La passività va di pari passo con la binarietà delle reazioni. Reazioni in forma di MiPiace o rapide condivisioni senza reali azioni, le uniche in grado di dischiudere qualcosa di nuovo che sfugga a ciò che funzionalmente è già stato prefigurato e preordinato in forma di rapido e reattivo clic.
🟥 🟥 𝐌𝐈𝐂𝐇𝐄𝐋𝐀 𝐌𝐔𝐑𝐆𝐈𝐀 𝐄 𝐈𝐍𝐓𝐄𝐋𝐋𝐄𝐓𝐓𝐔𝐀𝐋𝐈 𝐄𝐍𝐆𝐀𝐆𝐄’
L’agire che si manifesta ad esempio con un commento, con un messaggio o una e-mail all’autore di un testo, con una telefonata, magari con un incontro faccia a faccia, corpo davanti a corpo, non è un atto riflesso, passivo ma frutto di un rallentamento e una pausa, seguiti da una riflessione, anche breve, che porta a far emergere l’imprevedibile e il possibile.
Imprevedibile, possibile, evento, emergenza, sono le parole chiave per marcare la differenza tra macchine computazionali e algoritmiche ed esseri umani, viventi, capaci di spiazzare con i loro comportamenti, sempre emergenti e situati, frutto di conoscenza e immaginazione, intuizione e capacità di dare senso alle cose (un senso diverso da quello assegnato a eventi catalogati come tali per il loro numero di MiPiace e visualizzazioni), che può produrre tanti mondi e scenari possibili, mai calcolabili in anticipo perché sempre insorgenti dalle interazioni di ogni persona o individuo con il suo ambiente e con gli altri.
L’algoritmo pretende di rappresentare la verità rivelando dati e informazioni (diverse da conoscenze) a chi è stato selezionato, sulla base della coerenza dei profili analizzati, nell’intento di determinarne le reazioni (e così gratificare gli inserzionisti paganti) facendo loro credere di essere parte attiva di un processo di selezione, di scelta e di (re)azione. L’algoritmo però non può prevedere le azioni che possono derivare dal comportamento individuale essendo ogni evento, come tale, il risultato di una combinatoria mai prevedibile di eventi e situazioni, scelte e azioni, esperienze, saperi ed emozioni.
Rinunciare a riflettere su tutto ciò, impedisce di comprendere lo scivolamento in atto verso esseri umani sempre più macchinici, automatizzati e in qualche modo prevedibili e calcolabili. Per ridare un senso al nostro essere viventi e non macchine un modo ci sarebbe: adottare una pratica a cui forse, anche per colpa della pandemia, ci siamo disabituati, fondata sul contatto fisico, corporeo. Ne parla anche Luigi Zoja nel suo recente libro Il declino del desiderio. Nel mio piccolo ne parlo anche io nell’ultimo libro: OLTREPASSARE – Intrecci di parole tra etica e tecnologia.