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Agenti motori propulsivi delle guerre del XXI sec.

Agenti motori propulsivi delle guerre del XXI sec.

17 Settembre 2014 Antonio Fiorella
Antonio Fiorella
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Strumenti assassini sono i sistemi umani dove gli uomini diventano anelli di una catena di morte. Recensione del libro "Killing Machine" di Mark Mazzetti che descrive come gli USA combattono le loro guerre segrete. Racconta che c’è stata un’epoca in cui la CIA non era nel giro delle uccisioni mirate.

L’imposizione restrittiva, che non fosse orchestrata la soppressione fisica di capi di stato, di esponenti politici stranieri, di personaggi scomodi, risaliva agli anni ’70 quando una serie di operazioni, condotte maldestramente e sfociate in scandalose rivelazioni, avevano indotto l’allora presidente Gerald Ford a porre un freno a certe attività svolte dall’agenzia.

Ma già alla sua nascita, nel 1947, il presidente Truman aveva disposto che l'allora Office of Strategic Services (OSS) non diventasse l’esercito segreto d’America. Tuttavia nell’atto costitutivo “una fumosa clausola” autorizzava a “ricoprire altre funzioni e doveri che influenzano la sicurezza nazionale”. E i presidenti americani non mancarono di sfruttare questa opportunità per autorizzare sabotaggi, brogli e soppressione fisica di personaggi scomodi. Poi ci fu l’11 settembre. E a seguire il presidente George W. Bush firmò un’ordinanza segreta che restituiva alla CIA la licenza d’uccidere.

Delle guerre in Afganistan e in Iraq si sono visti numerosi filmati; si sono lette intere pagine sui quotidiani. Ma si conosce meno l’estensione e i termini del conflitto armato, segreto, che si protrae da oltre un decennio. Si tratta di una guerra “parallela”, scandita da numerose uccisioni di terroristi, di sedicenti tali e di un imprecisato numero di vittime casuali collocabili sul conto economico dei danni collaterali. Dopo gli attentati dell’11 settembre l’America ha ingaggiato la caccia ai terroristi in tutto il pianeta. Per raggiungere lo scopo ha posto una taglia sui terroristi più pericolosi, ha usato armamenti e squadre speciali, ha assoldato mercenari, ha coinvolto agenzie di spionaggio straniere, si è messa in combutta con personaggi imprevedibili e dittatori impresentabili.

Le trasformazioni avvenute presso il Pentagono e la CIA  negli ultimi anni, hanno visto il progressivo coinvolgimento degli apparati militari e degli agenti di controspionaggio in attività parallele spesso con sovrapposizione di ruoli. Ossia i vertici dell’esercito e dell’agenzia di controspionaggio, più potenti al mondo, si sono trovati in competizione nell’inseguire i nemici dell’America su ogni terreno. Ivi compreso, nel ricercare l’adeguata assegnazione di fondi per il proprio budget, nel compilare liste proprie ed eseguire uccisioni mirate dei terroristi più a lungo ricercati. E purtroppo anche di malcapitati, che una protervia di dominio assoluto, di potere divino calato dall’alto, vorrebbe declassare a inevitabili effetti collaterali.

Eloquente l’interpretazione che ne dà l’autore. “Era una specie di comma 22: in una zona nota per le attività di guerriglia tutti i maschi in età militare erano considerati combattenti nemici, pertanto chiunque fosse stato ucciso lì con i droni veniva etichettato come combattente, a meno che non vi fossero chiare prove della sua innocenza, però ormai sarebbe stato morto”. E’ chiaro, no?

Le tappe fondamentali di questa escalation possono risalire al febbraio del 2001, sei mesi prima dell’attacco alle Torri Gemelle, quando l’aviazione americana mise a segno un test che funse da spartiacque con il passato. Un missile Hellfire, sganciato da un Predator, andò a colpire un carro armato bersaglio.

Gli USA avevano così approntato “una nuova arma che non richiedeva che qualcuno andasse in guerra”. Nonostante i risultati dei test fossero positivi, i vertici della CIA rimanevano divisi se inviare o meno droni armati in Afganistan a dare la caccia ai terroristi. Poi nel 2004 un rapporto interno minò alla base il protocollo che l’agenzia s’era dato sul programma di “detenzione-e-interrogatori” dei prigionieri. Secondo la relazione scritta, che documentava le tecniche di interrogatorio dei detenuti, il waterboading, la privazione del sonno, lo sfruttamento delle fobie ecc. violavano la convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura. “La CIA aveva sottoposto parecchi prigionieri al waterboarding. [...] In un solo mese aveva usato 183 volte questa tecnica su Khalid Sheikh Mohammed, il principale pianificatore degli attacchi dell’11 settembre”.

Paradossalmente queste tecniche d’interrogatorio accesero il dibattito tra i membri del governo sull’attendibilità o meno delle informazioni raccolte. Non appariva chiaro quando i prigionieri dicessero la verità e quando stavano semplicemente ripetendo quello che veniva loro estorto, perché ciò era quanto gli agenti volevano sentirsi dire.

Le incursioni armate, senza pilota, parvero avere un impatto meno controproducente sull’opinione pubblica interna; quindi progressivamente si cambiò registro.

Nel 2005 e 2006 gli attacchi con i droni in Afganistan, lungo la frontiera con il Pakistan, nello Yemen e altrove causarono numerose vittime civili. Queste incursioni ottennero l’effetto d’innescare l’odio per gli Stati Uniti. E nello stesso tempo misero le autorità locali nella “scomoda posizione di dover mentire sulla loro natura”.

Con l’allargamento delle incursioni, si moltiplicarono le richieste della CIA di rinfoltire la propria flotta di droni. Ciò che spinse il generale James Cartwright, vicepresidente del comitato dei capi di stato maggiore, a domandare perché si stesse allestendo una “seconda aeronautica militare”. E rimaneva cruciale l’interrogativo di fondo, cioè fino a che punto i bombardamenti con i droni creassero più terroristi di quanti venivano uccisi a causa del risentimento per le vittime civili. Fenomeno descritto altrove come effetto tagliaerba.

Altro capitolo oggetto di competizione era quello propagandistico. Il Pentagono affidò l’incarico di riempire il momentaneo vuoto a Michael Furlong, un “ex specialista delle operazioni psicologiche dell’esercito che aveva appena passato un decennio a pensare alla maniera di fare la guerra nella testa della gente”. Questi si interessò di far sviluppare videogiochi da scaricare sul cellulare e da diffondere in tutto il Medio Oriente. C’era da modificare l’immagine che l’utente si era fatta degli Stati Uniti. Il videogame, a “brand nascosto”, prodotto da una società europea del settore entertainment, avrebbe tra l’altro permesso di raccogliere dati sugli utenti.

A metà 2006 la Somalia era diventata una dimostrazione di “guerra in outsourcing”. Su tutti i fronti operavano aziende private, milizie mercenarie, e i cosiddetti contractor bramosi di tuffarsi dappertutto, dall’instabile Medio Oriente fino al caotico corno d’Africa. L’anarchia dell’Africa Orientale scoraggiava l’amministrazione Bush dal ripetere ulteriori tentativi di modificare lo status quo. “Ma dove i governi non osavano andare spuntavano nuove occasioni per le milizie private”.

Il 2011 fu contrassegnato dall’insurrezione delle popolazioni del Nord Africa. La primavera araba fu accolta con favore da gran parte del mondo occidentale. Mentre gli USA si trovarono del tutto impreparati. Non ne colsero i segni premonitori e tantomeno si mostrarono in grado di prevederne l’esito. Cosa abbastanza comprensibile, poiché gli Stati Uniti essendosi alleati con dittatori come Hosni Mubarak e Muhammar Gheddafi, e la CIA essendosi associata ai loro servizi segreti, non potevano coltivare nello stesso tempo anche i contatti con gli oppositori dei regimi suddetti per raccogliere informazioni sulle crepe del potere.

La caccia all’uomo più ricercato, e la fase della campagna di antiterrorismo più costosa della storia, terminò all’alba del 2 maggio 2011 quando quattro elicotteri arrivarono ad Abbottabad, assaltarono la palazzina dove viveva Osama bin Laden e in meno di un’ora conclusero il raid. I dettagli dell’operazione furono resi pubblici alle autorità pakistane e al mondo intero solo a giorno inoltrato.

Oggi CIA e Pentagono si contendono basi di droni disseminati in zone sperdute del globo che vanno dall’Arabia Saudita a un’ex base della Legione straniera francese a Gibuti, e altri avamposti; soprattutto hanno acquisito il controllo di segmenti di una guerra fantasma che emerge alla ribalta solo a sprazzi. Secondo un ex-avvocato della CIA  “tutto va a rovescio: hai un’agenzia di controspionaggio che combatte una guerra, e un’organizzazione militare che cerca di raccogliere informazioni sul campo”.

Il fondatore del Counterterrorist Center (CTC), Duane Dewey Clarridge, raggiunto da Mark Mazzetti presso il ristorante del suo residence ha confidato di ritenere il Trattato di Westfalia “acqua passata”. Alcuni storici sostengono che il trattato di pace di Westfalia (firmato nel 1648 dopo la guerra dei trent’anni) avrebbe favorito la nascita delle nazioni moderne, e di conseguenza, la formazione delle identità nazionali e la creazione di eserciti di leva permanenti. Secondo l’ex-direttore della CIA gli stati-nazione, non avendo più il monopolio delle forze armate, hanno un futuro incerto. Le guerre americane saranno sempre più orchestrate da multinazionali e come tali saranno motivate da interessi privati.

Aspetto tutt’altro che marginale il fatto che quando questi personaggi hanno un’idea in testa, non si limitano a esprimerla in termini teorici, ma fanno di tutto perché ciò accada.

E infatti “i contractor del governo grandi e piccini formano oggi un anello attorno alla capitale, simile a un esercito che cinge d’assedio una città medievale”.

 

AF

 

Killing Machine, Mark Mazzetti, Feltrinelli

 

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