha sequestrato una tipica capacità umana, quella di intuire gli stati d'animo del prossimo. Dopodiché viene in soccorso offrendo un ulteriore prodotto. E' stata sviluppata un'applicazione per Google Glass per analizzare le espressioni facciali e decodificare specifiche emozioni (4). Ufficialmente come supporto all'autismo, ma potenzialmente come un'altra stampella per la limitata consapevolezza nelle qualità essenziali dell'umano.

L'identificazione delle emozioni prende anche la strada dell'analisi dell'attività cerebrale. Tramite la risonanza magnetica e il machine learning è possibile valutare i segnali elettromagnetici del cervello in modo da distinguere le singole emozioni. Inoltre vi sono diverse aziende che identificano le emozioni tramite l'analisi dei segnali vocali.

Diverse tradizioni spirituali vedono nella pratica meditativa di osservazione consapevole dei pensieri e delle emozioni un ponte per l'evoluzione della consapevolezza stessa. Dal momento in cui questa attività viene esternalizzata nella tecnologia, ci priva di un canale per l'evoluzione.

Considero la ricerca della verità un bisogno fondamentale dell'essere. La ricerca del vero non è solamente un atto intellettuale, ma coinvolge il corpo nella sua interità. Decodificare le altrui emozioni, così come una serie di verità che apprendiamo quasi istintivamente, necessita di contatti autentici e intensi, che possono avvenire solo nei percorsi offline. Se mancano le basi primarie istintive nella discriminazione della verità, i politici hanno vita facile nella manipolazione del vero, come di fatto avviene. Ciò che più è preoccupante, l'amore per la verità stessa si indebolisce.

 

D: Kevin Kelly, di cui tu hai pubblicato il primo libro Out of Control in Italia (hai anche pubblicato Caos e Cybercultura di Timothy Leary, un testo che andrebbe ripubblicato!) ritiene che la tecnologia abbia ormai assunto la forma di un organismo vivente, chiamato Technium, in continua evoluzione, con esigenze proprie e tendenze inconsce. Come tutti gli organismi complessi anche il technium evolve auto-organizzandosi in continuazione e facendo emergere tendenze e traiettorie  non sempre comprensibili, soprattutto nel breve termine. Kelly suggerisce di ascoltare attentamente quello che vuole la tecnologia per capire dove essa sia diretta e comprenderne meglio le potenzialità e opportunità. E’ una visione ottimista e fiduciosa che sembra però scontrarsi con comportamenti di ascolto superficiali e passeggeri, più dettati dalle funzionalità di uno smartphone o dalla forza delle immagini che appaiono su uno dei tanti display che usiamo. Secondo te quanto siamo in grado oggi di seguire l’evoluzione della tecnologia, di capirne le motivazioni e le direzioni e di co-evolvere con essa in modo da trarne benefici e vantaggi reali come esseri umani?

 

R: Già, il profetico zio Tim meriterebbe una ristampa. Pur avendo pubblicato il libro di Kevin Kelly quando ero ancora editore di Apogeo/Urra, non concordo con gran parte delle sue riflessioni ottimistiche. Tuttavia trovo interessante la sua intuizione sulla tecnologia come una “entità” che ha una vita propria.

Certamente vi è un rapporto simbiotico tra umani e tecnologia. L'evoluzione che osservo è che mentre in passato eravamo noi a creare la tecnologia, la tecnologia necessita sempre più del nostro apporto per espandersi e potenziarsi. Un esempio tra i tanti è Facebook, dove i contenuti generati dagli utenti sono la fonte di espansione del sito. Poi si passa ad alimentare le app per il fitness con i nostri parametri fisiologici. Ma questo è solo l'inizio. L'upload assorbe aspetti crescenti del sé. In quanto servomeccanismi della tecnologia, la nostra capacità di scelta e di riflessione diminuisce progressivamente.

Nelle fasi iniziali la tecnologia comprende chi siamo, cosa ci interessa, cosa vogliamo, dove andiamo, come comunichiamo. Poi si prende cura di noi prevedendo ciò che faremo e suggerendoci i passi successivi, con applicazioni di intelligenza artificiale quali Google Now. Questo è possibile in quanto la mente è di fatto un meccanismo. Ogni mente è meccanica fino a che non viene liberata tramite una low technology a costo nullo chiamata meditazione.

Dopo i suggerimenti, arrivano i condizionamenti. La tecnologia ci guida nelle scelte e ci priva così della scelta. La tecnologia è in grado di moltiplicare la propaganda politica e dei media. Dopo aver esternalizzato gran parte delle qualità umane, sopraggiunge il vuoto, che viene in qualche modo “riempito” dal flusso costante di informazioni.

In un senso, lasciare la mente all'intelligenza artificiale potrebbe essere percepito come liberatorio. La mente è tanto fonte di piacere quanto è un peso. Ogni percorso spirituale vede nel superamento della mente-ego il passo verso una più ampia consapevolezza. Che i condizionamenti giungano dalla propria mente o dalla tecnologia (a sua volta prodotta dalla mente) è indifferente. Ma oltrepassare l'ego deve passare dalla comprensione della propria mente, quindi dalla padronanza della stessa, non dal suo depauperamento.

La tecnologia ci pone una sfida enorme, epocale. La pressione verso l'esternalizzazione della mente è forte. Da una parte possiamo lasciare l'ego diventando servomeccanismi, dall'altra liberarci tramite il decondizionamento interiore. Se ci identifichiamo principalmente con i contenuti della mente, non rimarrà nulla dopo il risucchio della mente nella cloud. Se scegliamo il percorso del riapproprio della consapevolezza tramite la meditazione, potremo osservare la mente da un punto di vista più elevato e vederla per quello che è: un fantastico strumento di comprensione e di azione nel mondo, ma di fatto un meccanismo per quanto sofisticato.

Il fatto affascinante è che sia la tecnologia che i percorsi spirituali vogliono andare al di là della mente. Tramite la tecnologia si vuole espandere la mente individuale con la mente collettiva potenziata dagli algoritmi. Così facendo la mente individuale si depersonalizza e si depaupera mentre si illude di essere più capace. Tramite la meditazione ci si disidentifica da una mente individuale per abbracciare non una mente collettiva paternalistica che decide al nostro posto, ma uno stato dove la mente non solo mantiene tutte le sue capacità ma le migliora mentre l'anima si alimenta delle qualità dell'assoluto.

In ultima analisi non è la tecnologia di per sé che prende vita propria come afferma Kelly. La tecnologia è forse l'intersezione di due forze che caratterizzano l'essere: l'ambizione dell'ego di espandere la mente verso la conoscenza e il controllo totali e la spinta spirituale che desidera andare oltre. In questa bizzarra dialettica la mente si espande con gli strumenti della rete ma si annichilisce allo stesso tempo. L'uso della rete è inevitabile, interessante e utile, ma se non sviluppiamo l'osservatore interiore tramite la meditazione, forse ci porterà ad un epocale disastro psichico.

 

D: Come molti Baby Boomers hai da sempre sperimentato il mondo di Internet, sia come spazio comunitario e democratico sia come luogo per lo sviluppo di nuova conoscenza e consapevolezza, per la ricerca del Sé e per l’incontro e l’interazione sociale. Internet come mondo utopico di nuove forme di democrazia sta lasciando il posto a distopie di cui non conosciamo al momento gli esiti finali. Non a caso studiosi come Eugeny Morozov ma soprattutto Jaron Lanier stanno mettendo in guardia sulle fallaci utopie della Rete, sulla sua capacità salvifica e socializzante e sul ruolo che Internet sta avendo nella distruzione di posti di lavoro con conseguente impoverimento causato da colossi che, grazie al controllo dei server centrali e dei loro dati, in futuro saranno in grado di controllare in modo oligarchico la Rete. Come è possibile che in pochi anni un sistema ricco di innovazione, democrazia, vitalità e partecipazione, si sia trasformato in un sistema gerarchico e disumanizzante? Quali vie di uscita ci possono essere e qual è il ruolo dell’intellettuale nel favorirle? Cosa ne pensi?

 

R: Internet, nato come progetto militare, sviluppato poi da libertari, visionari e technohippie è ritornato in mano ai poteri forti, come era prevedibile. I libertari sono ancora presenti e fanno un ottimo lavoro sull'open source, sul rispetto della privacy e per un uso consapevole della rete, ma dopo 20 anni di rete è tempo di creare anche strumenti interiori.

Internet è la fase più recente della colonizzazione del pianeta nella logica di mercato. La colonizzazione è arrivata alla mente e di conseguenza anche alle emozioni che sono, secondo alcune tradizioni spirituali orientali, pensieri che hanno intrapreso la strada del corpo. La mente alimenta e a sua volta viene alimentata dalla rete senza sosta, parte di un ingranaggio che richiede il coinvolgimento totale. L'imminente convergenza dell'informatica con le biotecnologie assisterà alla colonizzazione diretta del sistema nervoso anche al livello dell'hardware biologico. L'industria farmaceutica entra in scena e si sposa con l'algoritmo.

Già si medicalizzano decine di milioni di bambini con farmaci quali il Ritalin, di fatto anfetamine. Prima si scombussola il sistema nervoso dei bimbi con neurotossine presenti nei cibi (aspartame, glutammato), nei pesticidi, nei prodotti industriali, con i metalli pesanti onnipresenti, e con un uso eccessivo degli schermi già in tenerissima età (le app “educative”), poi si cerca di limitarne i sintomi con farmaci che a lungo andare squilibriano ulteriormente il sistema nervoso, creando una generazione dipendente da farmaci. Il farmaco che attualmente produce più fatturato negli USA è un antipsicotico, di cui peraltro neppure la casa farmaceutica conosce il meccanismo d'azione.

Riprendendo il tema del controllo presente nella tua domanda, questo ha raggiunto livelli di sofisticazione impensabili fino a pochi anni addietro. Snowden ci ha messo al corrente della portata degli interventi della NSA. Vi sono progetti del dipartimento della difesa americano per manipolare il cervello umano, inserendo dei chip nell'ippocampo per creare o cancellare le memorie.

Google, Facebook e altri lavorano sull'intelligenza artificiale e sul deep learning per inferire comportamenti e attitudini. Ma dall'altra parte, come nel simbolo dello yin e dello yang, dove abbiamo sempre un puntino bianco nello sfondo nero, Google promuove anche la meditazione ai suoi dipendenti.

 

D: La nuova domanda trae spunto dal tuo libro Facebook Logout che contiene numerosi spunti interessanti per tutti coloro che studiano il fenomeno dei media sociali ma anche di coloro che vi partecipano in massa lasciandosi trascinare dall’onda dei MiPiace. Il numero elevato di frequentatori sembra indicare che i social network abbiano realizzato molte delle promesse della rete e soddisfatto bisogni reali. Nella realtà forse non è così e uno spazio che si presenta come opportunità per cambiare abitudini, forme di espressione e facilitare le relazioni, nella realtà si sta trasformando in una gabbia nella quale la libertà di espressione è limitata dalla nostra stessa modalità di partecipazione. E’ una modalità spesso superficiale e in molti casi anche stupida ma soprattutto il risultato della confusione personale che interessa i cittadini della post-modernità liquida alla ricerca di una loro identità (la ricerca del Sé), di uscite dall’isolamento e dalla solitudine tecnologica (il paradosso di Facebook dove si è soli anche con migliaia di contatti) e reale e di percorsi per realizzarsi come persone e come esseri umani. Molti hanno compreso che gli spazi sociali come Facebook non sono la soluzione ma non sanno a cosa rivolgersi per trovare vie di uscita (citazione da Elemire Zolla) dal mondo digitale. Ma non è detto che il logout da Facebook sia la sola soluzione. Quali sono secondo te le possibili alternative e quali atteggiamenti virtuosi o buone pratiche andrebbero adottate?

 

R: Sono passati 60 anni dalle riflessioni dei situazionisti i quali affermavano che nella Società dello Spettacolo le emozioni sono state tramutate in prodotti di mercato. La trasformazione avviene in diverse fasi: prima si crea una società dove la connessione autentica con il prossimo viene snaturata, poi si offre una forma di connessione fasulla, lasciandoci sempre assetati di una autenticità che non arriva mai, e quindi perenni consumatori di un surrogato.

Il logout da Facebook come tu affermi non è la soluzione. E' quasi difficile come disconnettersi dalla fornitura di energia elettrica. Nonostante abbia scritto un opuscolo a riguardo, mi trovo di tanto in tanto ad entrare in Facebook in quanto alcune attività della rete si trovano solo lì.

 

D: Nel tuo libro Internet e l’io diviso a un certo punto confronti il geek con lo yogi sposando quest’ultimo per la sua capacità di orientare la riflessione prima di tutto su se stesso. L’obiettivo è la difesa dalla colonizzazione mentale determinata dalla tecnologia. La strategia suggerita è di sviluppare capacità di controllo del pensiero, nuova consapevolezza individuale e maggiore conoscenza di noi stessi. Non credi che questo approccio, tutto teso alla “osservazione dell’andirivieni dei nostri pensieri”, si riveli insufficiente e inadeguato ad affrontare in modo democratico i problemi globali del mondo? Sarà pur vero che la personalità individuale (o le personalità multiple che ci ritroviamo) è una illusione e semplice costruzione mentale, ma nella realtà quella personalità ha un corpo e una mente che subiscono le conseguenze della disuguaglianza, della precarietà, della video-sorveglianza, del controllo da parte di chi è, in un dato periodo, al governo e delle sue pratiche sempre meno democratiche, della spregiudicatezza dei monopolisti della rete, del mancato rispetto del diritto alla privacy, ecc. Possibile che la soluzione sia una specie di fuga nel nirvana e nel mondo delle illusioni? Dove sono finite le aspirazioni alle rivoluzioni (siamo realisti, vogliamo l’impossibile) che hanno animato le generazioni passate?

 

R: Se da un punto di vista spirituale la personalità individuale è un'illusione, questa ha comunque la necessità di traversare tutto il percorso umano prima di raggiungere l'assoluto. Percorso umano che necessita delle condizioni migliori affinché il corpo sia sicuro e curato, la mente alimentata dal vero e le emozioni nutrite dall'amore. In questo senso è più che legittimo lottare per la libertà, per la pace e contro lo sfruttamento dei popoli e degli individui.

Come tanti della mia generazione, al finire degli anni 70' facevo parte del variegato e creativo movimento studentesco che tanto ha caratterizzato quegli anni nei settori della politica, della musica, della socialità. Vi erano frange del movimento pacifiste e altre violente, chi sinceramente impegnato nell'aiuto dei più disagiati e chi gonfiava il proprio ego, fricchettoni e militanti integralisti. Poi vi erano quelli che si ispiravano più all'India invece che a Marx o Mao.

A quei tempi li consideravo individui funzionali al potere che seguivano una strada individuale ed egoistica. C'era anche questa componente, purtroppo una parte di viaggiatori alla ricerca dell'anima si perse nell'eroina o nel semplice cazzeggiamento. Ma altri intrapresero un geniuno percorso di messa in discussione dei propri condizionamenti e portarono dall'India una visione che abbracciava il mondo interiore con quello dell'impegno nella società.

La rivoluzione è soprattutto interiore. C'è il fraintendimento che la meditazione sia solipsismo quando in realtà è apertura e sviluppo della compassione, elemento indispensabile per una lotta politica che non sia motivata dal proprio ego. La meditazione svuota la mente, ma non la rende certo ottusa. Si svuota dai condizionamenti, conferendo una visione più vera della realtà. Quando la mente è “piena”, e lo è in continuazione con la pervasività della tecnologia, non ha posto per dare spazio all'altro

 

D: Uno dei capitoli del tuo bel libro sull’io diviso e Internet parla della tecnologia come strumento. L’argomento non ti serve però per sottolineare un pensiero condiviso da molti ma per evidenziarne i significati e le conseguenze. La tecnologia è infatti uno strumento particolare, capace di produrre cambiamenti a livello neuronale, mentale e psicologico e di adattarsi poi a questi stessi cambiamenti prodotti. La competizione tra mente e tecnologia sembra regalarci infinite nuove opportunità per estendere la capacità della nostra mente ma al tempo stesso produce delle amputazioni cognitive e psichiche che ci impediscono di vivere pienamente la nostra realtà di essere umani. Il tuo suggerimento per continuare a essere umani è di elaborare la capacità di auto-osservazione (nei miei e-book sostengo una argomentazione simile parlando dell’urgenza e necessità di sviluppare pensiero critico) per aumentare la conoscenza e la consapevolezza. Riflettere criticamente sulla realtà e sviluppare l’introspezione interiore sono pratiche che sembrano richiamare al passato. Come possono sviluppare queste capacità generazioni di Nativi Digitali immersi nel continuo presente, immersi negli schermi dei loro dispositivi digitali e alla continua e sofferta ricerca di se stessi, probabilmente nei posti sbagliati?

 

R: Non è certamente facile. La società attuale rema contro all'auto-osservazione. Il silenzio e la consapevolezza interiori non producono profitti quindi il trovare dentro di sé le fonti di appagamento è l'incubo della società dei consumi. Ma in ultima analisi è l'incubo dell'ego stesso, proiettato perennemente verso fonti di appagamento esterne.

La app generation si aspetta che il mondo risponda secondo le modalità dei touch screen. Pause, vuoti, silenzi e di conseguenza l'introspezione vengono evitati come la peste. Internet ha solo poco più di vent'anni, siamo da poco usciti dalla fase di entusiasmo. A lungo andare la velocità non è sostenibile. La psiche umana ha delle risorse inaspettate. Non possiamo ignorare gli archetipi della psiche in eterno.

La spinta della psiche verso l'autoconoscenza e il bisogno di autenticità non potranno che riemergere. Quando non riconosciuti ed accettati gli archetipi hanno i loro canali per farsi sentire, anche sotto forma di questa intervista che entra nella rete stessa a parla a chi di rete ci vive.

 

D: La mia ultima domanda nasce dal ruolo che l’immagine e il display che le ospita giocano nella nostra percezione del mondo e nell’apprendere. Incatenati a superfici piane, illuminate da icone e immagini, magnetiche e capaci di catturare e intrattenere la nostra attenzione, stiamo assomigliando sempre più a novelli narcisi che si beano del riflesso che il display specchio ritorna loro. Poco importa se lo sguardo che più conta non sia più il nostro ma quello dell’immagine che ci guarda e poco importa se sia sufficiente girare il display del tablet per scoprire che dietro non c’è nulla se non la nostra realtà di esseri in cerca di identità. Il display è diventato una finestra, una via di fuga, uno strumento di scrittura e lettura, uno schermo cinematografico, una lente di ingrandimento e un potente microscopio-specchio per guardarsi dentro. Come valuti, in termini di effetti cognitivi, psicologici e emozionali, la pervasività dello schermo e il ruolo delle immagini e della componente visuale che li caratterizza?

 

R: Da quando abbiamo la banda larga, la rete si è spostata da una modalità che era prevalentemente testuale ad un universo di immagini e video. Anche negli strumenti prettamente testuali quali la messaggistica, le emoticons si stanno sostituendo alle parole. Potremmo affermare che è il linguaggio che si evolve, che solamente cambia forma, ma sta di fatto che la maggior parte degli indicatori relativi all'intelligenza nel mondo occidentale è in declino.

I punteggi SAT, il test standardizzato utilizzato per l'ammissione ai college USA, che prevede anche i test di lettura critica e di scrittura, sono ai minimi da dieci anni (5) e pare che più una scuola utilizza tecnologie digitali, più il livello degli studenti si abbassa.

Ritengo che una parola valga mille immagini. I nostri mattoni semantici sono le parole, da cui elaboriamo le immagini. La protagonista del film di Wenders "Fino alla fine del mondo", del 1991, diventa dipendente dall'uso dello strumento che consente di registrare i sogni mentre il suo compagno, un narratore, non ne rimane influenzato. La donna verrà curata dalla narrazione del suo compagno, dalla magia delle parole.

Le parole rispettano i nostri tempi di assimilazione della conoscenza e non ci forzano al passaggio da un fotogramma all'altro. In quanto le parole si trasformano in immagini interiori, sviluppano la fantasia. Inoltre il ritmo lento delle parole supporta l'analisi critica. La parola letta prevede un'attività interiore mentre l'immagine e il video vengono fruiti in modo più passivo.

Siamo in molti ad essere come la protagonista del film di Wenders e necessitiamo di parole che curano.

 

D: Infine, per concludere la nostra chiacchierata una breve digressione sul lavoro che persone come lei, e modestamente anche il sottoscritto, fa scrivendo e condividendo le sue riflessioni attraverso i numerosi canali esistenti. A un giovane cosa suggerirebbe? Di scrivere un libro cartaceo (chi li compra più i libri?), un e-book (ma è vero che negli Stati Uniti il mercato degli e-book è crollato del 20% e sono state aperte 500 nuove librerie?), o di usare semplicemente la rete? Nell’era dei social network e dei blog tutti scrivono ma a leggere sono rimasti in pochi, e ancora meno a leggere con attenzione. Eppure leggere aiuta le mente e sviluppa il cervello permettendoci anche di praticare quella che secondo te dovrebbe essere una attività necessaria, la meditazione e la riflessione su se stessi.

 

R: Oggi un giovane può facilmente creare o fruire di testi, immagini, musica o video con strumenti a basso costo. Ma la facilità di produzione e di uso non è andata di pari passo con la comprensione di ciò che avviene nel mondo, tantomeno col l'azione. L'attenzione viene sequestrata da numerosi canali ed applicazioni che competono per la nostra attenzione.

L'attenzione frammentata è così diventata la regola. Per ottenere l'attenzione bisogna mostrare qualcosa di sensazionale o avere degli accorgimenti particolari di user interface. Il risultato è che qualsiasi messaggio fatica ad entrare in profondità e di conseguenza non innesca una trasformazione interiore. E senza di questa non vi è evoluzione dell'essere.

Le qualità essenziali umane quali l'empatia, la gioia, la perseveranza, la curiosità, l'amore, le forza interiore, l'intuizione vengono sviluppato e trasmesse da persona a persona da esperienze live, dove si coinvolge il corpo, la mente, le emozioni, gli ormoni e anche le frequenze elettromagnetiche emesse dal cervello e dal cuore (vedi studi di Heartmath) che passano da persona a persona.

Se dovessi dare un suggerimento è quello di scrivere comunque, a prescindere dal fatto che qualcuno legga. Come essere umani certamente necessitiamo di feedback e di confronto, quindi è bello avere dei lettori attenti. Tuttavia scrivere è primariamente un atto di ascolto interiore e di osservazione attenta della realtà i cui benefici si trovano nel progresso della consapevolezza, la base di ogni libertà.

 


Note:

 

(1) http://bps-research-digest.blogspot.com/2014/07/the-darkness-within-many-people-would.html

(2) http://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S0747563214003227

(3) http://www.contemplativecomputing.org/2012/06/new-study-multitasking-may-harm-teenage-girls-socialemotion-development-but-real-interaction-cures-it.html

(4) http://www.sfgate.com/technology/dotcommentary/article/Google-Glass-app-being-designed-to-read-emotions-4758728.php

(5) http://www.entrepreneur.com/article/250293

 

Ivo Quartiroli ha fondato le case editrici Apogeo/Urra nel 1989. Percorre da sempre i confini tra il mondo digitale dell’informazione e quello analogico della consapevolezza. Il suo ultimo libro è Internet e l'Io diviso. La consapevolezza di sé nel mondo digitale edito da Bollati Boringhieri. Gestisce i blog www.indranet.org, www.innernet.it ed è membro del comitato scientifico Italiano del club di Budapest.

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