Grazie all’uso della tecnologia, anche come propri organi, l’uomo si sente di dominare la Terra piegando l’ambiente nel quale è immerso e la natura alle proprie necessità. Nel fare questo però l’essere umano, per citare una frase di Stanislaw Lem “non sa quasi mai quello che effettivamente fa, o comunque non lo sa fino in fondo”. In questo non sapere, che socraticamente parlando potrebbe essere una spinta alla conoscenza, sta invece una incapacità a riflettere sugli effetti delle azioni e delle creazioni (invenzioni) umane. Questa riflessione è tanto più importante quanto più ci si trova a maneggiare tecnologie che non si possono controllare e quanto più potente è diventata la scatola nera nella quale si agitano algoritmi potenti capaci di tenerci all’oscuro del loro funzionamento e di renderci difficoltoso ragionare sui loro risultati contraddittori.
Il dilemma che oggi si pone a tutti non è se essere tecnofilo e apologeta delle meraviglie della tecnologia o tecnofobo e apocalittico ma se aderire alla ideologia ultima incarnata dalla tecnologia e dalle sue narrazioni o riflettere sulla complessità della vita umana intesa, come organismo vivente, su quella sociale e politica. Accettare la complessità (variabilità) potrebbe farci comprendere meglio le crisi sistemiche che stiamo affrontando (democratica, economica, geopolitica, ecologica, psichica e cognitiva, ecc.) e che nessuna tecnologia potrà risolvere da sola (pensiamo ai droni superintelligenti in uso nelle guerre attuali).
Nel riflettere sulla complessità della vita comporta oggi anche la capacità di (ri)considerare la corporeità umana alla base di tutto il pensiero umano per come si è evoluto nel tempo portando all’era tecnologica attuale. Anche se viviamo nell’era della smaterializzazione e digitalizzazione della vita e dell’esistenza, bisognerebbe tornare a pensare che nulla avviene senza l’apporto del fattore corporeo. A meno che non si voglia credere nella follia che il cyborg futuro possa essere il successore designato dell’uomo, costruito per scalzarlo e rimpiazzarlo nell’ambiente da esso sempre occupato (un modo di dar ragione alla massima che l’uomo non può cambiare il suo ambiente senza cambiare sé stesso). L’importanza della corporeità è evidenziata da molti pensatori attuali, filosofi umanisti, fisici e scienziati. Del ruolo chiave del corpo, anche nella sua componente spirituale tipicamente umana, ho parlato anche io nel mio ultimo libro Nostroverso – Pratiche umaniste per resistere al Metaverso. Il cyborg futuro sarà più intelligente, perfetto, ma senza corpo non sarà più umano.