Oggi molti contenuti sono generati a tavolino, come se fossimo diventati tutti esperti di marketing e di comunicazione (io in realtà dovrei anche esserlo!), spesso sono estemporanei esercizi linguistici e di scrittura, quasi sempre in forma di semplici, concise e rapide comunicazioni, informazioni e notizie (se il tempo massimo di esposizione su Tik Tok è tra i 2 e i 4 secondi meglio andare veloci), contenuti finalizzati a occupare le prime pagine, a dominare le visualizzazioni facendosi strada dentro un surplus informativo e cognitivo da tempo saturo di narrazioni, vuoto di racconti e soprattutto di esperienze.
Le narrazioni di cui questi racconti raramente sono narrazioni interiori, non sembrano appoggiarsi sulla lingua intesa nelle sue capacità culturali prima ancora che narrative, non sembrano soffermarsi per riflettere su cosa succede nella testa, soprattutto nella componente inconscia che ci caratterizza come umani, nel momento in cui si pensa qualcosa (concetti prima ancora che parole, analogie prima ancora che frasi), prima di comunicarla o di scriverla.
Dal tatto al semplice gesto, il tablet agli ultrasuoni
Per me la narrazione nasce quasi sempre da una esperienza personale, si alimenta di conoscenze, letture, incontri e ricordi, fa affidamento sulla lingua che mi si è venuta strutturando dentro grazie al mio vissuto, alla mia cultura e alle mie conoscenze, alle mie ricerche molto legate alla mia curiosità e sete di conoscenza, alle mie emozioni e alla incancellabile voglia (illusione) di cambiare il mondo. Con questa lingua (e non solo) tento di dare forma a scenari futuri, convinto come ha scritto @francesco varanini che “la storia che raccontiamo è il grumo di un nuovo mondo possibile”. Anche oggi io voglio continuare a perseguire questi mondi possibili, non mi accontento del Panglossiano migliore dei mondi possibili oggi identificabile nel mondo tecnologico per come ci viene raccontato dai suoi sacerdoti e filosofi pop.
La prima narrazione a cui mi capita di dedicarmi è interiore, nasce sotto traccia in forma di monologo verbale che si forma nella testa, spesso mentre sto camminando, prima a livello inconscio e sempre attraverso una lingua che parla da sola prima ancora che io ne sia completamente cosciente.
Se torno a casa per tempo e prima che il racconto che si è costruito nella testa svanisca, posso strutturarlo e riempirlo di storie, le mie. Posso dare una forma scritta a questo racconto, trasformarlo in narrazione, e condividerlo, come sto facendo anche ora.
Questo racconto è nato ieri da un incontro.
A voi come nascono le storie nel cervello?