“La tecnologia ci da sempre più quello che pensiamo di volere.
Oggi guardando i robot sociali e gli amici online, si potrebbe credere che ciò che vogliamo sia stare sempre in compagnia e mai da soli. Non importa con chi o con cosa.
Si potrebbe credere che ciò che vogliamo sia una preponderanza di legami deboli, quelle reti informali che sono alla base degli incontri online; ma se consideriamo con attenzione le reali conseguenze di ciò che pensiamo di volere, possiamo scoprire quel che vogliamo davvero.
Forse vogliamo un po’ di pace e di solitudine.”
Sherry Turkle è una psicologa laureata ad Harvard che insegna sociologia (Social Studies of Science and Technology) al MIT di Boston. E’ esperta di tecnologie mobili, social networking e robotica sociale. Ha all’attivo numerose conferenze e apparizioni televisive. Fondatrice del progetto the MIT Initiative on Technology and Self e autrice di numerosi libri: Psychoanalytic Politics: Jacques Lacan and Freud's French Revolution (Basic Books, 1978) The Second Self: Computers and the Human Spirit (Simon and Schuster, 1984); Life on the Screen: Identity in the Age of the Internet (Simon and Schuster, 1995; Touchstone paper, 1997); e Simulation and Its Discontents (MIT Press, 2009).
Ha pubblicato come editrice di sé stessa: Evocative Objects: Things We Think With (2007); Falling for Science: Objects in Mind (2008); e The Inner History of Devices (2008). Il suo libro più recente è Alone Together: Why We Expect More from Technology and Less from Each Other, Insieme ma sol’, nella versione italiana. In Italia l’autrice ha pubblicato anche Il secondo io (Frassinelli), e La vita sullo schermo’(Apogeo). L’ultimo libro completa una trilogia dedicata agli effetti tecnologici che le tecnologie informatiche hanno sull’individuo.
Insieme ma soli è stato pubblicato in Italia da Codice Edizioni.
Sherry Turkle è considerata, dal tecnofilo ‘new age’ Kevin Kelly, il Freud della tecnologia, capace di individuare e descrivere i cambiamenti della società tecnologica prima di chiunque altro. Questa è l’impressione che qualsiasi lettore attento può avere fin dalla nota con cui l’autrice apre il suo libro e nella quale racconta della sua innocenza di giovane ricercatrice interessata allo studio della cultura informatica con la finalità di scoprire la vita nascosta degli oggetti tecnologici e in che modo i computer stanno cambiandoci come persone.
Lo stile di lavoro adottato dalla Turkle è di tipo etnografico e clinico. Come un antropologo interessato alla ricerca sul posto, Sherry Turkle ha visitato laboratori di ricerca, si è aggirata in dipartimenti di informatica, club e comunità di appassionati della tecnologia e ha frequentato ambienti sociali e abitati della rete come i social network. Ne ha tratto utili informazioni sulle relazioni che ci legano a uno schermo, a una pagina web e ad un computer e alle riflessioni che ognuno di noi fa specchiandosi in esse come se fossero i nuovi strumenti di auto-rappresentazione e affermazione del sé.
Queste riflessioni servono alle persone a esplorare le proprie identità online e alla Turkle a raccontarne gli effetti negativi derivanti dalla fiducia eccessiva con cui ci affidiamo alla tecnologia: “Oggi, insicuri nelle relazioni e ansiosi nei confronti dell’intimità, cerchiamo nella tecnologia dei modi per instaurare rapporti e al tempo stesso proteggerci da essi”. Da questa percezione/riflessione nasce l’intero racconto contenuto nel libro e che è destinato a far discutere molto, psicologi e terapeuti, tecnofobi e tecnofili ma soprattutto singoli cittadini della rete.
Il libro Insieme ma soli è del 2011 e racconta la storia di una manipolazione molto tecnologica ma anche molto accettata. E’ quella perpetrata dalle nuove tecnologie della comunicazione digitale che ci fanno credere, grazie alle loro attraenti applicazioni online, di essere meno isolati perché siamo sempre connessi e collegati in rete con qualcuno. E’ una manipolazione costruita su un'illusione di intimità e socialità scandita da semplici oggetti inanimati e intercambiabili come lo possono essere i LIKE (MiPiace) su una pagina o articolo Facebook o i contatti acquisiti.
I social network vanno di pari passo con l’evoluzione delle tecnologie robotiche che propongono esseri bionici e cyborg sempre più perfezionati e capaci di interagire con gli umani ma anche di sostituirsi a loro in attività quali la cura dei figli o i servizi domestici e di assistenza agli anziani. Secondo la Turkle da un lato si ricorre alla virtualità dei rapporti online per soddisfare bisogni di socialità e relazioni con elevato tasso emotivo, dall’altro tendiamo ad attribuire a macchine e robot le stesse emozioni che ricerchiamo online. Ne deriva una dissociazione emotiva con effetti negativi sulle nostre vite individuali e su quelle sociali su cui l’autrice chiama tutti a una riflessione approfondita. L’obiettivo non è di abbandonare l’uso delle tecnologie ma di interrogarsi su cosa sia il rapporto umano nell’era digitale e dei social network per recuperare forme di dialogo e interazione umana più naturali e capaci di generare benessere presente e futuro.
Ciò che colpisce del libro è l’evoluzione che in pochi anni ha avuto il pensiero dell’autrice, passata dal ritenere Internet e il web come lo spazio libero per eccellenza nel quale ritrovare, e affermare la propria identità e per sperimentare diverse personalità (1995), a una posizione critica e preoccupata dalla quale sembra essere sparita ogni forma di ottimismo. Quanto era libera la Internet di ieri, tanto è illusorio, manipolatorio e pieno di trappole il web del social networking attuale nel quale “ci aspettiamo di più dalla tecnologia e meno da ognuno di noi”.
Secondo Sherry Turkle la tecnologia si propone come architetto della nostra intimità e così facendo suggerisce delle sostituzioni che mettono in fuga il reale, come ad esempio in Second Life. “La tecnologia è seducente – scrive Turkle – quando ciò che offre soddisfa la nostra vulnerabilità umana: si scopre allora che siamo davvero molto vulnerabili. Ci sentiamo soli, ma abbiamo paura dell’intimità: le connessioni digitali e i robot sociali possono offrire l’illusione della compagnia senza gli impegni dell’amicizia; la nostra vita in rete ci permette di nasconderci a vicenda, mentre siamo allacciati l’uno all’altro e preferiamo comunicare vis WhatsApp o SMS invece di parlare”.
Le machine al lavoro, gli umani senza lavoro felici e contenti!
Il libro è il terzo di una trilogia su computer e persone e si interroga su come siamo arrivati a questo punto e se siamo soddisfatti. Il primo libro (Il secondo Io) è servito a descrivere il lato soggettivo del personal computer e i loro effetti sui modi con cui consideriamo noi stessi, le nostre relazioni e la nostra percezione di esseri umani. Il secondo libro (La vita sullo schermo) era focalizzato su come i computer plasmano nuove identità negli spazi online.
‘Insieme ma soli’ racconta di un cambiamento radicale avvenuto nel frattempo e che vede i computer protagonisti proattivi assoluti che non aspettano più che noi proiettiamo su di loro significati o finalità. Sono loro a guardarci negli occhi (‘display e schermi sempre accesi’), a parlarci (‘social network e messaggistiche varie’), a riconoscerci e a imparare quali siano i nostri gusti e le nostre preferenze e a chiederci di prenderci cura di loro quando ce ne dimentichiamo (‘il pulcino Tamagochi e i molti robot che lo hanno seguito’). I tre libri indicano l’evoluzione del pensiero dell’autrice e la sua crescente preoccupazione di studiosa e persona umana.
Nel primo libro aveva definito il computer come un secondo io, uno specchio della mente, oggi riconosce che quella metafora non è più sufficiente per descrivere nuove tecnologie capaci di dare forma a nuove identità divise tra lo schermo e la realtà fisica. Realtà virtuali e parallele connesse e rese possibili dalla tecnologia nelle quali navighiamo spesso come naufraghi in mezzo al mare con un salvagente dal quale sappiamo di non poterci separare per non colare a picco.
Il libro è composto da due parti. Nella prima si parla molto di robot, cyborg intelligenti ed esseri simbionti capaci di sostituirci in quasi tutte le incombenze quotidiane ma anche di fare amicizia e compagnia. Le loro abilità lavorative o la capacità di fornire soluzioni concrete alle nostre incapacità e imperfezioni, non sono quasi mai l’oggetto dell’interesse della studiosa. A lei interessano i rapporti e le relazioni che intercorrono tra la macchina e l’umano e gli effetti che ne possono derivare sull’identità, personalità, comportamenti e stati d’animo.
Turkle vuole far luce sulla relazione intima che sembra caratterizzare il rapporto uomo-macchina dei nostri giorni nei suoi aspetti più reconditi, simbolici e cognitivi. Attraverso un viaggio nel mondo dell' innovazione e dell'evoluzione tecnologica, Sherry Turkle suggerisce che siamo di fronte ad un bivio nel quale siamo tutti chiamati a manifestare il nostro libero arbitrio con scelte radicali. Si può scegliere la realtà, da difendere e proteggere, oppure abbandonarsi a una realtà parallela, virtuale e artificiale governata dal ritmo e dalla volontà della tecnologia.
La scelta da compiere non è semplice. La tecnologia è capace di farsi notare, di attirare la nostra attenzione, di soddisfare i nostri desideri più inconsci e di presentarsi a noi in forme e oggetti che aspirano a farsi possedere e che desideriamo possedere. Come ad esempio il robot parlante da 3000 dollari Roxxxy che viene venduto come giocattolo sessuale e può assumere sei diverse personalità femminili (Frigid Farrah, Young Yoko, ecc.) in modo da soddisfare solitudini e desideri diversi. E’ solo un robot ma con caratteristiche tali (bambola sessuale realistica, dotata di organi sessuali e capace di procurare piacere a chi la usa) da allontanare chi lo usa da rapporti sociali e umani che sono per loro natura sempre più complicati e incerti. E’ in questa dipendenza dalla tecnologia che risiede la trappola. Perché una persona dovrebbe impegnarsi e rischiare nella ricerca di una relazione umana sapendo di avere in casa un robottino capace di soddisfare, in silenzio e senza tante pretese, i suoi desideri più strani perché inconsci e incomunicabili ad altri?
Lo stato di evoluzione dei robot attuali è tale da suggerire un futuro popolato da macchine intelligenti e capaci di apprendere ma anche di comprendere e soddisfare i nostri istinti umani. Nulla di nuovo se si fa mente locale al famoso giochino giapponese del Tamagotchi che aveva catturato attenzione, tempo e risorse di milioni di bimbi semplicemente sfruttando il bisogno empatico di supporto e cura che si instaurava tra loro e un oggetto di plastica. Oggi a vivere esperienze simili sono anche persone anziane cui vengono affiancati robot capaci di farsi passare da bambini o nipoti di cui prendersi cura. La persona anziana sa di avere a che fare con una macchina, ma tuttavia se ne prende cura ogni qualvolta essa manifesta degli stati d’animo espressi con lacrime, richieste di aiuto o intervento.
La seconda parte del libro è tutta rivolta all’analisi e alla lettura dei fenomeni legati alla pratica del social networking online. La sua visione sul fenomeno è radicale e frutto di una presa di coscienza sugli effetti negativi e sulle varie forme di dipendenza che ne sono derivate. La critica non è fine a sé stessa e non sembra suggerire la fuga dal social networking.
Sherry Turkle si mostra tollerante, incuriosita e interessata alle infine opportunità che le nuove tecnologie rendono possibili. Al tempo stesso suggerisce, quasi impone, l’urgenza di una riflessione critica sul fatto che il modo con cui ci raccontiamo online, attraverso i nostri profili, porta alla creazione di ‘robot’ virtuali con i quali dobbiamo poi fare costantemente i conti.
I nostri profili sono la personificazione di ciò che vorremmo essere e come tali ci offriamo alla socialità della rete interagendo con persone che usano i loro profili esattamente come lo facciamo noi. Ne deriva una relazione illusoria tra oggetti inanimati, perché fatti di software e online, che è condizionata fortemente dagli strumenti tecnologici che usiamo (internet, Google, Faceook) e che danno forma alle nostre vite presenti ma soprattutto a quelle future. I nostri profili in rete vivono per sempre e possono persino vivere una vita loro propria a nostra insaputa perché agiti dai contatti online e dagli strumenti dei social network e del web.
La parte forse più interessante del libro è quella nel quale, con molti racconti e citazioni dalla rete, l’autrice analizza le varie forme di comunicazione e interazione possibili online. Lo fa per sottolinearne la superficialità e la banalità e la loro incapacità a porre rimedio a problemi reali e molto diffusi come la solitudine e il bisogno di maggiore socialità. Il fatto che non si possa ottenere di più dipende dalla natura tecnologica ed elettronica della relazione stessa, costruita e costretta all’interno di dispositivi tecnologici, software applicativi, logiche e funzionalità predefinite che lasciano poco spazio alla creatività e innovazione umana.
Nonostante la percezione che questo tipo di relazioni siano in qualche modo insufficienti, milioni di persone vi si affidano come se fossero le uniche possibili. Ne deriva un’infelicità maggiore e diffusa perché sempre intermediata dalla tecnologia. E’ un'infelicità che sembra essere accettata passivamente con la scusa che non c’è tempo per agire diversamente. Una scusa che nasce prevalentemente dalla consapevolezza di quanto la tecnologia possa essere rapida nel fornirci una risposta, nell’inviarci un messaggio o nel metterci in contatto con qualcuno.
Nel libro molta attenzione è stata dedicata alle nuove generazioni di nativi digitali come autori e protagonisti della rivoluzione tecnologica in corso ma anche come le vittime candidate a subire gli effetti più deleteri perché incapaci a usare strumenti di riflessione critica e impossibilitati a fare scelte alternative. Gli strumenti tecnologici offrono ai bambini e ai ragazzi infine opportunità ma riempiono spesso un’assenza, quelle di genitori, insegnanti e adulti che hanno demandato alla tecnologia il compito di intrattenerli, divertirli, educarli e farli crescere. Peccato che, come ci spiega la Turkle con mille esempi, la tecnologia non fornisca risposte valide sufficienti per affrontare la solitudine, le difficoltà della crescita e le problematiche emotive tipiche dell’età adolescenziale. La tecnologia può al massimo offrire l’illusorietà della soluzione, può posticipare nel tempo la presa di coscienza sulla durezza e attualità della realtà, e in alcuni casi, può perfino accrescere i comportamenti narcisisti che spesso caratterizzano le personalità di giovani in via di maturazione.
Nel capitolo Crescere allacciati la Turkle descrive i ragazzi di oggi come “cresciuti con animaletti elettronici e sulla rete, in una vita del tutto allacciata, sono ragazzi che non considerano la simulazione un ripiego e guardano alla vita online come la cosa più normale del mondo dandola scontata come il tempo”. In questa loro percezione della vita online, del tempo e dello spazio “gli adolescenti di oggi non hanno meno bisogno dei loro predecessori di apprendere la capacità empatiche, di riflettere sui loro valori e sulle loro identità, e di gestire es esprimere i propri sentimenti. Hanno bisogno di scoprire se stessi, di tempo per pensare. Ma la tecnologia, messa al servizio di comunicazione ininterrotta, velocità telegrafica e brevità, ha cambiato le regole del vivere umano.”
Il libro, di quasi 400 pagine, si oppone a una recensione di poche righe che impedisce di condividerne la ricchezza di contenuti e spunti per una riflessione più ampia. Ciò che deve essere sottolineato è lo sforzo interpretativo fatto per comprendere alcuni fenomeni che caratterizzano il rapporto con la tecnologia e per inviare segnali di allarme a tutti, tecnofobi o tecnofili che essi siano, con l’obiettivo di salvare l’umanità nelle forme fin qui a noi note. Il testo enfatizza di più gli effetti negativi di quanto non faccia con quelli positivi. Questa è sicuramente una lacuna del libro che impedisce all’autrice di essere convincente sulle molte domande all’origine del libro stesso e che molti altri studiosi oggi si pongono. Ad esempio non sono state fornite risposte concrete al perché, se internet è una forza alienante forte e impositiva e se Facebook è generatore di malessere, milioni di persone continuino a usarli e a frequentarli.
Difficile pretendere dalla Turkle risposte definitive ma forse sarebbe stata necessaria un’analisi più attenta delle ragioni che spingono milioni di persone a vivere tecnologicamente le loro relazioni e che sembrano non avere alcuna ragione o motivo per smettere di farlo. Se questa è la realtà, la risposta potrebbe essere trovata nei benefici e/o vantaggi che da queste tecnologie sembrano derivare e che sono percepiti come indispensabili per il benessere quotidiano e personale.
Il lavoro della Turkle rimane comunque una pietra miliare nello studio degli effetti della tecnologia sulla vita delle persone, e farà da punto di riferimento per tutti gli studi che seguiranno. I molti spunti proposti possono servire per ricerche psicologiche e sociologiche, antropologiche e filosofiche che possono portare a nuove conoscenze sul mondo della tecnologia e a maggiore consapevolezza nel nostro modo di usarla, individualmente e socialmente.
Come conclusione è utile citare un concetto espresso a pagina 349 della versione italiana: “Una volta che i computer ci hanno connessi gli uni agli altri, una volta cioè che ci siamo allacciati alla rete, non c’è stato più bisogno di tenere occupati i computer. Sono loro a tenere occupati noi. E’ come se fossimo diventati la loro APP killer, la loro applicazione vincente”.
Bibliografia
- Il secondo io, edizioni Frassinelli
- La vita sullo schermo. Nuove identità e relazioni sociali nell'epoca di Internet, Apogeo
- La vita nascosta degli oggetti tecnologici, Ledizioni
- Il disagio della simulazione, Ledizioni