Il libro di Carlo Mazzucchelli 100 strategie analogiche per resistere al digitale (e allo smartphone) è pubblicato nella collana Technovisions di Delos Digital
Non limitarti a esprimere le tue idee politiche con un click, scegli di partecipare senza delegare alla tecnologia la difesa dei tuoi diritti e delle tue libertà
Nell'era liquida e tecnologica attuale dominata dalle interpretazioni della realtà e dalle fake news, da populismi emergenti e crisi di vario tipo che non sembrano avere fine, è entrata in crisi anche la democrazia con i suoi modelli di impegno politico e di partecipazione. Dal vuoto che si è creato sono emerse nuove modalità di fare politica che hanno dato vita a nuovi movimenti, di destra e di sinistra, che stanno reiventando la politica proponendo pratiche sempre più centrate sull'uso di strumenti e piattaforme tecnologiche.
In Internet meglio fare attenzione alla qualità
A rendere manifesto cosa stia cambiando nell'impegno politico sono state le primavere arabe per il ruolo assunto in esse dai nuovi media digitali e per l'uso che ne è stato fatto, sia da parte dei militanti sia da parte dei governi. Negli USA il movimento Occupy Wall Street si è affidato prevalentemente ai media tecnologici come strumenti organizzativi e di coordinamento delle loro attività e iniziative di protesta. La piattaforma di social networking di Facebook è stata usata per coordinare le proteste attraverso una pagina Occupy Together. Twitter è servita per tenere aggiornato il pubblico con cinguettii a scopo informativo. YouTube è stato usato per mostrare a tutti le registrazioni delle numerose brutalità esercitate dalla polizia sui manifestanti ma anche per trasmettere in diretta le assemblee del movimento.
In Italia il Movimento cinque stelle ha eletto la Rete a sua piattaforma di impegno e di lotta, di attivismo e raccolta fondi, di stesura collettiva delle leggi (piattaforma Rousseau) da proporre ma anche di selezione della classe dirigente. La disponibilità di strumenti tecnologici e il loro uso a scopi politici non sembra però in grado, da solo, di risolvere il grande deficit partecipativo e democratico di cui soffrono tutte le democrazie occidentali e non solo. Tutti si sentono o possono sentirsi coinvolti ma non tutti lo sono allo stesso modo. Tutti possono esprimersi usando i loro strumenti tecnologici che si prestano all'informazione, interazione e condivisione ma molti vedono la loro partecipazione ridotta a un semplice click. Esattamente ciò che si è fatto finora nelle democrazie moderne nelle quali l'elettore è chiamato periodicamente a esprimersi attraverso una croce da apporre a una scheda elettorale che spesso premia una schiera di nominati e di (già) eletti.
Rispetto al passato, grazie alla rivoluzione tecnologica e ai nuovi media, l'azione politica non è più impedita dal mancato accesso all'informazione o dall'assenza di strumenti per comunicare. Il rischio è semmai il surplus informativo e cognitivo a cui ogni cittadino-elettore è sottoposto e che gli impedisce di trovare spazi e intervalli per una riflessione da cui far scaturire qualcosa da dire o per decidere l'opzione del silenzio e dell'astensione. Una scelta quest'ultima particolarmente lungimirante se si pensa a quanto siano inquinate le comunicazioni e le narrazioni digitali da false notizie, da commenti fuori tema ma creati ad arte per sviare focalizzazione e riflessioni, da manipolazioni varie, purghe e cancellazioni (facile eliminare centralmente commenti, Like, profili o account).
Coloro che hanno scelto le piattaforme tecnologiche per esprimere la loro partecipazione politica e il loro essere cittadini, hanno probabilmente deciso di ritirare la delega al potere e a coloro che nelle sue varie espressioni e istituzioni dovrebbero rappresentarli. Lo strumento e il media tecnologico diventa un potente mezzo di democrazia diretta e partecipativa con il quale sentirsi militante a tempo pieno, sempre informato, sempre coinvolto e sempre attivo. Ma è uno strumento monco, che spara a salve, che non impedisce il formarsi di una classe dirigente espressione di nuove caste (la scelta di Di Maio come leader dei pentastellati ne è un esempio) e di ceti professionisti della politica che diventano tali anche grazie al controllo da essi esercitato sulle piattaforme tecnologiche in uso.
I nuovi movimenti politici emergenti (i primi in assoluto furono i Pirati danesi e poi tedeschi, ormai spariti definitivamente dalla scena politica) e l'uso da essi fatto della tecnologia sono sismografi (citazione dal libro di Oliviero Ponte di Pino Comico e politico) che segnalano sia la crisi della politica sia l'ambiguità della tecnologia come strumento di democrazia e di partecipazione. Un'ambiguità (tecnologia strumento di liberazione e di nuove forme di schiavitù) che sembra essere all'origine di ciò che è stato definito come populismo digitale e che dovrebbe suggerire a quanti ancora credono nella cittadinanza, nella partecipazione e nella democrazia di continuare a farlo ma con modalità che non si limitino al click o all'interazione digitale.
Il problema non sta nel dare alla democrazia una versione 2.0 o 3.0, ma nel suggerire, favorire, alimentare e sperimentare una partecipazione vera, non assorbita nel web, vicina e con persone reali, costruita con lo stare insieme fisico e la comunicazione corporea. Non solo attraverso l'informazione ma attiva, non semplicemente telecomandata da segnali digitali che assorbono tutta l'attenzione. Soprattutto non superficiale e sfuggente come quella che si esprime con risposte facili a domande altrettanto facili come quelle a cui ci si sta abituando online (vuoi tu essere felice? Ovviamente SI!).