L’attuale capo dell’ufficio, Michael Hsu, ha recentemente dichiarato, come riporta un articolo del WSJ:
“L’incapacità di una banca di risolvere carenze e inadeguatezze di lunga data, nonostante i richiami delle autorità e le restrizioni onerose, come i limiti alla crescita e le numerose e ripetute multe miliardarie, sono la prova che l’azienda è ingestibile e deve essere smembrata.”
E aggiunge:
“Le banche possono diventare così grandi e complesse che fallimenti sui controlli, problemi sulla gestione dei rischi ed improvvisi eventi negativi capitino troppo frequentemente…
Non a causa di problemi di management, ma della pura e semplice dimensione e complessità dell’organizzazione…
In parole povere, il management efficace non è scalabile all’infinito.”
Negli USA si sta assistendo ad una crescita delle più grandi banche nazionali e anche ad una ondata di fusioni tra banche regionali (nonostante i pericoli sulle eccessive dimensioni bancarie identificati ben più di 20 anni fa dalle principali banche centrali mondiali e riassunti nel Rapporto Ferguson).
Al di là del contesto specifico, gli USA, e il settore di cui si parla, le banche, l’affermazione del signor Hsu ha una valenza ben più ampia. Infatti per la prima volta un importante regolatore di un paese capitalistico (il più grande del mondo), parla dei limiti sistemici della crescita aziendale, considerato un dogma intoccabile da quasi tutti gli economisti.
Dunque al già noto grido di allarme relativo al too big too fail, troppo grande per far fallire l’azienda per cui nel caso di default è necessario l’intervento pubblico (che significa con i soldi di noi tutti) per impedirlo, si aggiunge il too big to manage, troppo grande per gestirla. Le capacità di “gestione”, ovvero di management, delle aziende non sono scalabili all’infinito. Vi è un limite alle dimensioni organizzative oltre il quale, nonostante gli appetiti degli shareholders e le manie di grandezza di alcuni Ceo, il tutto diventa ingestibile anche se si possono sopportare le sanzioni milionarie dei regolatori e le proteste degli stakeholder.
Questo aspetto del too big to manage apre, a mio avviso, anche una nuova e più precisa prospettiva sul concetto di sostenibilità. Il “sistema” azienda deve essere in grado di sostenersi nell’ “ambiente” che, a sua volta, lo sostiene. Non può esistere un’azienda che opera nel vuoto, senza clienti, fornitori, dipendenti, senza un sistema giudiziario, eccetera. I regolatori, autorità varie e leggi che disciplinano i comportamenti del soggetto aziendale, sono i guardiani del buon funzionamento di tutto l’ambiente economico, e non solo, e dei soggetti che ne fanno parte. Laddove uno di questi non è in grado di comportarsi in modo sicuro e solido, offrendo un accesso equo ai servizi finanziari, trattando i clienti in modo corretto e rispettando le leggi e le normative vigenti, come recita nel caso delle banche la missione dell’OCC, vi è un problema e bisogna intervenire. La causa del problema però stavolta viene indicata non come una volontà di singoli, o organizzativa, di perseguire, in buona o cattiva fede, comportamenti “non sostenibili”, ma semplicemente dalla dimensione. I Piani di Sostenibilità delle aziende allora dovrebbero contenere anche dimostrazioni di come l’attuale e futura dimensione aziendale riesca ad essere gestibile per garantire l’esecuzione di quegli stessi comportamenti sostenibili che vuole perseguire.
Detto in altri termini, essere troppo grandi può voler dire essere non sostenibili in quanto l’azienda non riesce ad avere comportamenti coerenti con quelli che l’ambiente richiede loro per poter continuare a sostenerla. La dimensione come causa prima, e profonda, della capacità di agire nell’interesse degli altri e, di conseguenza, di sé stessi.
L’economia capitalistica, come ben sappiamo ormai tutti, si fonda sull’assunto di fondo di considerare il mondo come un luogo infinito: infiniti spazi fisici, infinite persone, infinite materie prime, infiniti clienti, eccetera. Ci è stato fatto credere che anche le dimensioni del suo agente primario, l’azienda, potessero possedere questa caratteristica.
Non è così.
Certo che hanno ancora senso le concentrazioni per raggiungere massa critica, condivisioni di costi o efficientamento delle operazioni, ma con un limite. Crescere per garantire i margini, come nel caso delle banche ma non solo, fa perdere di vista questo limite.
Ovviamente non è possibile stabilire i termini e le soglie dove il too big to manage va applicato, ma il merito del signor Hsu è stato quello di introdurre, da un autorevole pulpito, il principio del “limite” nelle agende degli azionisti e dei manager chiamati a gestire i loro beni ed è il caso che inizino a tenerne conto.
In natura infatti abbiamo già osservato cosa accade a soggetti troppo grandi per il contesto in cui operano: i grandi rettili si sono estinti e sono sopravvissuti solo quelli più piccoli in grado di gestirsi meglio rispetto all’ambiente.