β Pascal Chabot, Avere Tempo, Treccani, Milano 2023, Pag. 92
"Catturati dai pixel e dalle sequenze temporali di uno schermo, per molti diventato lo spazio abitativo preferenziale, viviamo la distanza digitale come presenza, lβassente (il lontano) come presente, gli spazi virtuali dei metaversi e dei videogiochi come realtΓ . Incuranti dellβatrofia muscolare che ci colpisce, impigriti dallo stare sempre allo specchio di un dispositivo a rimirarci, inconsapevoli dei danni ai nostri apparati motori, ci siamo fatti rubare lβattenzione, abbiamo perso la nozione del tempo e dello spazio, la percezione della distanza e il significato della presenza.
La distanza, diventata una forma di sopravvivenza, ci ricorda ogni momento il bisogno della presenza, della prossimitΓ degli altri. Un bisogno represso che urla inascoltato per essere soddisfatto. Il farlo comporterebbe cambiare abitudini acquisite, attivare nuove pratiche di vita, qui definite come umaniste, (r)esistenziali, relazionali, utili e necessarie per scappare dalla prigione kafkiana nella quale ci siamo quasi tutti lasciati intrappolare, per tornare a confrontarci, in presenza, con la complessitΓ del reale.
Un confronto reso ancor piΓΉ necessario dopo lβesperienza aliena(nte) della pandemia da Coronavirus, effetto indesiderato di una globalizzazione da tutti celebrata, che ha trasformato la vita quotidiana in una distopia, fatta di corpi fragili e isolati in casa, che sperimentano nei fatti i limiti della simulazione e della semplificazione."
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