Il primo ministro italiano ha fatto della velocità uno degli elementi chiave della sua azione politica. Non è un caso che, tra i numerosi media tecnologici disponibili, abbia scelto Twitter per la brevità dei suoi cinguettii, la sua immediatezza e istantaneità.
Immediatezza e istantaneità, come scriveva Paul Virilio nel lontano 1995, sono i due problemi principali con cui devono fare i conti gli strateghi politici e militari dell’era tecnologica. L’emergere del tempo reale e il suo primato come elemento caratterizzante la geosfera hanno cambiato la nostra percezione della realtà, la nostra relazione con il mondo e la nostra visione di esso.
Pur essendo velocissimi non è però possibile superare la velocità della luce e chi ci ha provato ha finito per farsi male. La velocità cambia la sua relazione con il mondo reale, la sua percezione e rischia di portarlo a raccontare esperienze falsate dalla disinformazione e ingannatrici. Nel tentativo di aumentare la velocità si rischia di perdere i contatti con la realtà e di non vedere chiaramente gli eventuali ostacoli che si frappongono al cammino verso la destinazione finale.
Così come l’affermarsi della prospettiva del quattrocento italiano cambiò per sempre l’arte ma anche l’economia e la politica e segnò il passaggio a un nuovo mondo, nella percezione degli spazi reali vissuti dalle persone, la nuova prospettiva del cyberspazio ha ridefinito il modo di pensare, vedere, percepire e sperimentare la realtà da parte del cittadino moderno, anche nella sua veste di elettore. Non è un caso che un movimento, nato su e attraverso Internet come i Cinque Stelle, sia oggi diventato il protagonista assoluto della politica italiana. Un cambio di prospettiva politica guidata dal bisogno di cambiamento, di novità e di onestà da parte dei cittadini italiani che sembra ricordare il passaggio dalle interfacce utente dei dispositivi tradizionali (tastiere e mouse) a quelle tattili dei nuovi dispositivi mobili.
Come novelli San Tommaso gli elettori italiani, disincantati e forse anche incazzati, non si fidano più dei messaggi audio-visuali, veicolati principalmente attraverso la televisione, ma vogliono toccare, sentire cosa c’è sotto la superficie di parole e le immagini, alla ricerca di nuove esperienze capaci di orientare e forse di nuovamente entusiasmare.
Nel dibattito surreale concentrato su exit poll che sembrano essere costruiti apposta per animare una discussione in assenza di dati reali, nella serata post-elettorale la cosa che ha colpito maggiormente è stata la sparizione dei simboli e loghi di partito. Un fenomeno interessante vista l’importanza dei simboli e delle sue immagini nella comunicazione e nell’informazione. Un fenomeno però molto comprensibile vista la perdita di credibilità della classe politica attuale e la perdita di orientamento degli elettori che, come avviene anche con l’eccessiva pubblicità, sembrano essere diventati ciechi verso alcuni simboli e loghi. A forza di politiche liberiste e di deregolamentazione si è deregolamentata anche l’esperienza politica degli individui, sempre meno interessati ad agire politicamente e sempre più pronti a reagire a impulsi del momento, al qui e ora dei loro bisogni e delle loro percezioni.
Ammaliati dai nuovi media tecnologici, a manifestare disturbi percettivi della realtà, più degli elettori, sembrano essere i politici, incapaci di cogliere le discrepanze tra le narrazioni che amano raccontare e raccontarsi e la realtà fattuale. In questa incapacità a cogliere i cambiamenti avvenuti e in essere sono destinati a potenziali shock che li obbligano a misurarsi con gli aspetti negativi dei loro modelli di comunicazione e di interazione con il corpo elettorale e la società. Un cinguettio non porta l’allegria ma può generare al contrario nuove ansie e creare reazioni inaspettate.
Il motivo è che non c’è da star sereni quando il surplus informativo crea una distanza abissale tra la narrazione della realtà e la realtà nella sua concretezza reale, tattile, sperimentata ogni giorno. Al di là delle costanti affermazioni sulla riduzione delle tasse, alla fine ciò che conta veramente è il bilancio reale di ogni famiglia o singolo cittadino. In esso i numeri sveleranno quanto si è pagato e se si è speso di più o di meno dell’anno precedente.
A forza di parlare e riempire di narrazioni gli studi televisivi e i media la classe politica attuale dimostra di essere vittima di se stessa. Il surplus informativo fa perdere l’orientamento ma soprattutto complica la relazione con l’elettore e il cittadino dando luogo a delle non-situazioni capaci di generare disaffezione e astensionismo.
Questo effetto si traduce nella presa d’atto (“Non siamo contenti” ha dichiarato Matteo Renzi dopo il voto del 5 di giugno) che i MiPiace associati a un cinguettio o messaggio social online non coincidono automaticamente con i voti degli elettori. Il MiPiace è frutto della velocità e della mancata riflessione sull’atto che si compie con un semplice click, la rappresentanza è processo più lento, che matura da esperienze concrete.
I sondaggi e gli exit poll sono diventati i nuovi strumenti tecnologici per cogliere il sentiment degli elettori ma finiscono spesso per cogliere solo la virtualità dei gesti (il voto) e delle intenzioni. Alla fine ciò che conta è il tempo reale, quello che porta ogni elettore, all’interno della cabina elettorale, a prendere l’ultima e definitiva decisione.
Anche l’idea che il locale (elezione comunale) sia meno importante del globale (referendum costituzionale) è frutto della retorica tecnologica di questi anni che ha fatto della globalizzazione la parola cardine del cambiamento, finanziario, economico, sociale e politico. Nella realtà la globalizzazione è tale solo nella sua realtà virtuale. In quella reale e fattuale deve confrontarsi con ciò che è locale, le sue specificità comunali o regionali, le sue istanze, poco virtuali e molto spaziali e concrete. Sottovalutare il ruolo del locale cambia la prospettiva, aumenta la distanza, modifica le priorità e incide nelle relazioni.
Se c’è una lezione che emerge da queste lezioni è che nulla può essere ottenuto senza perdite. Far finta di niente significa andare incontro a successi monchi e potenzialmente pericolosi rischiando la perdita di controllo. Così come la bolla finanziaria ha prodotto la crisi che ne è seguita, una politica fatta di tanti cinguettii e tanta informazione, ha finito per essere percepita come disinformazione e inganno e produrre risultati non certamente positivi per chi l’ha prodotta.
Ciò che ne deriva è il classico incidente di percorso. Un incidente prevedibile perché causato dall’eccessiva velocità e dalla crescente difficoltà all’interazione. Non è un caso che il movimento Cinque Stelle prediliga piattaforme tecnologiche diverse da Twitter e più adatte alla lettura, alla scrittura, alla riflessione critica e soprattutto all’interazione, espressione del bisogno del cittadino di trovare ascolto alle sue istante da parte di chi lo rappresenta.
I risultati delle elezioni comunali indicano che un modello politico che veniva percepito, anche da parte di molti media, come vincente e imbattibile non è stato capace di narcotizzare le coscienze impedendo scelte autonome e diverse.
Ora non resta che correre ai ripari, ma secondo quale prospettiva?