Un testo tratto dal mio ultimo ebook 100 strategie analogiche per resistere al digitale (e allo smartphone) pubblicato nella collana Technovisions di Delos Digiatl.
"Camminando per strada ogni tanto ricordati dei mille volti anonimi che incontri, potresti riconoscerne alcuni"
Con il collo piegato sul display dei loro smartphone, i nomadi e camminatori moderni non si avventurano in grandi viaggi patagonici, non percorrono le vie dei canti descritte da Chatwin, ma sono intenti e attenti a non inciampare, ad aggirare ostacoli soltanto percepiti, a evitare pali della luce e altre realtà, solide ma pericolosamente reali, disperse sul loro cammino. Con il collo ripiegato e gli occhi incollati al display magnetico e alle accattivanti immagini che scorrono sotto i polpastrelli delle loro dita, il loro passo è sempre lento. La lentezza indotta non serve però a una migliore esperienza della realtà circostante, permette semplicemente al cervello di identificare con maggiore facilità eventuali pericoli e di pianificare una risposta rapida e adeguata per la sua sopravvivenza.
La strada diventa una pista percepita più che un percorso da esplorare, una realtà essa stessa digitalizzata, virtuale e aumentata ma soprattutto incapace di offrire reali opportunità di incontro, di conoscenza e di relazione. L'attenzione dei camminatori tecnologici e mobili è così centrata sull'affermazione rassicurante e narcisistica del Sé online (chatto, taggo, cinguetto, autoscatto, quindi sono) da far dimenticare ogni esperienza soggettiva e relazionale, sostituita da veri e propri miraggi e deprivata dalla forza dei gesti e dello sguardo. Completamente assorbiti dalla frequentazione di realtà virtuali rinunciano a cercare il nuovo, il sorprendente e l'imprevedibile che sempre si può incontrare sulla propria strada, quando si volge lo sguardo all'orizzonte o ci si guarda intorno.
In cammino con lo smartphone sempre acceso
Camminare e percorrere lo spazio, equipaggiati di dispositivi tecnologici, limita la potenzialità del gesto libero e non condizionato dal mezzo tecnologico, toglie rilevanza all'incedere stesso e alla sua destinazione. Impegnati nell'iterazione tecnologica il camminare diventa semplice spostamento da un punto di partenza a uno di arrivo. Un camminare senza vincoli e obblighi dettati dalla virtualità dei gesti non è mai completamente lineare, non comporta necessariamente una sola destinazione e neppure la fretta di arrivare.
A produrre variazioni, cambiamenti, alterazioni e innovazioni sono le cose circostanti, i paesaggi, gli ambienti ma soprattutto le persone incontrate. Esseri umani, con volti dai richiami molteplici e sorprendenti, con i quali si può scoprire di essere connessi in forme diverse da quelle sperimentabili online attraverso profili digitali, filtrati da algoritmi vari e rielaborati con Photoshop. I loro volti reali, fisici, autentici, non coincidono con il loro smartphone e neppure con la loro immagine digitale. Suscitano curiosità, emozioni e reazioni imprevedibili, richiamano attenzione, rispetto e soprattutto esprimono il bisogno di essere guardati con gentilezza. Un bisogno che può essere soddisfatto solo dall'incontro faccia a faccia, dall'essere uno di fronte all'altro/a, con un corpo ma soprattutto con la parte più espressiva di esso, il volto.
Guardarsi è riconoscersi
Il bisogno è reciproco. Guardarsi è riconoscersi, metterci la faccia e impegnarsi, è dare un'identità ai mille volti anonimi che si incontrano per distinguerli tra di loro in base alle loro espressioni ed emozioni, significa dar loro valore e riconoscerli. Non riuscire a fare questo, rifiutando lo sguardo e il faccia faccia, significa condannarsi a un volto tecnologico allegro e sorridente ma solo e isolato, senza espressioni ed emozioni, usato per relazioni puramente quantitative.
Evitare lo sguardo dell'altro porta a rinchiudersi in sé stessi. Una forma di solipsismo digitale che nasconde, dietro una facciata di felicità e benessere, una realtà fatta di ansie, frustrazioni, situazioni di panico e irrequietezze varie ma soprattutto di bisogni insoddisfatti e nuove ossessioni (una realtà colta da un graffito scritto su un muro di Milano che recita: "Io,Io, Io, Io, Io, Io, Io, Io, Io Io, Io, Io, ... sono solo"). Per evitare il dolore che deriva da questo tipo di esperienze non rimane che riprendere il passo del camminare con lo sguardo lontano dal display del dispositivo tecnologico. I mille volti incontrati sul cammino potrebbero risultare anonimi ma tra di essi si potrebbe riconoscerne alcuni e soprattutto, nella relazione, riconoscere sé stessi.