Dopo avere passivamente accettato le conversazioni stanche o assenti della tavola da pranzo, ora genitori e adulti si trovano a fronteggiare altre forme di mutismo o assenza (lontananza) da parte dei loro figli, comportamenti di tipo digitale e perseguiti con strumenti, astuzie e modalità più dificili da scoprire e padroneggiare. Si interrogano su quella che ritengono essere una forma di dipendenza dalla tecnologia da parte dei più giovani ma al tempo stesso si dotano di strumenti tecnologiici dei quali diventano loro stessi dipendenti.
Lo schermo del televisore sistemato nella sala da pranzo aveva da tempo messo in crisi conversazioni e relazioni familiari, oggi lo smartphone le ha praticamente annullate, cancellando opportunità di scambio e di parola e riducendo al minimo ogni forma di attenzione reciproca. Il fenomeno non interessa solo i ragazzi nativi digitali che si illuminano ogni qualvolta si illumina il display del loro smartphone. Interessa anche genitori e adulti, abituati ormai a tenersi il dispositivo mobile appresso in ogni frazione della giornata e a tavola (spesso dopo averlo vietato ai loro figli), a usarlo compulsivamente anche nel bel mezzo di una conversazione o dialogo con i loro ragazzi o ad averlo eletto a strumento preferenziale per parlare, tramite SMS, messaggini e WhatsApp con i loro figli e nipoti.
Le machine al lavoro, gli umani senza lavoro felici e contenti!
Il fenomeno è così diffuso tra gli adulti che oggi molti adolescenti e bambini si trovano a dover competere con lo smartphone dei genitori per attirare la loro attenzione e poter parlare e interagire con loro. Il bisogno di parlare non è tanto legato alla possibilità di fare conversazione quanto di scoprire e sviluppare il proprio Sé, di apprendere come interagire con gli altri, di sperimentare forme di empatia che non dipendono solo dalle parole usate ma anche dalla punteggiatura, dai gesti, dal tono, dall'ironia, dalla capacità di ascolto o dal contatto fisico. Tutte esperienze che non possono essere provate online, neppure se gli interlocutori digitali sono i genitori.
Per molti ragazzi essere ascoltati e capiti è più importante di avere uno smartphone, capire di poter contare su qualcuno di cui avere fiducia è più importante di avere mille contatti Facebook, imparare a comprendere gli altri è il primo passo per vivere anche la loro vita online senza problemi. Sono bisogni e desideri, condivisi da molti ragazzi, che rimangono spesso insoddisfatti per colpa di genitori così presi, stressati o attenti al proprio dispositivo da avere perso il contatto visivo con i loro figli, di non essere più capaci di ascoltarli e soprattutto di educarli. La scarsa conversazione a tavola o in famiglia finisce così per diventare un semplice cinguettare, senza alcuna profondità o approfondimento, una comunicazione priva di empatia e coinvolgimento, soprattutto incapace di far capire che più delle parole conta la relazione, il rapporto e la sua durata nel tempo capace di dare sicurezza e permettere di coltivare la fiducia reciproca.
Bambini e adolescenti hanno bisogno di essere ascoltati, vogliono esserlo e, nonostante le loro abitudini che li vedono interagire continuamente con il loro smartphone, chiedono ai loro genitori maggiore responsabilità, grandi qualità umane e la rinuncia all'uso del dispositivo mobile per prestare loro maggiore attenzione e interesse.
Invece di stare su Facebook con la scusa di monitorare le attività dei figli, i genitori dovrebbero prima di tutto riflettere su come e quanto la tecnologia abbia reso vulnerabili tutti i membri della famiglia, con conseguenze assolutamente imprevedibili e difficilmente valutabili. Poi dovrebbero riappropriarsi degli spazi familiari liberandoli momentaneamente dalla tecnologia (Zone Temporaneamente Autonome dalla Tecnologia) con l'obiettivo di favorire, coltivare e praticare la conversazione, senza interruzioni digitali, ma rendendola animata, dialogica, conflittuale, emotiva ed empatica con forme di comunicazione in grado di esprimere l'impegno reciproco, la voglia di comunicare, di ascoltarsi, di dialogare e di instillare sicurezza.
Da conversazioni di questo tipo i ragazzi potrebbero apprendere una lezione utile anche per la loro vita online. Una lezione indicata da Sherry Turkle nell'imparare "che la cosa più importante non è condividere un'informazione bensì mantenere vivi nel tempo i rapporti".