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Il display come strumento di felicità

Il display come strumento di felicità

16 Giugno 2016 Carlo Mazzucchelli
Carlo Mazzucchelli
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Politica, grandi Marche e grandi imprese sono stutte accomunate dallo sforzo di venderci la felicità. I nostri comportamenti e stili di vita online così come le emozioni espresse attraverso libri delle facce o cinguettii vari sono diventati risorse da conquistare, raccogliere, analizzare, vendere con l'unico obiettivo di proporci prodotti, servizi e messaggi finalizzari a farci stare bene. Il consumatore in tutto questo non è più semplice attore passivo e destinatario finale di comunicazioni e messaggi promozionali ma sempre più complice, cognitivamente e nelle pratiche di vita quotidiane. Lo è soprattutto tramite un display e l'uso che ne fa.

Ho recentemente acquistato e letto L'industria della felicità di William Davies. E' un libro che sostiene la tesi che negli ultimi anni si è venuta creando una vera e propria indistria della felicità, focalizzata al controllo sociale perseguito attraverso la commercializzazione dei sentimenti umani. Da sempre alla ricerca della felicità e del benessere, gli umani contemporanei sembrano trascurare o prestare minore attenzione ai loro drammi quotidiani e problemi materiali reali e lasciarsi al contrario irretire dai messaggi che puntano a suggerire il facile superamento dei dolori, dei disagi individuali e sociali e delle contraddizioni del passato. E' una promessa che trova forza nella grande disponibilità di dati e informazioni che permetterebbe di sapere con precisione cosa ogni persna va cercando e volendo.

Sul tema si soffermano altri autori che hanno pubblicato libri che suggeriscono una riflessione critica sul ruolo della tecnologia e dei protagonisti del mercato tecnologico nella produzione di una realtà, sempre più virtuale, che punata alla felicità personale e al coinvolgimento diretto di ogni individuo nel fornire, con i suoi racconti, contributi, profili e contenuti online, le risorse per nuova campagne, eventi e iniziative finalizzati alla felicità

Il tema è stato toccato anche nel mio e-book E guardo il mondo da un display, un testo nel quale ho provato a riflettere sul ruolo che il display, in una delle numerose forme in cui si manifesta oggi, ha nella ricerca del sè, nella interpretazione e interazione con gli altri, con la realtà e con il mondo. Come strumento principe di accesso alle molte vite virtuali e parallele nelle quali oggi tutti vivono, il display è diventato strumento di felicità e risorsa per tutti coloro che su questa felicità stanno costruendo il loro successo economico, politico e commerciale.

Chi fosse interessato ad approfondire il tema può acquistare il libro L'industria della felicità di William Davies e gli altri menizonati nella Bibliografia tecnologica di SoloTablet, oppure può scaricare acquistandolo il mio ebook: E guardo il mondo da un display pubblicato nella collana Technovisione di Delos Digital.

 

Flessibile, magnetico, attrattivo, tattile, irresistibile, virtuale, ologrammatico e così tanto reale. Il display è diventato metafora potente del nuovo modo di guardare e interagire con la realtà del mondo che ci appare. È usato per costruire mondi virtuali e paralleli nei quali perdersi e ritrovarsi, da soli o in compagnia, ma sempre con lo sguardo incollato alle narrazioni visuali di un’immagine o di una fotografia, a un messaggio che parla e comunica fatti, avvenimenti, sentimenti e storie, a un video che scorre, a un videogioco labirintico e senza fine o ad applicazioni che servono per portare a termine un’attività lavorativa o semplicemente per giocare. Le generazioni passate hanno guardato il mondo da un oblò, oggi le nuove generazioni lo fanno attraverso lo schermo di un display. Il primo può essere attraversato dallo sguardo e servire per annoiarsi un po’ guardando Luna che mangia le caramelle (Luna, canzone di Gianni Togni) o diventare strumento di forti emozioni per AstroSamantha, il secondo è meno noioso, non è neutrale, è aggressivo, cattura l’attenzione, rende dipendenti e a volte violenti ed ha la capacità di confondere la finzione con la realtà creando molteplici mondi virtuali nei quali abbandonarsi, perdersi, emozionarsi, rispecchiarsi, riconoscersi e sentirsi vivi.

Smartphone, phablet, tablet, personal computer, lettori musicali, televisori, bancomat, chioschi e totem multimediali, maxischermi a LED, video wall, tutti accomunati dalla presenza di un display capace di ospitare sulla sua superficie non soltanto dati, immagini e video ma in realtà il mondo intero. Il display enfatizza il ruolo della visione, il senso umano per definizione secondo Aristotele, ma virtualizza e rende trasparente il corpo, facendoci perdere la capacità di collezionare esperienze percettive capaci di cogliere il mondo nella sua interezza e materialità. A forza di guardare il mondo da un display, il suo ruolo nel condizionare la nostra esperienza visiva è diventato invisibile e impercettibile. La realtà, al di fuori della cornice dello schermo, diventa invisibile o semplice sfondo. I contenuti che scorrono sul display assumono al contrario una crescente autonomia, assomigliando sempre più agli originali naturali di cui sono copia o rappresentazione, diventano oggetti comunicanti e parlanti, si svincolano dall’interazione con gli altri sensi impedendo una relazione con il mondo, di usarlo e di portare a termine azioni e attività.

Perduti e innamorati dei propri display, gli umani dell’era tecnologica postmoderna sembrano tante monadi Leibniziane, tutte in armonia tra di loro ma perse in universi differenti e alla costante ricerca di unità e di esperienze non soltanto visuali ma materiche, cinestetiche, prossemiche, sonore, linguistiche, olfattive, gustative e tattili. Esperienze che anche il display più innovativo e tecnologicamente avanzato non è ancora in grado di regalare.

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