2015 - Genitori tecnovigili per ragazzi tecnorapidi /

Genitori Tecnovigili, ragazzi tecnorapidi

Genitori Tecnovigili, ragazzi tecnorapidi

01 Aprile 2015 Redazione SoloTablet
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Quali sono i rischi reali

Il libro di Carlo Mazzucchelli Genitori tecnovigili per ragazzi tecnorapidi (2015) è pubblicato nella collana Technovisions di Delos Digital

Quali sono i rischi reali

La genitorialità espressa in un’era tecnologica come la nostra, intesa come rappresentazione di se stessi e dei propri figli e come funzione, è un argomento molto complesso che difficilmente si presta a riflessioni lineari o superficiali. La funzione genitoriale si esprime ed evolve in una relazione circolare genitori-figli che continua lungo tutta una vita ed è condizionata da numerosi fattori quali le storie personali dei genitori (le loro esperienze di genitorialità dei loro genitori), il contesto sociale in cui prende forma, le caratteristiche delle nuove generazioni (nativi digitali), il tipo di investimento fatto sui ragazzi e la disponibilità ad accettare cambiamenti e trasformazioni nello sviluppo della relazione con i figli.

Esprimere la genitorialità in tempi tecnologici significa predisporsi, anche psicologicamente, a riorganizzare le proprie vite in senso pragmatico, ad accettare nuovi stili di vita ed essere attori di cambiamento, confrontandosi con realtà poco conosciute e capaci di creare disagio e difficoltà nella relazione genitori-figli.

La vita dei genitori dei ragazzi Tecnorapidi si è svolta in un periodo di grandi cambiamenti tecnologici (personal computer, Internet, network, ecc.) che hanno dato avvio alle numerose rivoluzioni tecnologiche degli ultimi decenni ma non possono essere paragonati a quella attuale.  L’esperienza di tutti i giorni dei ragazzi delle nuove generazioni si è riempita di un numero elevato di nuovi gadget tecnologici che hanno cambiato la loro vita e forse, a detta di alcuni neuro-scienziati, modificato anche il loro cervello. Dal predominio della televisione e, per alcuni, del personal computer, si è passati alla onnipresenza di smartphone e tablet, connessioni Internet e social network, console di gioco e lettori musicali. Questi strumenti hanno cambiato anche la vita dei genitori rendendo per loro più complicato riuscire a comprendere gli impatti della tecnologia sui ragazzi. Ne è derivata una ignoranza diffusa sui comportamenti dei ragazzi e sui loro meccanismi cognitivi che ha fatto emergere la tendenza a ritrarsi pigramente in una genitorialità assente e poco incline all’impegno, a prendersi cura dei ragazzi e a dare loro sostegno in ambiti ritenuti scivolosi perché poco praticati e conosciuti.

Al contrario una genitorialità attiva e di qualità richiederebbe una presenza costante, un prendersi cura attento e vigile, un sostegno militante con l’obiettivo di ridurre al minimo i rischi degli effetti negativi della tecnologia e di crescere (evolvere) tecnologicamente in compagnai dei propri figli.

Anche se gli effetti imputati alla tecnologia sono oggetto costante di dibattiti e visioni contrastanti, la cronaca ha evidenziato da tempo problemi concreti e associabili alle tecnologie come l’obesità (problema associato anche ad un uso eccessivo della televisione), i problemi del sonno, il calo di attenzione e la difficoltà alla concentrazione, il calo prestazionale a scuola. Non tutti questi problemi sono imputabili strettamente all’uso (abuso) di prodotti tecnologici ma devono essere oggetto di attenzione e di intervento da parte di genitori che hanno deciso di esprimere una genitorialità Tecnovigile.

La maggior parte dei genitori si preoccupa del tempo che i loro ragazzi passano online e di porre dei limiti all’uso delle tecnologie.  Dimentica così che i rischi veri nascono dai comportamenti dei ragazzi e da ciò che fanno con la tecnologia. Per molti ragazzi Internet è uno strumento positivo ma alcuni adolescenti e bambini possono diventare vittime di abusi ed essere esposti a rischi potenziali. I genitori non hanno grande controllo sul mezzo Internet e le sue applicazioni, sono in difficoltà a definire regole e vincoli d’uso e costretti a osservare le vite online dei loro ragazzi condotte spesso in modo autonomo e solitario. Possono però sviluppare stili di vita e buone pratiche per mediare le relazioni esistenti tra i loro figli e le tecnologie. Possono assumere un approccio proattivo fondato sulla conversazione e il dialogo, uno restrittivo basato sulla imposizione di alcune regole e scelte o coinvolgente costruito su un affiancamento costante dei ragazzi nelle loro attività tecnologiche. Possono anche ricercare una sintesi tra i tre stili di vita esposti focalizzandosi sulla relazione con i propri figli nel suo insieme, nella vita reale così come in quella digitale.

Nel suo approccio olistico, tendente a creare un contesto e un clima familiare e domestico ottimale per una supervisione non invasiva ma percepita dagli stessi adolescenti come responsabile, coinvolgente e ‘affettuosa’, il genitore Tecnovigile deve puntare a prestare particolare attenzione a comportamenti di bullismo, al tipo di frequentazioni sociali online, alle varie forme di rappresentazione del sé usate, alla condivisione di foto e molto altro ancora. Il tempo passato online è importante ma molto di più lo è come questo tempo, anche quando è limitato, viene utilizzato. Di questo tempo i genitori devono essere partecipi in modo attivo per comprendere le esperienze tecnologiche dei loro figli vivendole con loro, parlandone e sperimentarle in modo da sfruttarne le potenzialità e limitarne gli effetti negativi.

L’obiettivo non può essere solo il controllo o la stretta sorveglianza.

L’attenzione non può essere rivolta solo al ragazzo ma anche alle comunità, ai gruppi e alle reti sociali che frequenta. Online, molte esperienze sono condivise con numerose persone con caratteristiche personali (età, genere, etnicità, cultura, ecc.), abitudini, espressioni e comportamenti diversi. Essere a conoscenza di ciò che i ragazzi fanno quando sono online aiuta a comprendere le loro abitudini e i loro comportamenti ma anche a conoscere chi frequentano e quando lo fanno. Una presenza genitoriale può cambiare i comportamenti di queste persone dando forma a esperienze e interazioni online più serene e sicure. Questa presenza deve essere esercitata con la convinzione che nella vita virtuale rischi e pericoli sono sempre presenti ma che i contenuti digitali possono anche essere assolutamente sicuri, piacevoli, istruttivi e ricchi di opportunità. Esattamente come lo sono molte situazioni e ambienti del mondo reale.

Nella vita reale i pericoli sono l’abuso di alcool, il fumo, la droga e la pornografia. Nella vita virtuale online non ci sono abusi di sostanze ma non cambia la pericolosità dei rischi. Le vulnerabilità si manifestano nella forma di furto di identità e credenziali personali, di uso inavvertito di malware e di contenuti inappropriati, di comportamenti di cyberbullismo e sexting e di abusi da parte dei numerosi predatori online che abitano la rete.

Prevenire i rischi associati ad un abuso della tecnologia o da una sua dipendenza non è semplice, soprattutto se non si vuole osservare e porre attenzione ai comportamenti e alle azioni dei ragazzi e conoscere le loro pratiche di vita virtuale. I segnali che indicano l’emergere di potenziali rischi e sofferenze sono diversi. Tutti pongono interrogativi, obbligano a nuove responsabilità e decisioni e suggeriscono interventi e maggiore cura genitoriale.

Gli elementi che dovrebbero sollevare interrogativi e preoccupazione dipendono sia da situazioni esperienziali dei ragazzi sia dalle percezioni che ne derivano rispetto all’uso delle tecnologie, al tempo a loro dedicate e al tempo che manca per fare cose tradizionali o alternative.

La nuova realtà tecnologica con cui i genitori Tecnovigili sono chiamati a confrontarsi suggerisce di porsi nuove domande e di interrogarsi sui comportamenti dei loro figli, sul ruolo e lo stile di vita genitoriale da assumere e sulla distribuzione del tempo che i loro ragazzi Tecnorapidi dedicano alla interazione con la tecnologia:

  • Comportamenti sintomatici dell’emergere di problematicità: bisogno compulsivo di essere online e di avere accesso ad un dispositivo personale, calo di interesse per attività offline, calo prestazionale scolastico, problemi con il sonno e i pasti, reazioni psicologiche e stati d’umore dominati da irritazione, depressione, sonnolenza, ansia, ecc. 
  • Tempo dedicato all’irresistibile6 schermo: oggi i ragazzi sembrano incapaci di staccarsi dai molteplici schermi che animano le loro vite e di separarsi per un momento dalla tecnologia. Qual è il punto di  non ritorno che determina il passaggio da un beneficio ad un danno potenziale? Quando è necessario disconnettersi?

 

  • Tempo dedicato al videogioco: lasciati soli molti ragazzi passano la maggior parte del loro tempo immersi in videogiochi e avventure virtuali. Quando è necessario intervenire per limitare il tempo di gioco? 
  • Tempo dedicato alla navigazione in Internet e sicurezza: la Rete è piena di contenuti spazzatura e non appropriati per i ragazzi. Come proteggerli senza impedire lor di trarre beneficio dalla navigazione in rete? Come renderli consapevoli della serietà e pericolosità dei rischi a cui possono andare incontro? Come convincerli a seguire i suggerimenti degli adulti? 
  • Tempo sottratto alla tecnologia: la dipendenza tecnologica è tale da far dubitare che esista ancora un tempo ludico nel quale la tecnologia non esista. L’istantaneità e facilità con cui la tecnologia regala divertimento ludico e distrazione mette a rischio il gioco, il passatempo e altre forme di attività tradizionali. Se i ragazzi non riescono a staccarsi dalla tecnologia è possibile continuare a credere nella loro creatività e capacità produttiva nell’individuare nuove forme di intrattenimento e divertimento senza ricorrere a mezzi tecnologici? 
  • Tempo sottratto alla vita sociale: molti ragazzi sembrano sempre più interessati alla interazione con la tecnologia che al gioco sociale con gli amici. Ci sono rischi in termini di socializzazione e sviluppo di capacità utili per muoversi in ambiti e scenari sociali? Quanto può pesare l’assenza di incontri faccia a faccia con persone reali nello sviluppo della personalità e dell’identità del ragazzo? 
  • Tempo sottratto allo studio tradizionale: l’apprendimento si sta facendo sempre più digitale, anche a scuola. Il tablet è entrato nelle aule scolastiche sostituendo il libro e dando forma a nuove metodologie didattiche. Quanto può pesare, nell’apprendimento, la sparizione di strumenti tradizionali e quali comportamenti indicano potenziali rischi emergenti? 
  • Difficoltà di concentrazione: la tecnologia offre così tante distrazioni da rendere difficile ai ragazzi mantenere alto il livello di attenzione e di concentrarsi. Spesso i dispositivi tecnologici sono usati come strumenti di lavoro e di studio ma la loro natura poli-funzionale offre mille opportunità di distrazione. Come è possibile intervenire per tenerli focalizzati e concentrati nel completamento delle loro attività primarie, di lavoro o di studio? 
  • Presenzialismo sui social network: molti atteggiamenti dei ragazzi che frequentano i social network sono determinati dalla paura di perdersi qualcosa. Per non correre questo rischio molti di loro sono costantemente online e fanno un uso compulsivo di Internet e di media sociali come Facebook. Cosa possono fare i genitori per mitigare queste forme di compulsione? Quali devono essere i comportamenti genitoriali con ragazzi di età diverse e appartenenti a nuclei generazionali differenti? 
  • Evoluzione continua della tecnologia: la tecnologia continua a evolvere e a fornire ai ragazzi nuove opportunità di interazione e di vita digitale. Ogni nuova tecnologia può portarsi appresso nuove tipologie di rischio e nuove preoccupazioni. Cosa possono fare i genitori Tecnovigili per venirne a conoscenza per tempo in modo da intervenire per prevenire o da attrezzarsi per il futuro? 
  • Cambia il ruolo dei genitori: la tecnologia non sta sostituendo soltanto oggetti ma mettendo a rischio anche il ruolo che adulti, insegnanti e genitori hanno nell’educazione dei ragazzi. Aumenta il tempo dedicato ai computer, a Internet e ai social network e diminuisce quello dedicato alle relazioni e interazioni inter-generazionali. Cosa fare per trovare un ruolo diverso nell’educazione dei ragazzi garantendo loro la libertà di sperimentare i loro mondi digitali senza effetti negativi sulla loro formazione e senza rischi? 

Trovare delle risposte alle domande fin qui elencate non è facile. Impegnativo è anche acculturarsi e tenersi aggiornati sulle nuove tecnologie che invadono la vita dei Tecnorapidi, modificano i loro comportamenti e stili di vita, danno forma a nuovi linguaggi e ne condizionano la vita cognitiva, emotiva e sociale.

Il primo obiettivo a cui devono puntare i genitori aspiranti Tecnovigili è di acquisire tutte le conoscenze utili ad avere una visione chiara e consapevole dei molteplici rischi che nascono come effetti collaterali dall’uso della tecnologia e della loro mutazione nel tempo.  

Rischi reali e sfide genitoriali

Alcuni dei più comuni rischi che corrono i ragazzi e sui quali i genitori Tecnovigili dovrebbero documentarsi e riflettere per impostare le loro strategie genitoriali sono:

  • Eccessiva esposizione allo schermo tecnologico
  • Videogiochi
  • Frodi e consumismo digitale
  • Furto di identità
  • Predatori sessuali e pedo-pornografia
  • Dipendenza tecnologica
  • Suicidi da social networking
  • Sexting
  • Cyberbullismo e bullismo digitale
  • Stalking digitale
  • Solitudine dei ragazzi Tecnorapidi

Per ognuno di questi rischi potenziali ho fornito di seguito una descrizione dettagliata e arricchita con informazioni tratte da studi e ricerche condotte negli ultimi anni per investigare un fenomeno, quello dei rischi associati alla tecnologia, sempre più diffuso e preoccupante per i suoi effetti negativi e le conseguenze che possono avere sulla vita, sulla crescita e sul benessere delle nuove generazioni di nativi digitali. 

Esposizione agli irresistibili schermi

La maggior parte delle persone ha difficoltà a riconoscere che gli schermi tecnologici possano generare dipendenza e molti genitori sembrano poco preoccupati dell’uso che di questi schermi fanno i loro figli. Una esposizione eccessiva agli schermi (display televisivi, smartphone, tablet, ecc.) è ritenuta socialmente accettabile dai più perché collegata alla pervasività dei nuovi dispositivi mobili e alla impossibilità di farne a meno nelle pratiche di vita quotidiane. L’attaccamento ossessivo delle nuove generazioni di nativi digitali a schermi di ogni tipo suscita facilmente reazioni di rimprovero da parte degli adulti ma difficilmente diventa oggetto di preoccupazione o di intervento attivo. Manca la consapevolezza che un tempo elevato passato davanti a uno schermo e l’assenza di interazione sociale nella vita reale non sono una espressione di libera attività ma il sintomo di un potenziale problema.

La realtà raccontata da numerose indagini e studi evidenzia un’esposizione a qualche tipo di schermo che nella popolazione giovanile raggiunge il 75% del tempo di veglia. A illustrare in modo plastico e forse preoccupante il ruolo che lo schermo ha assunto nella vita dei giovani è stata una indagine condotta da un centro studi internazionale americano dell’Università del Maryland che ha chiesto a 1000 giovani di spegnere i loro dispositivi tecnologici per un giorno e ne ha poi sondato le reazioni a caldo. La maggioranza dei giovani non è riuscita a tenere spento il dispositivo per l’intera giornata. Tra quelli che ci sono riusciti la maggioranza ha usato il termine dipendenza per spiegare la sofferenza patita per l’assenza di una connessione alla Rete e l’impossibilità di usare il dispositivo, adducendo come spiegazione che lo smartphone e il social network sono diventati estensioni essenziali della loro vita. Tutti i giovani coinvolti sono stati incapaci di riempire il tempo risparmiato con altre attività o iniziative preferendo crogiolarsi nella pigrizia e nella noia. Senza mezzo tecnologico ad alcuni sono bastati quindici minuti per scoprire di non avere alcuna idea su cosa fare di loro stessi lontani da uno schermo tecnologico che avrebbe al contrario offerto loro connessione, sicurezza e conforto.

La tecnologia viene vissuta come una via di fuga a anche come strumento sociale. I ragazzi che hanno saputo sfruttare positivamente la giornata senza tecnologia hanno evidenziato una maggiore capacità a vivere socialmente i contatti familiari e amicali e la percezione concreta che lo schermo tecnologico possa distrarre da relazioni vere.

Psicologi, esperti, educatori e genitori non hanno ancora trovato un accordo consensuale su quale dovrebbe essere il limite temporale di esposizione ad uno schermo da parte di un bambino/adolescente. Tutti sono però concordi nel segnalare un eccessivo uso (abuso, uso patologico) di dispositivi dotati di schermo: iPod, computer, televisione, smartphone, phablet, tablet, console per videogiochi. Secondo alcuni studi universitari i bambini che passano più di due ore al giorno (in alcuni paesi le ore passate davanti allo schermo sono 6-8) davanti ad uno schermo televisivo o di computer sono destinati a soffrire di  difficoltà piscologiche, a prescindere dalla loro maggiore o minore attività fisica e lontana dalla tecnologia. Uno studio del 2015 condotto su una popolazione di 10000 giovani dai 16 ai 19 anni ha rilevato che più alta è l’esposizione allo schermo prima di coricarsi e minore è la qualità del loro sonno. 

Gli schermi hanno invaso la vita di tutti ma sembrano svolgere un ruolo cognitivo, emotivo e sociale particolare nella mente delle nuove generazioni e nel determinarne atteggiamenti e comportamenti, a volte anche violenti. Uno dei fenomeni indotti da questa eccessiva dipendenza dallo schermo è noto come “hikikomori5”, un nome giapponese perché usato in Giappone per descrivere l’atteggiamento di persone, in particolare giovani (20%), che si ritirano nelle loro stanze private per mesi impegnando il loro tempo a guardare la televisione, a navigare in rete e a video-giocare (Nintendo, PlayStation, Xbox). 

Ad oggi non esiste alcuna ricerca che abbia dimostrato la pericolosità psichiatrica di dipendenza da schermo ma il fenomeno è tale da attirare l’attenzione degli studiosi e non solo dei genitori. Il tempo trascorso davanti ad uno schermo ha cambiato il tempo libero dei ragazzi, il loro accesso all’informazione e all’apprendimento. Una ricerca condotta nel 2010 evidenziava che a  dieci anni, ben prima che arrivassero smartphone e tablet, i ragazzi erano già stati esposti ad almeno cinque tipologie di schermi diversi.  

All’età di sette anni i ragazzi della generazione Z hanno già collezionato un anno intero di tempo, calcolato sulle 24 ore giornaliere, interagendo con schermi digitali ricreazionali e ludici. Il dato evidenzia il rischio a cui sono sottoposti i più giovani e la necessità di definire alcune regole con l’intento di prevenire o ridurre i rischi di tipo medico, fisiologico e psicologico. In particolare il rischio maggiore sembra essere quello che interessa i bambini fino al secondo/terzo anno di età che, secondo numerosi psicologi e pediatri, non dovrebbero essere esposti a schermi tecnologici. Secondo alcuni pediatri i dispositivi mobili dovrebbero essere proibiti fino al compimento del dodicesimo anno di età. In alcuni paesi come Francia, Canada e Australia, questa preoccupazione si è tradotta in campagne e iniziative governative tendenti a suggerire di vietare ai più piccoli anche la televisione digitale. Taiwan, Cina e Corea del Sud impongono ai genitori l’affiancamento dei bambini quando sono davanti ad uno schermo digitale, sottoponendoli al rischio di multe nel caso in cui non lo praticassero. 

Il rischio di effetti negativi da eccessiva esposizione allo schermo è tanto più grande quanto più aumenta il tempo passato davanti a un display. Già oggi in alcuni paesi le indagini raccontano di bambini tra i 3/4 anni che passano più di tre ore al giorno davanti ad uno schermo. Le ore salgono a quattro per bambini tra i 5-7 anni, a 4/5 ore per ragazzi tra gli 8 egli 11 anni e a 6,5 ore per i teen-ager. Le ore passate online aumentano con il crescere dell’età e la pratica online diventa una esperienza sempre più solitaria, spezzata oggi dalla socializzazione in mondi virtuali e digitali resa possibile dalla pervasività dello strumento smartphone. 

Anche se non esistono prove certe (scientifiche) su una patologia legata ad una esposizione esagerata allo schermo e non ci sono analisi condivise tra gli studiosi sulla sua esistenza, esistono evidenze empiriche che segnalano alcuni rischi potenziali come quello della dipendenza. Ad esempio si sa che, quanto prima un bambino viene esposto ad uno schermo digitale, tanto più grande sarà l’influenza degli schermi nella sua vita futura. E’ come se l’uso/abuso di uno schermo finalizzato al divertimento introduca dei cambiamenti chimici (rilascio del neurotrasmettitore noto come dopamina) duraturi nel cervello del bambino, esattamente come li può causare l’uso prolungato di zucchero e cocaina. 

La vulnerabilità a sostanze che possono creare assuefazione e dipendenza è estremamente variabile da un individuo ad un altro. Non esistono per il momento prove scientifiche certe sulla dipendenza da schermo ma i neuroscienzati sottolineano come la produzione giornaliera di dopamina, come effetto di una prolungata esposizione a schermi digitali, possa modificare il sistema di piacere e ricompensa ad essa associato, producendo al tempo stesso maggiore dipendenza, perdita di controllo degli impulsi e ulteriori potenziali cambiamenti di tipo neuro-chimico. Un meccanismo che innesca il bisogno neuronale di più dopamina e che può essere soddisfatto solo con l’aumento della esposizione ulteriore ad uno schermo digitale. Un circolo vizioso che può portare a conseguenze serie e manifestarsi in forme di vera e propria dipendenza. 

Un rischio collaterale associato ad un eccessiva esposizione visuale può generare un falso senso di competenza legato ai successi acquisiti durante un videogioco o nell’uso di nuovi strumenti e applicazioni digitali. Questi successi rischiano di rimanere virtuali così come lo sono i mondi nei quali sono state sperimentate le nuove competenze. Un altro rischio, evidenziato da alcuni studiosi, è la perdita di pensiero concreto e astratto come effetto collaterale del ricorso costante a mezzi tecnologici e alla frequentazione di mondi virtuali. A questa perdita contribuisce anche la scuola, sempre più tecnologizzata e legata a schermi di LIM, tablet e personal computer. L’arrivo del tablet e la sua trasportabilità e usabilità in ogni luogo e tempo, ha dato forma a nuove abitudini come quella di portarsi il dispositivo tecnologico a letto. Ne deriva una difficoltà nel sonno che dipende dall’emissione di luce blu dal dispositivo e che può portare all’indomani all’incapacità di tenere alto il livello di attenzione e di concentrazione. 

Secondo l’American Academy of Pediatrics and the Canadian Society of Pediatrics, i rischi derivanti da una eccessiva esposizione a dispositivi tecnologici con schermi digitali e dall’uso che ne può essere fatto sono almeno dieci: 

  • Deficit dell’attenzione, ritardi cognitivi, accresciuta impulsività, perdita dei autocontrollo e difficoltà nell’apprendimento come conseguenza di uno sviluppo cerebrale determinato da contesti sempre più tecnologici
  • Sviluppo fisiologico rallentato a causa de movimenti ripetitivi e limitati indotti dalla interazione con dispositivi tecnologici
  • Obesità e longevità limitata
  • Privazione e disturbi del sonno
  • Disturbi mentali evidenziati da sintomi depressivi, ansia, deficit dell’attenzione, autismo, bipolarità, psicosi e comportamenti problematici
  • Aggressività, come risultato di una eccessiva esposizione a scene di violenza online e sullo schermo
  • Demenza digitale che si manifesta con incapacità a concentrarsi e perdita di memoria
  • Dipendenza
  • Emissione di radiazioni

Videogiochi

Uno degli ambiti più problematici in termini di potenziale dipendenza e effetti collaterali dannosi come violenza e aggressività è sicuramente quello dei videogiochi e dei giochi online. Molti di questi giochi hanno carattere e sceneggiature innocenti, ambientazioni storiche e di puro intrattenimento, altri sono violenti, pornografici e pieni di linguaggi e scene poco appropriate per un pubblico giovanile. Alcuni prevedono il gioco in solitaria, altri quello con amici e contatti con i quali condividere ruoli e profili diversi e adattati alle preferenze personali e alle esperienze condivise mentre si gioca.

Intervenire per impedire o bloccare l’uso di determinati videogiochi non è semplice dall’esterno. Bisognerebbe poter essere uno dei giocatori per costruirsi delle esperienze dirette e intervenire in seguito dettando alcune linee guida, impedire il gioco e/o dirottare il ragazzo su giochi o siti web alternativi e in grado di offrire un divertimento coerente con le linee guida adottate. In alternativa è possibile intervenire introducendo filtri e controlli parentali capaci di restringere alcune forme di interazione online, eliminare alcune opzioni(ad esempio la chat), bloccare alcune funzionalità.

Il fenomeno della dipendenza da videogioco, studiato da tempo da psicologi, clinici, media e neuroscienziati ma ignorato da sociologi e  scienziati umanistici, sarebbe meglio descritto con i numerosi racconti e le testimonianze dei Tecnorapidi che ne hanno fatto esperienza. Soffermarsi sugli aspetti puramente medici e diagnostici, psicologici e neuroscientifici per cercare di spiegare il fenomeno non è sufficiente a comprenderne la complessità, soprattutto come pratica compulsiva assimilabile, nella su ricerca di mondi virtuali e paralleli, a quella legata all’assunzione di droghe, dall’LSD in poi.

Il videogioco come pratica individuale e sociale non è negativo in sé ma lo può diventare a causa di pratiche compulsive che possono creare dipendenza. Benché la tesi di una connessione tra videogiochi e violenza non sia da tutti condivisa, l’atteggiamento aggressivo è spesso considerato un effetto collaterale derivato da una eccessiva pratica di gioco online e che porta alla emulazione, imitazione e replicazione dei modelli del videogioco nella realtà della vita quotidiana.

La dipendenza da videogioco è ancora oggi argomento contraddittorio e di dibattito tra scienziati che si occupano di dipendenza da alcool, sostanze, gioco, ecc. Se ne parla fin dagli anni novanta e dal diffondersi dei giochi MUD (multi-user dungeons) ma nessuna evidenza scientifica permette di parlare della dipendenza da videogioco come di un disordine mentale. I media sono comunque pieni di storie di dipendenza da videogame e, in alcuni paesi, sono sorte anche delle cliniche dedicate alla cura dei sintomi da dipendenza indotta dall’eccessivo uso di videogiochi.

Il genitore Tecnovigile, nella sua osservazione dei comportamenti dei ragazzi Tecnorapidi, deve saper distinguere tra un uso attivo e compulsivo del media che può generare comportamenti con effetti negativi (non necessariamente la dipendenza) e un uso sociale contestualizzato e dipendente da fattori culturali e che vede in campo un ruolo intelligente e sofisticato giocato dal ragazzo nella sua interazione con il videogioco e lo schermo. L’osservazione attenta dei due comportamenti può servire a evidenziare se e quanto un video gioco possa produrre effetti positivi o dare origine a situazioni critiche e di problematicità.

La capacità di valutare i diversi comportamenti può servire a muoversi attraverso l’immensa letteratura che esiste sul tema e che vede prevalere la visione negativa del videogioco come strumento tecnologico e ludico capace di generare effetti negativi e fatti violenti come quelli numerosi già accaduti nelle scuole americane. Una visione non condivisa da altri ricercatori e psicologi che ritengono la violenza di molti videogiochi come simulata e praticata in contesti che i giocatori riconoscono come virtuali e come tale non reale. La conoscenza delle varie teorie a confronto sulle cause della violenza come effetto di una eccessiva pratica da videogioco, aiuta a comprendere come il fenomeno della violenza giovanile sia legato a fattori sociali, culturali, tecnologici, emotivi e individuali dalle inter-relazioni complesse che non possono essere analizzate in isolamento. L’effetto negativo non è l’unico risultato possibile.

Molti studiosi sottolineano al contrario i benefici e gli effetti positivi del videogioco in termini di sviluppo delle attività e capacità cognitive, spesso collegate alle modalità di gioco che richiedono processi di pensiero complessi, capacità di pianificazione e di elaborazione strategica, capacità di giudizio e decisionale. Il tutto in un contesto che obbliga a una elaborazione rapida delle informazioni, a valutare in modo efficiente opzioni diverse e alternative e a sviluppare nuove abilità. La valutazione positiva dei videogiochi porta alcuni studiosi a proporne l’uso in funzione educativa e di apprendimento. I loro studi evidenziano anche il ruolo fondamentale del genitore e dell’insegnante nel trasformare il videogioco in uno strumento capace di produrre effetti positivi. Questo ruolo è associato all’affiancamento e al coinvolgimento nel gioco, sia in casa che a scuola e può contribuire a ridurre il rischio degli effetti collaterali da videogioco e a percepire anche il livello di dipendenza dallo stesso da parte dei ragazzi.

I più esposti al rischio dipendenza sono gli adolescenti di genere maschile, in particolare quelli con personalità impulsive, poco socievoli, infelici, problematici e in crisi con se stessi per mancanza di autostima e predisposti ad accettare scene di violenza. I sintomi della loro dipendenza sono riscontrabili in un deficit dell’attenzione e difficoltà nella socializzazione, in depressione, ansia e iperattività. Lo stress psicologico e sociale associato alla dipendenza si manifesta nella forma di minori performance scolastiche, minore tempo dedicato alle attività da tempo libero, disturbi del sonno e pensieri di suicidio.

Non tutte le dipendenze da videogioco sono uguali. Alcune sono conseguenza  del tempo di gioco eccessivo ma altre del tipo di videogioco e del livello più o meno alto di scene di violenza, di decisioni da prendere e di combattimenti.

La dipendenza non è una conseguenza obbligata per tutti i videogiocatori.

I ragazzi che giocano per puro divertimento e/o per socializzare sono meno soggetti al rischio dipendenza. La motivazione al gioco fa la differenza. Se il gioco viene perseguito come fuga dalla realtà e dai problemi personali, per sfuggire allo stress della vita reale e puntare al successo e alla conquista, i mondi virtuali del videogioco possono trasformarsi in una trappola rendendo i videogiocatori vulnerabili alla dipendenza. La vulnerabilità nasce spesso da fattori legati al contesto ambientale in cui sono inseriti i ragazzi e alla loro difficoltà a socializzare: mancanza di esperienze di successo nella vita reale, problemi scolastici sia sociali che di risultati, separazione o divorzio dei genitori, difficoltà relazionali con loro anche a causa di un loro supporto educativo e formativo insufficiente, dipendenza tecnologica dei genitori e familiari.

Benché il tema della dipendenza da videogioco sia trattato da anni, soprattutto dai media, gli studi scientifici sono ancora scarsi. Quelli condotti, principalmente da psicologi, hanno evidenziato come problemi principali l’aumento degli stati ansiogeni, la depressione, le fobie sociali e le scarse prestazioni scolastiche. L’eccessivo tempo dedicato al videogioco è causa di solitudine che a sua volta induce a passare più tempo in compagnia dei personaggi virtuali del videogioco o degli avatar di altri giocatori in ambienti multiplayer. 

Una ricerca condotta in Germania ha evidenziato un tempo di gioco medio giornaliero tra i 60 minuti e i 200, a seconda delle diverse classi di età e una propensione alla dipendenza associabile solo al 3,9% dei ragazzi coinvolti nel campione (1,3% dipendenti e 2,6% a rischio). I due fattori determinanti sono stati individuati nel genere maschile del giocatore e nell’essere parte di famiglie con un singolo genitore. I ragazzi dipendenti da videogioco tendono ad esserlo nel tempo. Quelli che non lo sono hanno in genere minori difficoltà a socializzare, sono ben integrati a scuola e con i compagni.

Il rischio dipendenza per i ragazzi a rischio, a prescindere dal tipo di supporto educazionale fornito dai genitori. A nulla serve anche un approccio mirato a vietare il gioco o a nascondere la console Xbox, il tablet o il computer.

I dati di questa ricerca sembrano dare ragione a coloro che sostengono insufficiente una analisi puramente psicologica del fenomeno e suggeriscono il ricorso a studi di tipo sociologico. Un aiuto più concreto per prevenire o curare la dipendenza verrebbe secondo questi studi dal focalizzare l’intervento genitoriale sui problemi che hanno creato le motivazioni al gioco e reso più facile la compulsività e la dipendenza.

Aiutare i ragazzi ad affrontare i loro problemi e lo stress che ne deriva, a superare le paure da isolamento, a vincere sfide e confronti nella vita reale invece che in quella virtuale sembra essere l’approccio più adeguato per i genitori Tecnovigili. L’approccio non è semplice, comporta molta pazienza e comprensione e deve confrontarsi con comportamenti che nascono dalla ricerca del piacere e del divertimento immediato, delle cose più semplici e facili da ottenere. Comportamenti normali sia per persone giovani che adulte. All’adulto spetta la responsabilità di mostrare la complessità della vita reale e la maggiore felicità che deriva dall’essere riusciti a gestirla.   

Frodi e consumismo digitale 

I giovani consumatori nativi digitali rappresentano uno dei segmenti di mercato più ricchi e promettenti del momento. Passano più tempo online, sono sempre connessi, si influenzano a vicenda e condividono stili di vita, atteggiamenti e comportamenti  mentali, consumi, passioni e reti sociali. Hanno un atteggiamento ottimista e sono aperti al cambiamento, soprattutto se sollecitato da contatti e relazioni nate e sviluppate nei mondi virtuali della Rete. La loro frequentazione degli spazi tecnologici e digitali online li rende un target ideale per agenzie marketing e grandi marche che puntano a instillare loro nuove abilità e nuovi comportamenti consumistici (soddisfazione dei bisogni ma anche acquisto indiscriminato di prodotti, consumo d’occasione e conviviale, ecc.), sfruttando le loro vulnerabilità, la mancanza di esperienza e scarsa conoscenza in termini di consumo e processi decisionali di acquisto. 

Molti giochi, ma anche il Web, i social network e altri spazi sociali della Rete, sono usati come veicoli commerciali, subdoli e potenti per ridefinire i comportamenti attraverso occasioni di consumo e esperienze utente, per vendere prodotti e indurre al consumismo, prevalentemente ludico e tecnologico. Lo sanno molto bene i produttori di videogiochi così come i proprietari dei grandi marchi con audience popolose tra i nativi digitali. A indurre alla spesa e al consumo sono personaggi protagonisti del videogioco, situazioni e oggetti vari, tutti utilizzati per accompagnare il giocatore o il navigante della Rete e dei social network nell’acquisizione di nuove opportunità e funzionalità di gioco o più semplicemente per suggerire l’acquisto di gadget e nuovi prodotti. Prevenire significa in questo caso conoscere la specificità delle nuove generazioni di consumatori in termini di valori, comportamenti di acquisto (, motivazione e capacità decisionale e spiegare ai ragazzi le trappole e le insidie che si celano dietro comportamenti virtuali insospettabili perché percepiti come non pericolosi. 

Per essere in grado di farlo bisogna avere compreso quanto la tecnologia e la cultura digitale abbiano mutato lo scenario nel quale sono immersi i ragazzi Tecnorapidi e gli impatti che ne sono derivati sui comportamenti di consumo. Significa fare i conti con nativi digitali sempre interconnessi e iperconnessi, impegnati in attività multitasking su piattaforme diverse come Facebook, Twitter e WtahsApp, attraverso l’uso di dispositivi diversi come smartphone e tablet (piegati a nuovi significati e utilizzi diversi dalla semplice comunicazione telefonica), impegnati in conversazioni frammentate e brevi ma senza fine con reti sociali di contatti con i quali sono disponibili a condividere tutto, entusiasti della tecnologia, sempre disponibili a condividere e felici di essere coinvolti. 

Queste caratteristiche fanno del nativo digitale un target perfetto per le attività del marketing attuale e di Marche alla ricerca di nuove opportunità ma soprattutto intenzionate a sfruttare gli effetti della tecnologia sulla socialità e sulle abitudini consumistiche dei nativi digitali nella loro veste di consumatori.  Non è un caso che le grandi marche abbiano aumentato i loro investimenti in iniziative di marketing digitale rivolte a generazioni di nativi digitali, sempre più influenzati dalla tecnologia e con un potere di acquisto in costante crescita. 

Grazie a Internet i nuovi potenziali clienti nativi digitali possono essere facilmente raggiunti, in modalità completamente nuove, attraverso il gioco, la pubblicità, le pagine o i gruppi social associati ai marchi dei prodotti. L’ingaggio avviene attraverso il coinvolgimento in nuove esperienze utente associate al Brand o al marchio e sfruttando il bisogno di socializzare queste esperienze e di manifestare senso di appartenenza (alla marca) e esibire nuovi stili di vita (esposizione dei marchi). Molti produttori e grandi marche sponsorizzano giochi online attraverso strategie marketing, non necessariamente commerciali, ma inclusive, coinvolgenti, legate a personaggi e mascotte creati appositamente, ad ambienti personalizzati usati per veicolare loghi, valori, messaggi e prodotti di una Marca.

La trasformazione dei ragazzi delle nuove generazioni di nativi digitali in potenziali consumatori è un processo in corso e un obiettivo concreto di molte aziende che hanno compreso il ruolo e l’utilità delle tecnologie digitali nel creare nuovi potenziali segmenti di mercato. L’investimento è motivato dalla percezione di se stessi che gli adolescenti hanno e dalla volontà di trattarli come consumatori maturi, indipendenti (non influenzabili da i genitori) e capaci di scelte autonome. Questo investimento passa attraverso cambiamenti nel modo di pubblicizzare un prodotto, ad esempio ricorrendo a testimoni sempre più giovani, nell’eliminare ogni impedimento al consumismo da parte delle nuove generazioni ma anche in una comunicazione commerciale volta a intercettare e a sfruttare le vulnerabilità dei teen-ager in termini di sessualità, violenza, relazioni e rappresentazione del sé. L’obiettivo finale è quello di capitalizzare le insicurezze e i dubbi personali dei ragazzi, disposti a qualsiasi cosa pur di essere cool e trendy, offrendo loro prodotti, marche e marchi come la soluzione ai loro problemi o come strumenti efficaci per dare forma ai loro stili di vita e aspirazioni sociali.

Molte delle attività marketing e commerciali sono perfettamente legali e trasparenti ma alcuni approcci, strategie e messaggi usati svelano quanto possano essere subdole e rischiose per persone giovani che non hanno ancora sviluppato una sufficiente autonomia di giudizio e di riflessione critica. Sui social network molte grandi marche si muovono creando pagine, gruppi o comunità presidiate da cool hunter, infiltrati appositamente nei nuovi mondi digitali con l’obiettivo di far emergere e diffondere nuove tendenze e stili di vita, in genere finalizzati all’acquisto di prodotti. L’approccio è intelligente e completamente coerente con le nuove tendenze nell’uso della tecnologia quali i linguaggi usati, la tendenza alla condivisione, la recensione e il passaparola, la socialità di gruppo (rete), l’attivismo in rete, l’emulazione nei comportamenti e negli stili di vita e cultura.

Gli effetti marketing e commerciali sulle nuove generazioni sono diversi e collegabili a problematiche tipiche quali la sessualità e il rapporto con il proprio corpo, l’abuso di sostanze come bevande, tabacco, alcool e droghe. Le difficoltà sperimentate da molti ragazzi con la sessualità e un sano rapporto con se stessi, sono esacerbate da messaggi marketing finalizzati a offrire loro immagini stereotipali e impossibili di figure maschili o femminili perfette, magre, longilinee e sessualmente attraenti, un modo poco nascosto per segnalare la stretta connessione tra successo sociale, bellezza fisica, sex appeal, popolarità, potere, successo e felicità.

I ragazzi sono target di messaggi marketing anche da parte dei produttori di tabacco e di bevande alcoliche che puntano a coltivare la loro fedeltà a una marca o a un prodotto con effetti non certamente positivi per loro. I messaggi sono spesso veicolati attraverso personaggi pubblici e celebrità televisive impiegate in programmi televisivi o pubblicità ad hoc, sponsorizzazioni di eventi e concerti, ma anche integrandoli in videogiochi e altri ambienti digitali e online.

I nuovi ambienti sociali online hanno assunto un ruolo crescente nelle strategie marketing delle aziende che mirano a dare forma a veri e propri mondi fittizi, simili a reality e talent show con l’obiettivo di dettare il senso delle cose assopendo il senso e l’elaborazione di pensiero critico. Lo testimoniano i milioni di Like che indicano la popolarità delle pagine di note birre o bevande alcoliche popolari tra i giovani, le decine di migliaia di foto che sono state caricate sui social network, molte delle quali con contenuti sessuali espliciti, le comunità legate alle marche.  La presenza sui social network delle marche mira a sintonizzarsi, cognitivamente e emotivamente con gli orientamenti socio-culturali e consumistici dei consumatori praticando un approccio propositivo e dialogico che punta alla interazione e alla conversazione, allo scambio e alla convivialità, nei mondi virtuali online così come in quelli reali.

L’aspetto forse più sottovalutato è l’offerta di stereotipi che mirano a suggerire, a ragazzi in fase di crescita e alla ricerca di una loro identità e sessualità, modelli comportamentali, preferenze e stili di vita. Gli stereotipi proposti dalle marche sembrano suggerire l’esistenza di un Tecnorapido o nativo digitale completamente consapevole del suo ruolo di consumatore in termini di gestione del budget disponibile, comparazione competitiva dei prodotti, controllo degli impulsi all’acquisto, innovazione e capacità di trasgressione, consapevolezza dei rischi e comportamenti etici. Nella realtà questi stereotipi sono ben distanti da ragazzi vittime del loro eccessivo uso della tecnologia e delle loro vulnerabilità come utenti e come consumatori.

La vulnerabilità (concetto sul quale non esiste una visione consensuale da parte degli studiosi) come consumatori è legata alle interazioni con il mercato, ai contenuti digitali e alla loro reperibilità online, alla esposizione e consumo di messaggi marketing e ai marchi di prodotto, alla incapacità nell’identificare frodi o messaggi esclusivamente pubblicitari. La vulnerabilità dei ragazzi nasce spesso dalla scarsa esperienza all’acquisto, dalla indeterminatezza della loro percezione del sé, dalla limitata autostima e dal bisogno costante di approvazione sociale o amicale per quello che decidono o fanno. In questo contesto lo stereotipo emergente è di tipo consumistico (Compro e spendo, quindi sono!), fondato sul ruolo psicologico di prodotti materiali (smartphone e non solo) e tecnologici nell’assegnare significati simbolici e dare forma a nuovi stili di vita. Ad esserne vittime predestinate sono innanzitutto i ragazzi con scarsa autostima e elevata propensione al possesso di oggetti materiali (meglio se di moda) e al consumismo perché meno capaci di gestire la loro pulsione all’acquisto e i loro budget, anche quando sono scarsi. La loro vulnerabilità li trasforma in facili vittime di fattori  (comportamenti degli amici e dei contatti) e attori esterni perché incapaci di valutare proposizione e qualità dell’offerta e di adottare comportamenti  diversi dal gruppo di appartenenza. 

La pressione del gruppo o dei contatti di un social network  esprime una pressione sociale che il Tecnorapido fatica a gestire. L’influenza sociale è sempre stata un elemento determinante nel successo di molti prodotti di consumo ma ha trovato online la massima possibilità di essere esercitata e/o subita. Grazie alle molteplici identità virtuali online i ragazzi possono sviluppare contatti, amicizie e relazioni che offrono numerose opportunità ma scatenano anche condizionamenti pesanti e non sempre positivi come l’abuso di sostanze, comportamenti compulsivi e consumeristici, fanatismi nei confronti di alcune marche e loro prodotti e acquisti non motivati da reali bisogni. 

I primi a essere consapevoli della loro vulnerabilità sono i giovani stessi. 

L’esperienza della vulnerabilità come consumatori passa attraverso la difficoltà a compiere scelte razionali e coscienti e meno impulsive, a decidere in modo indipendente e sereno, a resistere alle pressioni del gruppo sociale o degli amici, a acquisire informazioni e conoscenze adeguate sulle esperienze e i processi di acquisto, a fidarsi eccessivamente delle comunità e reti sociali di appartenenza, a non saper resistere a comportamenti trasgressivi e rischiosi (frequentazione si siti pornografici), ad acquistare prodotti anche quando non possono permetterseli. 

Il quadro generale che ne deriva è una debolezza intrinseca nell’uso della tecnologia che evidenzia un paradosso perché riguarda generazioni di nativi digitali considerati esperti e utilizzatori consapevoli della tecnologia. La prima forma di debolezza si manifesta nel surplus informativo che genera una disinformazione generalizzata legata alla eccessiva abbondanza di informazione e alla difficoltà di conoscere quale informazione sia vera, fasulla, spontanea o subdola perché mirata a obiettivi non chiaramente comunicati.  La seconda conseguenza è la trasformazione del giovane Tecnorapido in un potenziale schiavo degli stessi strumenti tecnologici che pensa di conoscere in profondità e che utilizza con successo e efficacia. Ne deriva una dipendenza  dalla tecnologia su cui possono facilmente insediarsi attività e iniziative fraudolente o finalizzate a trarne vantaggi commerciali.  

Furto di identità 

Un tempo l’identità di un giovane era innanzitutto personale e sociale. La prima determinata dagli attributi, dalle caratteristiche personali, dagli interessi e dalle preferenze  che la rendevano unica, La seconda dal contesto familiare, amicale, di vicinanza, sociale e dai comportamenti di persone che ne conoscevano le abitudini, i modi di vestire, di parlare e di esprimere se stesso in pubblico. 

Oggi con l’avvento di Internet e la proliferazione dei social network,  l’identità è anche digitale e si esercita in spazi sociali non più delimitati dal perimetro geografico che in passato caratterizzava ogni comunità sociale. Ogni persona che abita la rete, sia essa Tecnovigile o Tecnorapido, lo fa con una o più identità digitali (chi uno è, gli attributi della sua identità, userid e parola chiave usata per autenticare la sua identità o per costruirne una fittizia e alternativa) e un profilo personale digitale fatti di informazioni e risorse identitarie con le quali accedere ai mondi virtuali di Internet. Queste informazioni danno forma online alla rappresentazione di un individuo identificabile attraverso un insieme di dati personali con cui accede alla rete, comunica e si relaziona online.   

L’identità digitale è il punto di partenza di un profilo digitale, un’altra forma di rappresentazione digitale dell’individuo che comprende informazioni relative alle sue caratteristiche personali, alle sue preferenze, ai suoi comportamenti individuali e sociali. Il profilo digitale è in parte autocreato dall’individuo stesso, ad esempio con la condivisione in rete di informazioni personali (Twitter, Instagram, Facebook e Linkedin), ma soprattutto è inferito direttamente dalla Rete raccogliendo dati di tipo biometrico e biologico (razza, lingua, impronte digitali, sesso, caratteristiche fisiche, gruppo sanguigno, ecc.), dati biografici (indirizzo, livello educativo e scolastico, stato giudiziario, occupazione, situazione familiare, famiglia di provenienza, coniuge, ecc.) e dati contestuali e comportamentali che documentano le interazioni sociali dell’individuo (profilo finanziario, transazioni commerciali, comportamenti di acquisto, consumo di media, proprietà, gusti, preferenze, ecc.). 

L’identità digitale personale non è molto diversa da quella sperimentata nel mondo reale, ne è una semplice estensione nel mondo virtuale. Quella sociale invece può essere molto diversa perché meno controllabile, esposta a contatti sociali non più limitati spazialmente e condizionata dalla trasparenza determinata dalle molteplici connessioni online, dalla reputazione ottenuta e dalla percezione altrui. Per un nativo digitale Tecnorapido le due tipologie di identità, quella reale e quella virtuale, coesistono e sono strettamente interconnesse. La rappresentazione di entrambe è simultanea anche quando sono tra di loro diverse, concreta e problematica quella reale, inventata, di successo e in continuo divenire quella virtuale. 

La formazione dell’identità dei ragazzi Tecnorapidi è diversa da quella dei ragazzi delle generazioni che li hanno preceduti perché nata dal loro nomadismo ( abitano più spazi sociali contemporaneamente e mai stabilmente), dalla frequentazione online di reti di relazione complesse e virtuali e dalle numerose fragilità che le caratterizzano. Hanno la possibilità di sperimentare nuove identità (non tutti perché l’utilizzo della tecnologia è spesso direttamente proporzionale al grado di cultura da cui il giovane proviene), di reinventarsi continuamente e di farlo sfruttando strumenti come Facebook, YouTube, Twitter e Blog che le generazioni precedenti non potevano usare. 

Benché numerosi studi abbiano mostrato come la rappresentazione di sé non sia mutata radicalmente nel tempo, genitori, insegnanti e adulti pensano che la relazione con i ragazzi sia oggi più complicata e densa di potenziali rischi per la molteplicità delle loro vite che mescolano realtà e virtualità coesistendo come universi paralleli.  La preoccupazione dei genitori Tecnovigili nasce dal percepirsi antropologicamente e culturalmente estranei ad una esperienza fondamentale nella crescita dei loro ragazzi, esclusi dalla formazione dell’identità personale e impossibilitati a prevenire potenziali rischi legati alla visibilità online e alle azioni di altre persone che condividono con i ragazzi gli stessi spazi online. 

L’identità dei nativi digitali non è statica ma espressione della poliedricità della personalità degli individui e della molteplicità (personalità multiple che convivono) che caratterizza da sempre le persone. Online questa molteplicità trova forma di espressione in avatar (immagine scelta per rappresentare la propria identità digitale in comunità virtuali, luoghi di aggregazione, discussione, o di gioco on-line.), profili, rappresentazioni di sé differenti che insieme danno forma ad un’unica identità, più completa perché maggiore della somma delle varie identità che l’hanno costituita. Ogni identità è espressa attraverso informazioni condivise in modo cosciente, continuamente aggiornate e spesso condivise pubblicamente. Un atteggiamento questo che allarma i genitori e pone interrogativi sul perché viene praticato. 

Psicologi e studiosi del fenomeno hanno collegato questo atteggiamento, che caratterizza le nuove generazioni di Internet, alla valutazione che esse danno dei rischi e delle opportunità (benefici e vantaggi) e dalla volontà di raggiungere determinati obiettivi (scopi) come nuove amicizie, approvazione e rispetto sociale, reputazione, reciprocità, divertimento. Il rischio che ne deriva, spesso sottovalutato o sconosciuto, è la visibilità e la esposizione prolungata di dati personali online che possono essere rubati e usati per scopi diversi da quelli del suo legittimo proprietario. L’identità digitale nasce spesso da instabilità e insicurezze (quante volte viene sostituita la foto della pagina Facebook?) personali legate alla percezione che i ragazzi hanno di se stessi. Ogni identità online è facile da creare (pochi click) ma anche fragile e vulnerabile perché facile da manipolare, falsificare e rubare. 

I Tecnorapidi sono nativi digitali consapevoli delle opportunità che la tecnologia offre loro e sanno sfruttarne le potenzialità per costruire nel tempo le loro identità multiple, da usare in modi diversi a seconda delle audience, dei contesti e dell’ambito privato o pubblico. Sono consapevoli anche dei rischi, ma non sempre sono capaci di gestirli o di fare le scelte più adeguate. Questa incapacità è maggiormente evidente nei ragazzi che non sono Tecnorapidi e non  hanno avuto la possibilità di confrontarsi con genitori Tecnovigili, perché sono meno istruiti e illetterati sull’uso delle tecnologie. Questi ragazzi sono in grave pericolo e hanno bisogno di essere affiancati da genitori, insegnati e adulti nelle lor vite parallele online. 

Identità e profilo digitali sono oggetto di costanti attacchi, subdoli, sconosciuti e criminali da parte di persone che puntano alla impersonificazione totale o parziale attraverso l’uso indebito di dati relativi alla identità di un altro soggetto. Le frodi legate ai furti di identità si manifestano in modalità diverse come la clonazione dell’identità (sostituzione di una persona con l’obiettivo di creare una nuova identità), il furto finalizzato a scopi finanziari, l’uso dei dati per compiere atti illeciti e illegali, l’utilizzo di dati provenienti da persone diverse per dare forma a identità sintetiche e completamente costruite, la costruzione di nuove identità usando dati di persone defunte (ghosting) e la impersonificazione in una persona diversa per compiere atti di bullismo digitale (cyberbullismo). 

Il furto avviene attraverso forme diverse come la clonazione di carte di credito (skimming), il furto di dati personali in rete e tramite siti web, il furto attraverso la posta elettronica (phishing e vishing), le attività di spam, i malware che possono infettare i computer (keylogging), l’uso della posta elettronica all’insaputa dei loro proprietari (spoofing), le connessioni a siti cloni di quelli reali (pharming), il monitoraggio e la raccolta di dati che transitano in rete (sniffing), il furto di dati da materiali cartacei recuperati dalla spazzatura (trashinng) ma anche attraverso il furto e i contatti indesiderati nella vita reale come il furto di un portafoglio o di una borsetta o i falsi rappresentanti di aziende e istituzioni. 

Il furto di identità in Rete diventa concreto quando qualcuno utilizza i dati personali associati ad un profilo online per sostituirsi al suo legittimo proprietario con l’intenzione di compiere azioni illecite oppure di accreditare al profilo rubato responsabilità per azioni compiute da altri. Il ladro di identità trae un vantaggio illecito a scapito del titolare effettivo del profilo online. Il furto di identità è molto diffuso in ambiti finanziari e commerciali (carte di credito, conti correnti) ma è utilizzato anche per pratiche di bullismo e molestie digitali. Alla base del furto c’è sempre l’acquisizione di informazioni personali come dati anagrafici e fiscali solitamente usati per l’identificazione individuale. Questi dati possono essere recuperati online con azioni di pirateria informatica o intercettazioni di transazioni ma anche più semplicemente rubando un portafoglio o la corrispondenza delle cassette delle lettere, clonando delle carte bancomat o tramite false interviste telefoniche e falsi call center. 

Tra le vittime del furto di identità ci sono anche molti ragazzi, tendenzialmente più propensi alla socializzazione e alla condivisione attraverso chat, videogiochi multiplayer online, forum, strumenti come WhatsApp e social network. I ragazzi non prestano attenzione alla geolocalizzazione dei loro messaggi e delle loro attività online che permettono a malintenzionati e criminali di conoscere i loro gusti, stili di vita, attitudini caratteriali e comportamentali, tendenze, abitudini quotidiane e routinarie, quando sono i casa e se sono soli, loro debolezze e bisogni. Le trappole predisposte per il furto di identità sono spesso tese da persone che si rappresentano online con profili non veritieri o corrispondenti alla loro età, genere, professione, stili di vita. Una persona di genere maschile di 40 anni può benissimo presentarsi online come una ragazza di 12 anni in cerca di avventure. 

Molti ragazzi mettono a rischio anche le loro carte di credito e quelle dei loro genitori, rischiando di indebitarsi prima ancora di avere raggiunto l’età adulta. Il rischio è associato alla facilità con cui malintenzionati e criminali possono avere accesso ai loro dati personali e usarli per noleggiare auto o acquistare beni di consumo. I ragazzi sono vittime appetibili (in una recente indagine su 40.000 ragazzi intervistati il 10,2% ha subito qualche tipo di furto di dati personali, una percentuale elevatissima rispetto alla media del 3% che interessa la popolazione adulta) perché non hanno una storia personale di acquisti e perché i genitori prestano scarsa attenzione ai resoconti delle loro carte di credito. 

Il furto di identità può causare problemi seri e lasciare segni indelebili. Prevenire non è semplice, è meglio non lasciarsi prendere dalla paranoia ma evitare di essere troppo cauti e timorosi nell’intervenire, bloccando l’accesso a determinate risorse online, spiegando loro le motivazione della scelta e la differenza esistente tra mondo reale e mondi virtuali e sottolineando l’importanza di non divulgare con facilità dati personali su loro stessi e sulla famiglia. Il dialogo e la spiegazione sono preferibili all’uso di strumenti per il controllo parentale, se però non sono sufficienti è meglio conoscere gli strumenti di controllo disponibili e usarli. 

I genitori Tecnovigili devono essere consapevoli che il problema non è Facebook ma come il ragazzo Tecnorapido si rappresenta online e quale identità/profilo utilizza per farlo. Non serve a nulla lamentarsi sulla eccessiva trasparenza dei media sociali e visibilità dei social network della rete. L’esposizione di ogni ragazzo ai rischi del furto d’identità è aumentato in modo esponenziale dall’arrivo dei social network e del Web 2.0. Il rischio è accresciuto dalla loro predisposizione alla trasparenza e dalla confidenza nel mezzo usato per condividere informazioni personali e attività. Fino a quando l’identità individuale non sarà gestita attraverso soluzioni di tipo biometrico capaci di rendere impossibile la manipolazione dei dati personali, i genitori Tecnovigili dovranno confrontarsi con comportamenti dei ragazzi difficilmente modificabili e conviverci. 

Il furto di identità è un fenomeno anche italiano e riguarda sia genitori Tecnovigili che ragazzi Tecnorapidi. E’ una esperienza vissuta in massima parte online, ma anche nella vita reale e coinvolge decine di migliaia di persone ogni anno che si vedono sottratte informazioni personali usate per furti online o acquisti in punti vendita e centri commerciali. La conoscenza limitata del fenomeno porta a sottovalutarlo e a cattive pratiche online (il 58% degli italiani dichiara tranquillamente di non fare caso e di non prestare attenzione alla diffusione dei propri dati online). Non esiste una cultura adeguata finalizzata alla prevenzione, all’apprendimento perseverante e alla formazione dei più giovani. 

L’attenzione cambia verso quando si è rimasti vittima di un furto di identità con danni collaterali conseguenti. Il fenomeno più diffuso e frequente è il phishing (61%) che colpisce soprattutto le persone più anziane e interessa solo sporadicamente i più giovani, a seguire il furto dei dati della carta di credito e personali usati per un acquisto online. Una percentuale importante di furti di identità avviene tramite i network sociali, frequentati in particolare dai nativi digitali. Le generazioni che li rappresentano sembrano non prestare alcuna attenzione alla protezione dei loro dati personali e sottovalutano i rischi ai quali si espongono pubblicando e condividendo i loro dati online. Proprio per questo motivo la presenza al loro fianco di genitori Tecnovigili può fare la differenza, facilitando buone pratiche tecnologiche e impedendo l’insorgere di problemi, rischi e pericoli. 

Predatori sessuali e pedo-pornografia 

Dall’avvento di Internet e dei social network è impossibile parlare degli stili di vita e dei comportamenti dei ragazzi senza affrontare il tema della loro sicurezza online e della capacità di difendersi dai numerosi potenziali predatori sessuali e pedo-pornografi che frequentano la Rete. Il fenomeno degli abusi sessuali online, compreso quello sui minori, è complesso, richiede una conoscenza approfondita di Internet e dell’uso che ne viene fatto e chiama in causa non soltanto la famiglia ma anche la scuola e altre realtà educative e di aggregazione sociale, i servizi sociali e sanitari del territorio, le autorità di pubblica sicurezza e le istituzioni. 

Il tema della sicurezza è controverso e gioca un ruolo fondamentale nel configurare le relazioni mediate tecnologicamente dei ragazzi online, le attitudini e le scelte degli adulti nel permettere la loro partecipazione e socialità online e le regole che devono guidare uno spazio sociale online. E’ un tema che affonda le radici nella paura e nelle ansie di genitori che, essendo spesso ignoranti e immigrati tecnologici, preferiscono non correre rischi con i luoghi a loro sconosciuti e ritenuti pericolosi della Rete. 

Internet e le tecnologie digitali non hanno creato i predatori sessuali ma hanno aumentato in modo esponenziale le loro possibilità di raggiungere le loro potenziali vittime riducendo i rischi di essere individuati. Possono comunicare con i bambini e gli adolescenti in modo anonimo attraverso sistemi di messaggistica come IM, SMS, WhtasApp, sistemi di chat come SnapChat, social network come Facebook e i loro dispositivi mobili. I predatori sessuali traggono vantaggio dalla vulnerabilità dei ragazzi come la loro costante ricerca di attenzione e di affetto per proporre regali, manipolare i loro sentimenti e le loro emozioni, per influenzarli, controllarli e indurli a gesti e comportamenti che li espongono a rischi e pericoli di tipo sessuale. 

Il tipico predatore sessuale è immaturo emotivamente e sessualmente. E’ alla costante ricerca di intimità ma incapace a trarne benefici, soddisfazione e fiducia dell’altro, quando la trova. La frustrazione che ne deriva genera rabbia che può indurre ad azioni disperate e pericolose. Incapaci di costruire una relazione nei modi appropriati finiscono per ricercarla in persone, come i bambini e gli adolescenti, che possono offrire minori resistenze ai loro desideri e impulsi. 

Sono predatori sessuali persone che cercano di ottenere contatti sessuali con approcci abusivi e predatori. Il branco di predatori (molestatori, pedofili) attivi online in ogni dato momento di tempo sono migliaia. Bisogna però tenere presente che la violenza sessuale contro bambini e adolescenti è più diffusa nei luoghi domestici e reali della case da loro abitate piuttosto che online e nei luoghi virtuali della Rete. Nonostante il numero limitato di ragazzi vittime di attacchi o violenze sessuali online, è importante comprendere il fenomeno per riuscire a valutare correttamente le varie tipologie di potenziali minacce, violenze e incidenti possibili.  Il rischio per bambini e adolescenti è alto ma numerosi sono anche i modi con cui è possibile proteggerli prevenendo potenziali attacchi. La prevenzione inizia con la consapevolezza che spesso la vulnerabilità delle pratiche online dei ragazzi nasce da problemi psicologici, con la disponibilità a comunicare in modo aperto e onesto e a parlare dei pericoli di origine sessuale a cui i ragazzi sono esposti illustrando loro utili suggerimenti per identificarli e riconoscerli come potenzialmente pericolosi.

I predatori sessuali online esistono e possono rappresentare un vero pericolo, soprattutto in assenza di genitori Tecnovigili. Le loro vittime designate sono sia ragazzi che ragazze di tutte le età, usano l’anonimità di Internet a loro vantaggio per assumere personalità diverse e manipolatorie utili ad approfittare delle vulnerabilità di giovani e adolescenti o a superare la loro diffidenza e consapevolezza del potenziale problema. I loro bersagli preferiti sono spesso ragazzi tecnologicamente più acculturati dei loro genitori e che sono emotivamente vulnerabili per problemi di tipo relazionale, scolastico e familiare. L’obiettivo è di costruire un rapporto empatico capace di generare fiducia e amicizia, spesso in alternativa a quello complicato e conflittuale che i ragazzi stanno sperimentando in famiglia o a scuola.

La ricerca di potenziali vittime è resa più facile dalla disponibilità di numerose informazioni online in spazi sociali come chat room, social network e APP per dispositivi mobili. Dopo aver stabilito un rapporto di fiducia il predatore sessuale solitamente invia fotografie o immagini pornografiche e a sfondo sessuale, cerca di creare canali di comunicazione diretti e difficilmente identificabili dai genitori e, nel caso di reazione negativa da parte della vittima, minaccia di far conoscere in rete o ai genitori quanto già avvenuto online.

Gli abusi potenziali assumono forme diverse come ricatti e estorsioni sessuali (si spingono gli adolescenti a spogliarsi per poi ricattarli), attraverso chat-room, pagine occulte a pagamento, prostituzione con webcam (bambini e adolescenti costretti ad atti sessuali in live streaming in cambio di denaro). Il fenomeno è ampiamente diffuso come ha dimostrato l’esperimento condotto nel 2013 da Terre des Homme che, attraverso la creazione online di una adolescente di nome Sweetie, ha permesso di identificare 1000 predatori sessuali in soli due mesi, 22 dei quali in Italia. Il rischio viaggia attraverso faccia a faccia digitali, webcam, chat e un numero crescente di siti commerciali che offrono immagini e video previa sottoscrizione a cui si arriva con link mascherati o da social network e da attività di phishing e spam. 

L’abuso sessuale online si manifesta ogni qualvolta un minore viene coinvolto da parte di un partner, generalmente adulto, in attività sessuali anche non caratterizzate da violenza esplicita e a cui il minore non è in grado di consentire liberamente per la sua età e per il ruolo dominante giocato dal predatore. Benché esistano varie definizioni cliniche dell’abuso, quella oggi prevalente e considerata la più efficace identifica l’abuso in ogni atto, approccio o azione di natura sessuale che coinvolge un minore causandogli disagio o sofferenza psicologica. In termini legislativi l’abuso sessuale su minori in Italia è normato da una serie di leggi e articoli del codice penale come la Legge 66/1996 (Norme contro le violenze sessuali), la legge 3 agosto 1998 n.269 (- Norme contro lo sfruttamento della prostituzione, della pornografia, del turismo sessuale in danno di minori, quali nuove forme di riduzione in schiavitù), e la legge 6 febbraio 2006 n.38 (disposizioni in materia di lotta contro lo sfruttamento sessuale dei minori e la pedopornografia anche a mezzo Internet). 

L’abuso sessuale online si manifesta in forme diverse catalogabili in due tipologie e approcci a seconda del ruolo passivo o attivo giocato dai ragazzi. L’approccio passivo si manifesta attraverso la produzione, distribuzione, download e visualizzazione di materiale a sfondo sessuale o pornografico da parte del molestatore o predatore.  Quello attivo vede i ragazzi impegnati in attività e comunicazioni come risposta a sollecitazioni ricevute da parte di persone estranee, spesso da adulti, finalizzate alla produzione di materiale pornografico (immagini di minori in atteggiamenti sessuali espliciti, rappresentazione degli organi digitali, ecc.) o a sfondo sessuale, alla frequentazione di chatroom, anche con l’ausilio di webcam, e a incontri nella vita reale.11 

Ad essere maggiormente a rischio sono i ragazzi che nella vita di ogni giorno si confrontano in modo problematico con l’esperienza della vita, ragazzi con problemi psicologici, di tipo familiare o scolastico o dipendenti dall’uso di sostanze. Internet e i media sociali non sono responsabili dei rischi che corrono così come non lo sono le piazze o i luoghi pubblici frequentati nella vita reale. Il rischio nasce dalla maggiore visibilità che i loro comportamenti hanno e dalle attività nelle quali sono disponibili a cimentarsi. E’ un rischio che solo in pochi casi porta ad abusi sessuali reali ma che si manifesta in forme di prevaricazione, manipolazione, violenza virtuale altrettanto pericolosa e dolorosa per chi la subisce. Anche perché spesso a portarla a termine non sono persone sconosciute ma persone della stessa famiglia, amici, compagni di scuola o vicini di casa (18%). 

Il rischio di incontrare, nelle peregrinazioni online, dei predatori sessuali è particolarmente elevato per i ragazzi e le ragazze più giovani e come tali meno preparati a discernere tra normalità e pericolosità di un incontro online e a riconoscere le trappole che si nascondono dietro le molteplici identità con cui le persone abitano la Rete (In Internet nessun sa se sei un cane!). Il rischio è maggiore perché la Rete è diventata per loro uno strumento importante di relazione e di crescita personale, entrambi possibili grazie agli incontri e alle amicizie online. 

Vietare ogni esperienza in Rete per paura di predatori sessuali significa impedire ai ragazzi di dare forma a nuove conoscenze e relazioni che possono diventare importanti nella loro crescita personale. Il rischio è sempre presente ma può aumentare per un intervento censorio deciso del genitore che spinge il ragazzo a ricercare una maggiore indipendenza e libertà dai loro genitori. Meglio in questi casi puntare tutto sulla semplice informazione e educazione e farlo con un affiancamento costante sostenuto da molto affetto, tanta cura,  attenzione e coinvolgimento empatico e emotivo. L’educazione deve mirare a favorire lo sviluppo, da parte dei ragazzi, di capacità nel prendere decisioni intelligenti e responsabili e fare scelte prive di rischi. 

Internet e in particolare i suoi luoghi socialmente abitati non sono solo spazi nei quali i ragazzi intraprendono interazioni a rischio. Al contrario sono luoghi usati per comunicare al mondo intero situazioni di disagio, di dolore, di solitudine e di insoddisfazione personale. Non tutti i ragazzi usano la Rete per condividere il loro stato d’animo e i loro problemi ma quando lo fanno sarebbe bene che i loro messaggi fossero colti da genitori con gli occhi aperti, attenti, capaci di riconoscerli come richieste di aiuto e di agire rapidamente. Facebook, YouTube, Instagram e gli altri social network catturano le tracce esistenziali dei ragazzi e offrono agli adulti nuove opportunità relazionali e genitoriali per rompere gli eventuali circoli viziosi in cui sono stati precipitati i loro figli o nipoti. 

Internet non è un luogo pericoloso di per sé e la tecnologia non è da bandire dalle vite di ragazzi cresciuti e modificati ‘geneticamente’ dalle nuove tecnologie. Internet è una vetrina attraverso la quale i genitori Tecnovigili, con tatto, cura e attenzione, possono guardare e osservare con l’obiettivo di affiancarsi ai loro figli Tecnorapidi e proteggerli tenendo gli occhi e la mente aperti in modo che i ragazzi sappiano a chi rivolgersi in caso di pericolo. Non serve il controllo o il divieto a usare Internet (‘internet fa male’). Aiuta molto di più avere la fiducia dei ragazzi, lasciati liberi di sperimentare e esprimere se stessi nelle strade e nelle piazze digitali della Rete, e godere della credibilità che serve per essere interpellati in caso di pericolo. 

Molta letteratura e attività pubblicistica online è costruita per instillare e fare crescere paure e tecnofobie. Quando la retorica online tocca il tema dei predatori sessuali il suggerimento è di battere la paura con l’isolamento e le restrizioni di accesso alle risorse tecnologiche online. Nessuna di queste pratiche servirà a cancellare timori e paure e ad aiutare i ragazzi caduti nella rete di predatori sessuali online. L’unico approccio possibile è di sfruttare la visibilità offerta dalla rete per conoscere e studiare le dinamiche complesse che danno forma alle pratiche online dei ragazzi.  

Come è stato ampiamente sottolineato da Danah Boyd nel suo libro ricerca It’s complicated – The social lives of networked teens8, più che propagare false mitologie sui pericoli di Internet e del social networking, conviene vivere le nuove tecnologie, praticarle, e usarle per battere la paura e comunicare empatia in modo da favorire la comunicazione e la interazione tra adulti e ragazzi delle nuove generazioni. 

Un modo facile ma efficace di prevenire rischi potenziali, eliminare pericoli reali e essere pronti a intervenire e a gestire situazioni problematiche sfuggite di mano. 

Dipendenza tecnologica 

Le molteplici dipendenze (inclinazioni, schiavitù, sottomissioni) patologiche tradizionali si sono oggi arricchite di nuove forme di dipendenza come il comportamento compulsivo all’acquisto di beni di consumo, il gioco d’azzardo online, le slot machine, le mode, l’esercizio fisico portato all’eccesso e la dipendenza tecnologica. 

La dipendenza da tecnologia è associata solitamente a Internet (nella letteratura psichiatrica si parla di Internet addiction disorder - IAD) e oggi anche ai social network come Facebook con i loro spazi sociali e relazionali che sono andati sostituendo quelli della realtà fisica. E’ una dipendenza intesa come dipendenza patologica di tipo comportamentale e che manifesta l’emergere di un disturbo psichiatrico. Può causare difficoltà nel controllo degli impulsi, un uso disadattativo delle tecnologie e dinamiche disfunzionali più complesse capaci di creare problemi seri a bambini e adolescenti nativi digitali. L’uso dei social network come Facebook non crea di per sé nuovi rischi di dipendenza né sembra essere all’origine delle numerose forme di patologie e sofferenze legate all’uso della tecnologia. A fare la differenza in termini di rischio psicopatologico è l’uso prolungato, in genere per più di 5 o 6 ore, dei social network e l’uso concomitante di Internet, spazi comunitari e di chat o di gioco online. 

Nella nuova accezione del termine, la dipendenza non è più legata solo all’uso di sostanze psicoattive ma viene associata a un problema della mente perché capace di creare cambiamenti nelle strutture e nelle funzioni mentali che possono diventare permanenti. La dipendenza tecnologica, come altre dipendenze simili, scaturisce da esperienze, situazioni o contesti ricercati e frequentati per la loro capacità di alleviare stati di ansia, preoccupazioni o sofferenze. La dipendenza tecnologica è determinata da un uso distorto del mezzo tecnologico e da comportamenti ripetitivi e compulsivi dettati dalla coercizione e dal bisogno coatto. La dipendenza fa diminuire la consapevolezza del rischio associato allo strumento utilizzato, determina l’assuefazione, provoca astinenza e il bisogno irrefrenabile (nomofobia e altro) di ricorrere al mezzo tecnologico facendo innalzare la soglia di sensibilità legata all’uso prolungato. 

Il fenomeno della dipendenza tecnologica è molto raccontato (mitologizzato) ma non ancora studiato a sufficienza per suggerire una diagnosi definitiva e soluzioni certe. Si sa che assomiglia alle altre forme di dipendenza in quanto genera abitudini ripetitive e persistenti nel tempo, genera tolleranza e non tiene conto delle conseguenze e degli effetti sullo stato d’animo, l’umore e la condizione mentale della persona che la subisce. Il fenomeno è prevalentemente individuale e si può presentare in varie fasi dello sviluppo e della crescita di una persona, spesso come risposta a situazioni di sofferenza, crisi o criticità ma anche come semplice conseguenza di un prolungato utilizzo del mezzo tecnologico e di una eccessiva frequentazione degli spazi virtuali della Rete. In tutte le situazioni le conseguenze si manifestano in angosce, senso di estraniamento, ansie, stati di stress, isolamento, calo dell’autostima come effetto della percezione del sé (cause a loro volta di nuova dipendenza in un circolo vizioso circolare senza fine) e tendenze psicopatologiche che portano a nuova dipendenza e a più pesanti effetti negativi. 

Internet è da sempre considerato uno strumento stimolante e pieno di risorse, motivo e mezzo di svago, di produttività lavorativa, di tempo libero e di viaggio ma anche una via di fuga dalla realtà e dalle sofferenze psichiche e mentali individuali e relazionali cha caratterizzano la vita reale di molte persone. Con i suoi numerosi mondi virtuali, paralleli e alternativi può diventare una trappola, di tipo comunicazionale e relazionale ma anche psicologico ed emotivo. Può disconnettere l’individuo dalla realtà e dalla sua identità reale senza offrirgli alcuna concreta opportunità di soddisfare i bisogni emotivi che sono spesso all’origine della ricerca del mezzo tecnologico e dello sviluppo di nuove forme di dipendenza. 

Le forme di dissociazione e di dipendenza che derivano da una esposizione e frequentazione prolungata dei mondi virtuali possono diventare vere e proprie schiavitù, trappole per la mente, fonte di disturbi psicologici e emotivi come ad esempio la scarsa autostima, la difficoltà relazionale e la depressione. Le pratiche online delle nuove generazioni e la loro consuetudine a relazioni mediate tecnologicamente influenzano le relazioni dal vivo rendendo spesso complicata se non impossibile la comunicazione con i genitori e gli adulti delle generazioni a loro precedenti. 

La dipendenza dalle tecnologie è difficile da riconoscere perché legata ad attività praticate da moltissimi ragazzi e ritenute essenziali e utili per la loro crescita individuale e sociale. Come quella da alcool o droghe, la dipendenza tecnologica crea problemi seri in ogni ambito di vita, familiare, relazionale, lavorativo, scolastico e sociale. Soffrono da dipendenza tecnologica ragazzi normali e intelligenti che si trovano a vivere esperienze di isolamento e solitudine, di infelicità o scarsa popolarità a scuola e che trovano nelle vite virtuali online la possibilità di assumere ruoli e personalità in grado di farli sentire più importanti, amati e soddisfatti. Il problema nasce quando la realtà virtuale tende a sovrapporsi e a sostituirsi a quella reale e il ragazzo non riesce più ad abbandonarla per affrontare la realtà fattuale di tutti i giorni. 

I genitori Tecnovigili devono sfidare il senso comune (legato alle pratiche diffuse di interazione con la tecnologia e che connotano una dipendenza diffusa ad esempio al dispositivo mobile e a Internet) e le abitudini dei ragazzi insistendo sull’importanza dei rapporti interpersonali, più reali di quelli online perché fatti di incontri fisici, contatti e sguardi di prossimità. Devono saper valutare se e quanto l’uso di un monitor o del display di uno smartphone sono diventati semplici vie di fuga e mezzi di proiezione del sé in mondi sociali spersonalizzati ma facili e accoglienti, globali e protettivi, stimolanti e emozionanti, molto più di quanto non lo siano i mondi reali e perimetralmente definiti (casa, scuola, oratorio, piazza) nei quali i ragazzi si trovano a vivere. L’incapacità a distinguere i due universi e a viverli come se fossero uno solo, porta a condotte disadattative e compulsive che accelerano la fuga dalla realtà e la difficoltà ad adattarvisi. La fuga è dalla sofferenza e dal bisogno intollerante di non riuscire a superarla senza ricorrere ad uno strumento tecnologico. E’ la mente a cercare una via di fuga che viene trovata nei mondi illusori, virtuali, fantastici e lenitivi della Rete. 

Il rischio dipendenza da tecnologia è riconosciuto dai media e da molti esperti e terapisti familiari. Il problema è in crescita nelle scuole e nelle università e interessa ragazzi di tutte la classi sociali con effetti negativi sul loro rendimento scolastico e futuro. La dipendenza da Internet e dai social network è un disturbo emergente, in grande aumento negli ultimi dieci anni, che interessa, a seconda dei paesi, tra il 2% e il 9% degli utilizzatori di strumenti tecnologici. I disturbi generalmente associati alla dipendenza sono diversi a seconda dei bisogni e delle motivazioni che l’hanno provocata. 

Si può diventare dipendenti dalla tecnologia in vari modi e per problemi o incapacità a controllare impulsi legati al sesso virtuale (frequentazione compulsiva di siti pornografici, chat room o giochi di ruolo), alle relazioni virtuali (social networking),  al gioco online e all’uso compulsivo di alcuni spazi abitati della Rete (eBay), al bisogno compulsivo di notizie e informazioni e al gioco solitario con dispositivi tecnologici come smartphone e iPad. 

Le forme più note di dipendenza sono quelle del gioco online, dei giochi di ruolo e multi-utente e oggi del gioco d’azzardo o gambling online. Più delle slot machine dei bar di periferia il gioco d’azzardo virtuale ha la capacità di generare compulsività e dipendenza con danni e costi incommensurabili. A seguire c’è la dipendenza da materiali sessuali e pornografici sia nella forma di accesso a contenuti porno online sia in quella di relazioni sperimentabili nei numerosi spazi sociali della rete. Esiste anche una dipendenza da social networking che si manifesta essenzialmente nella ricerca spasmodica di nuovi contatti, di Like, commenti sulla propria pagina di Facebook, email e messaggi. Infine deve essere menzionata una dipendenza da informazione che si caratterizza da una ricerca costante di informazioni, da grande quantità di tempo dedicato alla navigazione e alla ricerca di novità. E’ una dipendenza che genera surplus informativo e cognitivo a loro volta causa di nuove dipendenze. 

La dipendenza tecnologica interessa tutti, bambini, adolescenti e adulti ma  può produrre nelle persone più giovani danni più gravi per le motivazioni che la generano (stress, solitudine, depressione, ansia, autostima, rappresentazione del sé, ecc.) e per la scarsa conoscenza delle possibili alternative (esercizio, meditazione, tecniche relazionali, ecc.). Gli effetti della dipendenza dalla tecnologia dei ragazzi, così come lo è quella dal gioco d’azzardo e dalle slot machine degli adulti, si manifestano anche in crisi familiari e divorzi come testimoniato dal crescente numero di avvocati che se ne interessano. 

I ragazzi più a rischio sono quelli che soffrono situazioni di ansia a causa di paure o timori e cercano nel mezzo tecnologico risposte rapide e conferme, quelli depressi che trovano in Internet una via di fuga da sentimenti negativi e solitudine, quelli che già soffrono di altre forme di dipendenza o di assenza di rapporti sociali e amicali, quelli che si sentono infelici perché ancora incapaci di trovare una loro collocazione e riconoscimento sociale e l’autostima personale, quelli che sono stressati o limitati per vari motivi nella loro vita mobile e attiva. 

La dipendenza da tecnologia si manifesta sia con sintomi di sofferenza fisica che psicologica: 

  • Incapacità ad interrompere le attività online e bisogno di trascorrere un tempo crescente in rete per soddisfare bisogni impellenti
  • Marcata riduzione di interesse per attività diverse da quelle virtuali e che non siano legate al mondo di Internet
  • Senso di euforia, potenza e benessere quando impegnati in attività online e digitali
  • Impossibilità di interrompere l’attività online o di saper gestire l’uso di Internet
  • Difficoltà a portare a termine attività o compiti nella vita reale
  • Dispendio di tempo, risorse e energie
  • Aumento del tempo passato attaccati alla Rete o a un dispositivo tecnologico, nonostante la consapevolezza di potenziali effetti collaterali, anche fisici, sociali, lavorativi e psicologici
  • Percezione di vuoto, depressione e irritabilità quando non connessi o lontani da un computer
  • Sviluppo di ansie, pensieri ossessivi, sintomi da astinenza e agitazione psicomotoria dopo la sospensione o la diminuzione dell’attività online
  • Disinteresse per amici e familiari
  • Cambiamenti di umore e alterazione del vissuto temporale
  • Tendenza a sostituire il mondo reale e familiare con mondi virtuali e paralleli
  • Cognitività dominata dall’uso compulsivo del mezzo tecnologico
  • Problemi sia a scuola sia al lavoro
  • Sindrome del tunnel carpale
  • Tendenza a mentire sulle attività online e il tempo ad esse dedicato
  • Manifestazioni di problemi fisiologici come secchezza degli occhi, emicranie e mal di schiena
  • Disattenzione all’igiene personale
  • Scarsa attenzione al cibo e alla regolarità dei pasti
  • Disturbi del sonno o cambiamenti nei ritmi che lo regolano 

I sintomi indicano il livello del rischio per ragazzi, adolescenti e Tecnorapidi ma segnalano anche l’esistenza di problemi che esistono prima e al di fuori della rete. I fattori di rischio principali a cui prestare attenzione si manifestano nella forma di: 

  • Sofferenza per eccessiva ansie: l’uso di Internet vissuto come fuga dalle paure e dalle preoccupazioni
  • Depressioni: Internet serve a tamponare momentaneamente la sofferenza liberando la mente e impegnandola in attività che la portano su mondi lontani, virtuali e illusori ma vissuti come paradisi terrestri in rete. Si tratta di una fuga e di una illusione. L’uso compulsivo e persistente della rete si traduce spesso in nuove e più forti forme depressive
  • Sofferenza da stress, da eccessiva competizione, da responsabilità scolastiche che richiedono impegno e focalizzazione
  • Impossibilità a muoversi dettata da momentanei problemi fisiologici o da contingenze economiche (disoccupazione, lavori precari e mancanza di denari). La Rete non obbliga a spostarsi, annulla le distanza e la geografia, avvicina spazi, territori e perone a bisogni e desideri. Allarga gli orizzonti mentali e aumenta quelli relazionali e conoscitivi.
  • Infelicità adolescenziale e paure legate al futuro all’orizzonte. In Rete gli orizzonti non sono mai stabili, si spostano di continuo, sono illusori e proprio per questo più gratificanti 
  • Difficoltà a socializzare. Perché affaticarsi nella ricerca di nuovi amici e contatti sociali quando i social network e le loro applicazioni rendono tutto più facile? Le amicizie sono spesso virtuale ma gli effetti che producono sono assimilabili a quelli delle amicizie nella realtà
  • Dipendenza da sostanze come alcool e droghe o gioco d’azzardo. 

Il genitore Tecnovigile che conosce i fattori di rischio, ha percepito i sintomi che indicano la dipendenza tecnologica dei loro ragazzi possono affiancarli suggerendo alcune buone pratiche da cui possono scaturire alcuni benefici e di mettere la dipendenza sotto controllo: 

  • Riconoscere e ammettere di soffrire da dipendenza tecnologica
  • Ricercare e riconoscere i problemi della vita reale (ansia, stress, depressione, infelicità, solitudine, isolamento, ecc.) che hanno portato ad un uso eccessivo del mezzo tecnologico e di Internet
  • Fare i conti con se stessi e i propri problemi e sviluppare la capacità a convivere con situazioni stressanti, ansiogene e do stress.
  • Analizzare le proprie relazioni sociali, tratti della personalità e carattere e sviluppare nuove abilità di rapportarsi agli altri e manifestare se stessi relazionandosi agli altri
  • Rafforzare le reti sociali esistenti nel mondo reale. Più esse sono forti e coinvolgenti e meno ci sarà bisogni di replicarle e viverle virtualmente in Rete.
  • Dedicare in modo costante e persistente tempo alle interazioni faccia a faccia sia di tipo familiare che amicale e scolastico
  • Frequentare gruppi, comunità, associazioni seguendo e sviluppando interessi sociali, politici, sportivi sfruttandone le opportunità relazionali e sociali.
  • Analizzare il modo con sui si usa Internet, il dispositivo mobile e il social network con l’obiettivo di cambiare i tempi di accesso, le modalità d’uso, le frequentazioni sociali, le pratiche digitali online e il tempo di permanenza online
  • Assegnarsi degli obiettivi pragmatici, perseguibili giornalmente, misurabili e impegnarsi a raggiungerli, ad esempio spegnendo il computer o lo smartphone o disertando Facebook e smettendo di cinguettare
  • Sostituire le attività online con attività nella vita reale, pianificandole a calendario e resistendo ai numerosi richiami tecnologici che si manifesteranno nella forma di messaggio, cinguettio, video-streaming, immagine o invito esplicito a tronare online. 

Prevenire la dipendenza tecnologica dei figli non è facile ma lo è osservarne con cura e attenzione i comportamenti. 

Basta avere tatto, monitorare con riservatezza i loro comportamenti online e cercare di comprendere i sintomi manifesti e quelli più profondi e sotterranei. I comportamenti da prendere in esame sono i tempi e la lunghezza dell’uso della tecnologia, gli strumenti utilizzati e le reazioni o effetti da essi generati, le consuetudini che ne derivano, durante una sessione online e dopo, le reazioni alla richiesta di interrompere la vita online per un ritorno alla vita reale fatta di un pasto o una conversazione domestica e la qualità delle interazioni interpersonali con familiari, amici e/o colleghi. 

Solo un’attenta e persistente osservazione permetterà di valutare l’emergere del problema e la sua gravità, l’intensificarsi della dipendenza e dei suoi effetti deleteri. Le nuove dipendenza tecnologiche richiedono una attenzione diversa così come modalità di intervento e di approccio diversificate in base al tipo di tecnologia usata. La dipendenza si manifesta, secondo gli studiosi e gli psicologi, in due fasi diverse, la prima denominata tossicofiliaca, caratterizzata da una frequentazione crescente con prodotti tecnologici, e la seconda denominata tossicomaniaca, nella quale si manifestano la dipendenza e i suoi effetti negativi come la compromissione della vita sociale, familiare e scolastica. Una attenzione informata dalla conoscenza delle problematiche legate all’uso delle nuove tecnologie permette un intervento immediato ed efficace già nella prima fase con iniziative a scopo informativo e preventivo, da implementare anche con la collaborazione degli insegnanti e della scuola. 

Suicidi da Social Networking

Il suicido giovanile è un serio problema sociale che interessa giovani di ogni età. Tra i ragazzi dai 10 ai 24 anni è la terza causa di morte con numeri rilevanti ma diversi a seconda dei paesi considerati. Negli Stati Uniti ad esempio i suicidi tra i giovani sono quasi 5000 all’anno, molti di più quelli in paesi con alti tassi di suicidi come la Groenlandia, la Lituania, la Russia, il Giappone e la Corea del Sud. In Italia la mortalità per suicidio è la più bassa dei paesi OCSE e non esiste alcuna variazione statisticamente rilevante che possa confermare un rapporto tra le piattaforme tecnologiche sociali e l’aumento dei suicidi. Molti di più sono i ragazzi che sopravvivono ad un tentato suicidio o pensano di attuarlo. Il suicidio interessa tutti i giovani ma alcuni di loro sono più a rischio di altri. I maschi morti per suicidio superano numericamente le loro coetanee (tre volte la mortalità femminile, ma in alcuni paesi come Brasile e Cuba la mortalità al femminile è maggiore) che tuttavia sperimentano tentativi di suicidio in numero maggiore rispetto ai maschi. I fattori di rischio principali sono una storia di tentativi di suicidio precedenti, la presenza di problematiche simili in famiglia, stati di depressione o problemi mentali e psicologici, l’abuso di droghe e di alcool, eventi di vita stressanti e dolorosi da sostenere, la tendenza all’impulsività o all’aggressività, abusi sessuali o psichici, relazioni genitoriali complicate, perdite di relazioni interpersonali, l’accesso facile a strumenti di morte (negli USA le armi), l’emulazione dei comportamenti di amici e conoscenti e l’esperienza del carcere.

Tra le cause di suicidio c’è oggi anche la tecnologia e l’uso che ne viene fatto nella forma di bullismo digitale, sexting e molestie da parte di adulti nei confronti dei più giovani o tra persone della stessa età. L’essere sempre connessi alla rete e interconnessi tra di loro porta i ragazzi ad una sovraesposizione mediatica che li obbliga a misurarsi pubblicamente attraverso una rappresentazione del sé che avviene in ambiti virtuali ancora poco conosciuti e pieni di nuove sfide. La sperimentazione di un sé esteso e pubblico, nella fase adolescenziale e conflittuale di costruzione della propria identità fatta di continue scelte, può generare nei ragazzi angosce e sofferenze, oltre che paure e dubbi sul proprio futuro e sulla loro identità. La sfida delle nuove generazioni digitali nasce dal dover cercare l’integrazione sociale attraverso una transazione continua mediata tecnologicamente e dalla difficoltà a rapportarsi a genitori e adulti incapaci di comprendere le loro nuove esperienze tecnologiche e gli effetti da esse prodotti.

Molti studi scientifici hanno da tempo evidenziato il ruolo che le nuove tecnologie e i media sociali hanno nell’influenzare o indurre al suicidio o a gesti di autolesionismo personali. Il problema non è per il momento allarmante ma esiste e suggerisce a tutti i genitori Tecnovigili di affrontarlo attraverso una osservazione più accurata del fenomeno tecnologico e dei nuovi stili di vita indotti dalle tecnologie 2.0 e dai social network e dei loro effetti, sia negativi che positivi. L’osservazione deve essere finalizzata a una maggiore comprensione dell’agire delle nuove generazioni online e a prevenirne, con azioni e iniziative adeguate, gli effetti negativi.

Il tema del suicido tra i nativi digitali è diventato oggetto dell’attenzione dei media e degli studiosi perché collegato strettamente al fenomeno del social networking online e alla rivoluzione da esso indotto nella comunicazione e interazione sociale attraverso soluzioni tecnologiche e contenuti generati dall’utente. Il cambiamento è legato alla istantaneità della comunicazione, alla condivisibilità interattiva di informazioni e contenuti, alla globalità delle audience e della visibilità, al ruolo sempre più pervasivo delle tecnologie nelle vite individuali e sociali delle persone.

Il suicidio è un fenomeno che interessa da sempre pubblico e privato e che, soprattutto in questi anni di crisi profonda e globale, ha interessato più di un milione di casi in tutto il mondo. La tecnologia e soprattutto le sue espressioni online e sociali sono una causa crescente di suicidio e tale da richiamare maggiore attenzione e sollecitare nuove riflessioni. La scena è per il momento dominata dalle notizie che raccontano casi di suicidio indotti da comportamenti di bullismo o molestie avvenute sui social network ma il tema del suicidio determinato tecnologicamente è anche oggetto di studio da parte di quanti sono interessati a prevenire il gesto suicida, soprattutto quello delle persone più giovani.

Il suicidio tecnologico è prima di tutto un argomento molto popolare di ricerche, di informazione e di trattazioni online. Innumerevoli sono i siti che parlano di suicidio e numerosi sono anche quelli che riportano notizie sui metodi per suicidarsi o su come fare a uccidersi nel migliore dei modi e offrono spazi chat o forum appositi per parlarne. Ottenere informazioni su come suicidarsi in rete è così facile da far ritenere la rete una delle cause passive possibili di suicidio. Non esistono comunque associazioni strette tra Internet e atti di suicidio che possano permettere una quantificazione statistica degli stessi in modo univoco.

Gli studi scientifici sul tema sono ancora scarsi ma tra gli effetti collaterali della tecnologia c’è anche il contagio di comportamenti tesi al suicidio che può derivare dalla pubblicazione e circolazione di informazioni, immagini e video attraverso i media e online. Le nuove tecnologie sempre connesse e disponibili ovunque e in ogni tempo, hanno la capacità di diffondere, rapidamente e spontaneamente, informazioni, contenuti e comportamenti facilitando l’apprendimento sociale attraverso la semplice osservazione. La popolarità dei social network li ha trasformati in potenti strumenti di emulazione e di condivisione di modelli, di stili di vita e di comportamenti individuali e sociali. Il contagio può nascere dalla semplice notizia, che descrive un nuovo caso di suicidio, riportata su un quotidiano o da un canale televisivo, e dalla durata di esposizione della stessa sui media. A subirne gli effetti sono in particolare giovani e adolescenti con problemi e conflitti esistenziali o che frequentano il mondo online come fuga dalla realtà e alla ricerca di una nuova identità. 

Gli studi fin qui condotti hanno individuato alcune correlazioni tra media sociali tecnologici e suicidio identificando nel bullismo digitale, nelle molestie e stalking online due cause potenti di suicidio, soprattutto nelle nuove generazioni. Tra le vittime di bullismo digitale la percentuale di tentativi di suicidio è doppia rispetto a coloro che non ne sono stati vittima. Il ruolo del bullismo digitale come potenziale causa di suicidio sta nella sua capacità di amplificare sentimenti di isolamento e di solitudine, di instillare insicurezza e instabilità e di creare una situazione di ansia, paura e stress che si traduce in problemi di tipo psicologico e personale.

La facilità con cui è possibile condividere sentimenti e stati d’animo online facilita anche suicidi collettivi, pianificati, concordati e a volte anche portati a termine senza  una conoscenza reciproca ma solo perché concordati online. Questo tipo di comportamenti è più diffuso di quanto se ne parli, soprattutto in paesi come il Giappone nel quale la percentuale di suicidi è da sempre molto alta e nel quale si sono affermati fenomeni come quello degli Hikikomori (引きこもり letteralmente "stare in disparte, isolarsi", dalle parole hiku "tirare" e komoru "ritirarsi"). In Giappone i suicidi di questo tipo hanno superato il centinaio all’anno ma sono in aumento ovunque anche internazionalmente.

Il fatto di poter usare Internet per informarsi su come suicidarsi ha dato origine a forme di suicidio autodidatte teleguidate da forum, chat e siti web e con modalità frutto della creatività individuale condivisa in rete. Molti dei suicidi legati a Internet sono stati documentati, descritti e analizzati in particolare per il loro effetto contagio, soprattutto tra i più giovani. A fornire documentazione sono a volte gli stessi suicidi che sfruttano tecnologie e media sociali come YouTube per i loro messaggi di addio usati in modo disinibito e quasi narcisistico. Alcuni di questi video sono stati guardati e scaricati da milioni di persone e la maggioranza di essi non ha alcuna restrizione che ne impedisca la visualizzazione. Sempre su YouTube si possono trovare numerosi video sul tema del suicidio, alcuni dei quali manifestatamente pro-suicidio e contenenti motivazioni forti per portarlo a termine e immagini altrettanto forti di persone che lo hanno già fatto.

Chat, forum, messaggistica, video e altri prodotti della tecnologia digitale attuale evidenziano la problematicità di questi strumenti quando sono usati da persone o gruppi di persone vulnerabili per i loro problemi psicologici o per situazioni di malessere generate online da comportamenti di sexting, molestia e bullismo digitale o per semplice dipendenza dal mezzo elettronico, sia esso Facebook, Internet, il dispositivo mobile o un videogioco. La problematicità deriva dall’uso che ne viene fatto che può trasformare semplici conversazioni in forme di pressione e nuove motivazioni al suicidio ma anche di riduzione della paura e dei sensi di colpa in persone che sono ancora ambivalenti rispetto al gesto che vorrebbero compiere.

Gli spazi sociali della Rete sono diventati bacheche pubbliche usate per l’ultimo saluto al mondo, per addii a partner e reti di amici e per motivare pubblicamente il perché di un gesto. Questo tipo di messaggi può rimanere online per lungo tempo, influenzare altre persone e concorrere a rafforzare le loro motivazioni a comportamenti lesionistici. Ambienti come Facebook sono popolati anche da reti sociali di estremisti che ideologizzano il suicidio, ma anche l’anoressia o la bulimia e le amputazioni fisiche, come stile e filosofia di vita e forniscono sostegno e giustificazioni filosofiche e ideologiche a credenze e comportamenti inaccettabili nella cultura prevalente.

I media sociali così come Internet possono essere causa di suicidio perché eliminano le barriere geografiche, permettono una comunicazione e informazione globale e rendono possibile conoscenze, contatti, interazioni e relazioni impossibili nella vita reale offline. Allo stesso modo però media sociali e Internet possono diventare strumenti potenti di informazione e conoscenza finalizzate alla prevenzione, al sostegno psicologico e alla formazione.  Su Facebook ad esempio è possibile trovare la pagina della Onlus National Suicide Prevention Lifeline che conta quasi diecimila membri e dispensa periodicamente messaggi positivi utili a persone con problemi ad affrontare la loro vita quotidiana. Numerosi sono i gruppi e le comunità legate al tema del suicidio così come lo sono anche su altri social network o spazi di microblogging e blogging come Twitter e Blogger.com. In alcuni di questi spazi online persone che hanno fatto esperienza e si sono confrontati con la scelta di suicidarsi raccontano, tramite avatar e in forma anonima, le loro esperienze personali fornendo utili spunti per una riflessione approfondita sul problema. Questi spunti possono diventare strumenti importanti che genitori Tecnovigili preoccupati per le situazioni di disagio vissute dai loro figli potrebbero usare a scopo preventivo.

Il bullismo digitale è una delle cause certe di suicidio causato dall’uso della tecnologia. Il collegamento tra causa e effetto è stato certificato da ricerche e studi così come dalla cronaca. Le vittime di bullismo digitale sono più propense a considerare l’ipotesi di un gesto autolesionistico. I casi di tentato suicidio sono in costante aumento, spesso causati da un uso violento e molesto dei social network, usati da compagni di scuola, amanti abbandonati, innamorati respinti per attaccare, anche sessualmente, con testi e immagini pubblicate online le loro vittime designate. La velocità di condivisione di un contenuto su un network sociale con quasi un miliardo e mezzo di associati e la pervasività del dispositivo mobile che garantisce una connessione e un accesso costante, non fanno altro che amplificare il gesto e la potenza della violenza perpetrata. A esserne vittime è quasi la metà dei ragazzi che frequentano i social network. La maggior parte di essi riesce a convivere con il bullismo di cui è vittima, ma alcuni non ci riescono e finiscono per tentare la via d’uscita tramite il tentativo di suicidio, che fortunatamente in molti casi non riesce.

Il fenomeno del suicidio legato all’uso della tecnologia sta diventando così importante dall’aver spinto i produttori di media sociali come Facebook o YouTube ad introdurre nelle loro applicazioni speciali componenti software capaci di raccogliere informazioni sugli utenti che manifestano con i loro scritti tendenze suicide e di produrre dei rapporti con informazioni (nome, cognome, date, pagine personali, siti web, ecc.) utili per un’azione preventiva.

In sintesi

Mantenere alta l’attenzione sugli effetti della tecnologia sulle generazioni di nativi digitali è una necessità.

Il suicidio rappresenta la terza causa di morte tra i giovani e gli adolescenti e sta crescendo anche a causa di problematiche legate a Internet e all’uso delle tecnologie. A rischio sono ragazzi e ragazze con problemi di droga e alcool o ti tipo mentale e psicologico ma anche persone normali quando si trovano ad affrontare situazioni impreviste che non sanno come gestire, sia per la mancanza di adeguate informazioni sia per la forza e la violenza delle pressioni subite. Il rischio è tanto più elevato quanto più è vulnerabile il ragazzo per problematiche legate alla crescita mentale, sessuale e personale nella vita reale di tutti i giorni.

I genitori devono fare i conti con l’assenza di leggi, normative e giurisdizioni in grado di fornire adeguati supporti nella gestione del problema del suicidio legato all’uso delle tecnologie e dei media sociali. Mancano leggi applicabili al monitoraggio e controllo di Internet sia per l’oggettiva difficoltà nel gestire una tecnologia distribuita e globale per definizione, sia per la complessità delle tematiche e per il dibattito pubblico che ogni tipo di controllo della Rete può suscitare. Inoltre il tema del suicidio associato ai media sociali è ancora nuovo e poco analizzato. E’ un fenomeno in evoluzione che la società sta per il momento scoprendo e cercando di comprendere in tutte le sue implicazioni.

I casi di cronaca noti sono segnali che suggeriscono una riflessione attenta, soprattutto da parte dei genitori Tecnovigili, ma non sono ancora sufficienti per dare forma a ricerche, indagini e approfondimenti adeguati. La difficoltà nasce anche dalla contraddittorietà dello strumento tecnologico, capace di alimentare rischi e paure, ma anche di offrire incredibili opportunità positive, utilizzabili anche a scopo preventivo e assistenziale. L’utente stesso, da protagonista della nuova rivoluzione tecnologica, può diventare strumento determinante nella elaborazione di nuovo pensiero e maggiore informazione da cui possono derivare quelle conoscenze necessarie ai ragazzi e ai genitori per affrontare con maggiore preparazione e consapevolezza il problema del suicidio.  

Sexting

Sexting è un termine giovane, coniato nel 2007 e entrato nei dizionari della lingua inglese nel 2009. Con la parola sexting si identifica un comportamento giovanile, diventato subito una moda, che si basa sullo scambio e l’invio di messaggi sessualmente espliciti e di foto a sfondo sessuale. La pratica è spesso guidata dalle buone intenzioni: fotografarsi in pose sexy, inviare le foto agli amici allo scopo di riceverne di simili. Le foto sono in genere realizzate con l’uso del telefono cellulare o del tablet e sono spedite o pubblicate online negli spazi sociali (chat, forum, social network, blog, internet, ecc.) frequentati da reti di amici o semplicemente rese pubbliche. Queste informazioni e immagini sono destinate a rimanere online a lungo e a diffondersi, a volte in modo virale, in modo incontrollabile creando seri problemi alla persona ritratta, filmata o oggetto/vittima del messaggio.

Il termine con cui si identifica la pratica del sexting è ancora contradditorio, soprattutto se usato in senso generale, applicato a persone di età diversa e a situazioni non sempre consensuali. Nel contesto di questo e-book il sexting si riferisce allo scambio di immagini e testi esplicitamente a sfondo sessuale tra minori attraverso l’uso di dispositivi mobili. In questa definizione è assente la pratica dell’invio di immagini a persone adulte, la coercizione e il ricatto, la pratica della prostituzione giovanile e la pedo-pornografia. Tutte queste pratiche vanno però considerate tra gli effetti collaterali e i rischi possibili per scenari sui quali l’attenzione dei genitori non può essere assente.

Il fenomeno del sexting è diffuso in tutto il mondo ma pratica molto diffusa in alcuni paesi come gli Stati Uniti che vede coinvolto il 20% dei ragazzi tra i 16 e i 19 anni o come l’Inghilterra dove lo è il 25% dei ragazzi tra gli 11 e i 18 anni. In Italia il fenomeno interessa un ragazzo su dieci, senza differenza di genere anche se solitamente i maschi sono responsabili dell’invio del messaggio e le femmine le vittime che li ricevono o subiscono la pressione a produrre autoscatti. E’ un fenomeno legato al processo di crescita e all’aumento dell’interesse sessuale. Trova sfogo in pratiche di sexting spesso inconsapevoli che non tengono conto degli effetti collaterali come la produzione di materiale pedo-pornografico che può finire in mani sbagliate e creare problemi seri, emotivi e reali alle persone coinvolte. In alcuni casi il sexting è usato per pratiche di micro prostituzione. Alle immagini esplicite fanno seguito prestazioni sessuali vere e proprie, spesso praticate in luoghi scolastici o domestici.

La pratica che può trasformare la cameretta di un ragazzo/a in una camera oscura, è in molti casi goliardica, scherzosa, divertente e senza cattive intenzioni ma la sua evoluzione in termini esibizionistici e di bullismo digitale ha già prodotto effetti deleteri che hanno richiesto, in alcuni paesi, l’intervento della magistratura per evitare problemi più seri. Il problema non nasce dalle nudità esposte ma dall’uso che ne può essere fatto e dal mercato che le fotografie possono generare. È il frutto di una ricetta che nasce dalla fusione (combustione) di elementi esplosivi come gli ormoni giovanili e le nuove tecnologie e che trova la via per la sua diffusione nell’assoluta assenza di regole, di leggi e di sistemi di repressione. Con l’eccezione di alcuni paesi che sono dovuti correre ai ripari a causa della diffusione esponenziale della pratica del sexting tra gli adolescenti, il fenomeno è per il momento oggetto dell’attenzione pruriginosa dei media e dei giornali alla ricerca costante di fatti sensazionali da sbattere in prima pagina. Mancano studi psicologici e sociologici approfonditi del fenomeno così come scarse sono le indagini che hanno cercato di investigare il fenomeno socialmente e di studiare il ruolo che le tecnologie hanno nello sviluppo della sessualità e dell’emotività giovanile.

La pratica del sexting è strettamente collegata alla centralità che lo smartphone ha assunto nella vita di ogni giovane Tecnorapido per condividere socialmente esperienze e emozioni ma non sarebbe così diffusa se non esistessero fattori psicologici e influenze neuropsichiatriche ben precise. Gli uni e le altre spiegano il fenomeno e evidenziano i rischi associati per il possibile coinvolgimento di persone adulte, per l’uso criminale (abuso sessuale, estorsione, ecc.) e abusivo (bullismo digitale, pedo-pornografia) che delle immagini prodotte dalla pratica del sexting può essere fatto. Un autoscatto o uno scatto rubato possono essere usati per creare emozioni romantiche, per richiamare attenzione e amore o per sperimentare in forma virtuale la propria sessualità. Le motivazioni, i significati e le implicazioni della pratica del sexting possono essere molto diverse. La maggior parte degli scambi avviene tra persone consenzienti e che si conoscono ma nel 38% dei casi le immagini ricevute sono condivise anche al di fuori della rete di amicizie. Gli effetti collaterali si manifestano immediatamente, come testimoniato dal 51% delle ragazze che sostengono di avere ricevuto pressioni da ragazzi per l’invio di foto sessualmente esplicite o dopo la loro condivisione.

La pratica del sexting abbraccia tutte le generazioni dei nativi digitali, ma coinvolge in modo particolare i ragazzi più adulti, senza differenza di genere (il 61% delle ragazze pratica il sexting) e in maniera più coinvolgente nel caso in cui a pagare il costo dell’uso del dispositivo sia il ragazzo stesso. La maggior parte delle immagini sono frutto di autoscatti. I ragazzi non amano farsi fotografare  da altri in pose provocanti e trasgressive e con nudità esposte ma gli incidenti sono possibili e nascono dall’abuso di alcool o droghe. La conoscenza della visibilità online di foto personali provoca tensioni emotive, imbarazzo, paure, arrabbiature e sentimenti negativi.  La preoccupazione è determinata anche dal fatto che le immagini in rete sembrano avere una vita potenzialmente eterna.

Una pratica iniziata per gioco può evolvere verso direzioni ignote e trasformarsi in esperienze da incubo per ragazzi coinvolti emotivamente in relazioni che, anche per l’età, subiscono l’influsso della carica ormonale tipica degli adolescenti, delle loro vicissitudini relazionali e del loro sviluppo sessuale e psichico. Le nuove tecnologie offrono ai ragazzi uno strumento potente per esprimere la loro carica sessuale e condividere la loro trasformazione mentale e psichica. L’uso che ne viene fatto è spesso dettato da mancanza di controllo, dalla prevalenza di impulsi emotivi, dall’assenza di pianificazione, giudizio etico e scelta e dalla commistione di emozioni e pensiero, con la prevalenza delle prime.

Il sexting può essere visto, dal punto di vista clinico e dello sviluppo neurobiologico degli adolescenti, come una pratica guidata prevalentemente dalle emozioni che è spesso impulsiva e senza alcuna riflessione sulle potenziali conseguenze o effetti. Non è un caso che alcuni dei casi più gravi arrivati all’onore delle cronache siano stati generati da situazioni di rottura del rapporto di coppia e reattività emotiva a fronte della percezione di qualche torto subito nella relazione. Vittime principali di queste pratiche sono spesso le ragazze, forzate a condividere foto di sé stesse o a subire la condivisione di loro foto fatta da altri. Fotografie scattate in momenti felici legati ad una relazione e a una sessualità vissuta positivamente possono diventare strumento di ricatto e di pressione, con l’obiettivo di trasformare l’immagine del compagno o della compagna in semplice oggetto sessuale. Le conseguenze che ne derivano possono essere negative per la persona coinvolta ma anche socialmente.

Le indagini sul fenomeno del sexting sono ancora limitate, quantitativamente e qualitativamente, ma sembrano indicare che le nuove tecnologie confermino una cultura sessista che penalizza nei comportamenti l’esplorazione della sessualità, soprattutto da parte delle ragazze, e che creano meccanismi psicologici per cui gli adolescenti sono portati a pensare al proprio corpo come semplice oggetto del desiderio degli altri. Ne derivano situazioni di ansia e di stress, una maggiore vulnerabilità (anche nei confronti di pratiche di sexting), una difficoltà nel riconoscere e comprendere i propri desideri sessuali e a sviluppare una identità sessuale individuale da affermare in una relazione con un partner. Ad essere pericolosa non è la tecnologia in sé ma l’uso che ne viene fatto e che finisce per usurpare scelte comportamentali e pratiche di persone ancora alla ricerca di una loro identità sessuale, maturità personale e capacità di giudizio (scelta).

La diffusione delle pratiche del sexting stanno ponendo nuovi problemi a istituzioni e governi per le loro potenziali implicazioni di tipo legale. Ad oggi la giurisprudenza si è espressa prevalentemente su pratiche che hanno coinvolto bambini in tenera età e in contesti pedo-pornografici. Molto deve ancora essere fatto per affrontare e regolamentare un fenomeno che sembra violare molte norme del buon costume e dell’espressione della sessualità e che può produrre conseguenze tragiche come traumi psicologici e il suicidio. La difficoltà e il ritardo legislativo si spiega anche con la rapidità con la quale la tecnologia evolve, dando forma a nuovi comportamenti e fenomeni sociali. Ne deriva la necessità di puntare ancora di più sulla educazione e sulla informazione. Un compito che spetta ai genitori Tecnovigili, dopo aver compreso il fenomeno della pratica del sexting fino in fondo e in tutte le sue sfaccettature.

L’uso sociale della tecnologia e la sparizione del confine tra realtà online e offline sono due caratteristiche che descrivono il mondo dei ragazzi Tecnorapidi. E’ un mondo nel quale il ruolo genitoriale assume un grande rilievo, soprattutto nella comunicazione su temi come il sesso e i comportamenti sessuali dei minori. Il fenomeno del sexting suggerisce una maggiore urgenza nell’affrontare queste tematiche e a farlo attraverso un dialogo continuativo nel tempo, che dovrebbe essere iniziato prima possibile e essere alimentato frequentemente, durante l’intero periodo di crescita mentale e psicologica e dello sviluppo sessuale dell’adolescente. Un dialogo di questo tipo fornirebbe ai genitori strumenti migliori per intervenire anche sulle pratiche del sexting e per fornire utili indicazioni per gestire le problematiche e le sfide da esse generate. Il dialogo può essere favorito da relazioni familiari positive costruite sul dialogo intergenerazionale ma è diventato un obbligo per tutti i genitori. Al dialogo e all’attenzione su fenomeni tecnologici come il sexting sono chiamate anche le scuole e i loro insegnanti. La pratica del sexting così come il bullismo digitale sono espressione di dinamiche sociali disturbate che trovano spesso terreno fertile nelle scuole e che devono essere percepite, comprese e gestite con sensibilità, conoscenza e evitando comportamenti esclusivamente punitivi o censori.

Genitori, insegnanti, psicologi e adulti che vogliono confrontarsi in modo positivo con il fenomeno del sexting devono accettare lo sviluppo sessuale dei ragazzi, comprendere il ruolo che la tecnologia ha assunto nella loro vita, la loro crescente dipendenza dal mezzo elettronico, l’uso che ne fanno per esprimere i loro sentimenti e il ruolo che nella comunicazione giocano la fotografia, l’autoscatto (selfie) e l’immagine. Devono accettare che il sexting venga percepito dalla maggioranza dei ragazzi che lo praticano come una pratica innocua e una semplice forma di comunicazione relazionale senza conseguenze negative.

Più che agire da controllori e censori conviene fare sentire ai Tecnorapidi la propria presenza informata e la disponibilità ad affrontare senza preclusioni o pregiudizi le problematiche e le pratiche del sexting così come di tutte le altre pratiche alimentate tecnologicamente come il social networking, le smart mobs e le tante vite parallele online. 

Cyberbullismo o bullismo digitale

Con il termine di cyberbullismo (bullismo digitale, bullismo online) si indica un comportamento imbarazzante, umiliante, molesto, violento e prevaricatorio espresso attraverso l’utilizzo di applicazioni Internet, delle tecnologie digitali della Rete e Mobile. E’ un atteggiamento deliberatamente ostile, sistematico e ripetuto nel tempo. Sfrutta le risorse e le funzionalità applicative della rete e può andare facilmente fuori controllo per il ruolo che in esso gioca la tecnologia. Il termine si riferisce a comportamenti riferiti a minorenni ma viene anche usato per descrivere fenomeni di molestie digitali (cybermolestia) che vedono coinvolte anche persone adulte. E’ un comportamento assimilabile, anche legalmente e penalmente, al bullismo della vita reale e in Italia è soggetto ad una legislazione specifica legata a violazioni del Codice civile, del Codice Penale e del Codice sulla Privacy italiani.

Il bullismo digitale si manifesta attraverso l’uso di strumenti tecnologici come dispositivi mobili, computer, tablet ma anche strumenti di comunicazione come social network, media sociali, messaggistica elettronica, chat e siti web. Il cyberbullismo si manifesta solitamente in due modalità, come attacco diretto (messaggi o email testuali, foto e video, pubblicazioni su post o siti web, furto di password, virus, sexting, furto di identità, ecc.) o attraverso il coinvolgimento di terzi. Esempi di bullismo digitale comprendono l’invio di messaggi o email, la diffusione di pettegolezzi o falsità in rete e sui social network, la condivisione pubblica di foto o video imbarazzanti, la creazione di profili falsi e l’uso di siti web o blog per azioni di prevaricazione verso altri. Gli attacchi di bullismo online viaggiano attraverso SnapChat, Facebook, Twitter, email e altre risorse online e possono raggiungere le loro vittime a scuola, a casa, al cinema e in ogni luogo. Per comprenderne la novità e la sua pervasività potenziale il fenomeno deve essere conosciuto nelle sue manifestazioni possibili, compreso nelle sue potenzialità negative e distruttive e  gestito con appropriati strumenti finalizzati alla prevenzione.

Perché si manifesta e perché interessa soprattutto gli adolescenti

Il bullismo digitale, come quello nella vita reale, è spesso espressione di ragazzi che non sanno come gestire in modo positivo le loro emozioni e reazioni. Soffrono per la loro insicurezza e le loro paure, per l’assenza di autostima e per la percezione di avere scarso potere. A volte si sentono a disagio verso persone che percepiscono come diverse da loro, per razza, appartenenza sociale, stili di vita, cultura e comportamenti. A volte hanno timore delle loro abilità e preferiscono evidenziare le debolezze degli altri in modo da evitare di occuparsi delle proprie. Può capitare che nelle loro azioni non riconoscano la specificità di bullismo digitale.

 

Come nella vita reale, il bullismo digitale è un fenomeno generazionale e tipico di persone che stanno sperimentando la transizione tipica dei periodi di sviluppo e di crescita. Gli adolescenti vivono la loro esperienza confrontandosi con il criticismo e la pressione degli adulti e andando alla ricerca di se stessi navigando in un mare di emozioni e cambiamenti fisiologici, spesso in contrasto con le persone adulte che vorrebbero tracciare per loro percorsi e destinazioni. L’esperienza della crescita porta gli adolescenti a preferire il confort derivante dalla frequentazione di gruppi sociali, comunità e tribù. 

Queste realtà sono spesso organizzate gerarchicamente e generano conflitti che possono dare luogo a atti di bullismo finalizzati al predominio del gruppo e al suo controllo. L’appartenenza a un gruppo, anche digitale online, è per molti adolescenti più importante di loro stessi come individui. Nel caso in cui venissero abbandonati o subissero azioni di bullismo, gli adolescenti possono essere portati a colpevolizzarsi e a pensare che in loro ci sia qualcosa di sbagliato. L’assenza della maturità emotiva e di esperienze di vita che potrebbero aiutarli a comprendere e a valutare adeguatamente le azioni di cui sono vittima, può produrre effetti devastanti e conseguenze dannose. 

Il bullismo digitale si manifesta online in modalità diverse a seconda della personalità del ragazzo protagonista del gesto di bullismo. Ragazzi o adolescenti con una elevata visibilità e popolarità online possono scegliere comportamenti da bulli digitali per rimanere visibili e popolari o per colpire altri con l’obiettivo di dimostrare la propria superiorità e potenza. Ragazzi e adolescenti che hanno minore successo sociale online possono al contrario scegliere gesti di bullismo per compensare le loro debolezze personali e scarsa autostima, per mettersi alla pari con amici e compagni di scuole o per colpire persone con le quali hanno difficoltà relazionali.

In cosa è diverso il bullismo digitale

I ragazzi e gli adolescenti che subiscono azioni di bullismo digitale sono spesso state vittime anche di bullismo nella vita reale e faticano a liberarsi dai comportamenti subiti.

A differenza del bullismo nella vita reale il bullismo digitale può avere luogo 24 ore al giorno e sette giorni alla settimana, può essere agito da qualsiasi luogo, non è limitato alla strada o agli spazi di gioco della realtà fisica e può colpire la vittima anche di giorno e di notte, anche quando è da solo. I messaggi e le immagini usate per le azioni di bullismo digitale possono essere pubblicate e distribuite in modo anonimo e raggiungere in tempi rapidi audience allargate che possono contribuire a loro volta ad una maggiore visibilità e replicabilità dell’azione.

La vittima si sente in trappola e nell’impossibilità di difendersi efficacemente. L’anonimato facilita la ripetitività del gesto, aumenta la negatività delle sue ripercussioni sulla vittima e impedisce di trovare un responsabile. Anonimo può anche essere il destinatario, anche se l’oggetto dell’azione di bullismo digitale contiene tutti gli elementi utili ad una sua facile identificazione online. Tracciare queste azioni, la loro fonte e la loro evoluzione in rete è praticamente impossibile, così come è molto difficile riuscire a eliminare rapidamente e completamente i contenuti pubblicati una volta che sono stati messi in circolazione su Internet.

Le manifestazioni concrete del bullismo digitale

Il confine tra bullismo di strada e cyberbullismo è difficile da identificare. Le due forme di bullismo sono simili nello scopo e nelle finalità, nella ripetitività delle azioni (non è mai un semplice scherzo), negli effetti che produce e nella loro contraddittorietà pragmatica legata alle motivazioni e alle intenzioni che hanno scatenato l’azione.

Il bullismo digitale ha obbligato psicologi, insegnanti e genitori a fare i conti con un fenomeno nuovo perché condizionato tecnologicamente e perché ha imposto la revisione di approcci, rimedi e programmi per prevenirlo, gestirlo e curarlo. La scarsa conoscenza tecnologica degli adulti impedisce loro di comprendere in che modo si può manifestare un comportamento da bullo digitale, come se ne può essere vittima e quali ne siano gli effetti immediati e di lungo termine.

In Rete le forme in cui si manifesta il bullismo digitale sono almeno cinque:

  • Ricerca di potere e dominio sugli altri: si manifesta con azioni finalizzate a catturare l’attenzione, a mantenere il controllo e a intimidire ripetitivamente la vittima designata
  • Azione di riscatto personale e/o di vendetta: praticato spesso da persone che sono state vittime di bullismo digitale nel passato e cercano un riscatto personale sfruttando le loro conoscenze tecnologiche per azioni di bullismo mirate
  • Difesa dei più deboli: forme di bullismo praticate da ragazzi che si ergono a paladini e difensori di compagni o amici che hanno subito azioni di bullismo e cercano la vendetta al loro posto. I protagonisti di questa forma di bullismo non si percepiscono come cyberbulli perché trasformano i loro comportamenti in azioni di giustizia. Gli effetti sulle vittime potenziali non sono molto diversi da quelli subiti dalle persone che vogliono vendicare.
  • Ricerca di puro divertimento: spesso praticato dalle ragazze è un bullismo digitale finalizzato a sconfiggere la noia e a procurarsi divertimento. Si esprime nel mettere in cattiva luce o penalizzare altri mirando al tempo stesso ad aumentare la propria popolarità online
  • Casuale e non percepito: forma di bullismo che nasce da un utilizzo superficiale e spesso idiota delle risorse della rete e che non considera l’impatto delle sue conseguenze sulle vittime. Non è un bullismo intenzionale ma produce le stesse conseguenze negative.

Gli effetti del bullismo digitale

La tecnologia usata per le azioni di bullismo digitale non è che un mezzo e non può essere colpevolizzata per le conseguenze che ne derivano.

Dispositivi Mobile e social network sono usati dalla stragrande maggioranza dei ragazzi Tecnorapidi a scopi e finalità positive e utili alle loro attività relazionali, al loro divertimento e al loro benessere psicologico. Gli stessi strumenti possono però essere usati anche per finalità diverse come ad esempio il cyberbullismo. Gli effetti sono gli stessi causati dal bullismo nella vita reale.

Questi effetti si esprimono nei comportamenti dei ragazzi che ne sono stati vittima e che si manifestano nella maggiore propensione all’uso di alcool e droghe, a marinare la scuola o a frequentarla svogliatamente con conseguenze negative in termini di apprendimento e votazioni, a sperimentare a loro volta azioni da cyberbulli verso altri compagni e compagne, a perdere l’autostima e a soffrire maggiormente di problemi fisiologici e psicologici.

Il bullismo digitale ha immediate e più ampie ricadute sociali per il ruolo che la tecnologia può giocare nell’amplificare l’azione di bullismo, per l’uso che ne può essere fatto e per la viralità che può trasformare una semplice azione in una azione collettiva e da ‘banda di bulli digitali’. Il bullismo digitale incide socialmente nell’alimentare paure e interventi censori sull’uso della tecnologia da parte di genitori e insegnanti preoccupati delle conseguenze che un’azione di bullismo digitale potrebbe avere sui minori.

Le implicazioni psicologiche del bullismo digitale superano di gran lunga quelle del bullismo nella vita reale. Il primo effetto è la sua durata nel tempo, quasi permanente nella vita virtuale online (per i ragazzi le due vite, reali e virtuali si sovrappongono e confondono). Gli effetti traumatici di tipo psicologico possono essere seri e causare ansia, depressione, disordini emotivi e, in alcuni casi, portare la suicidio.

Come il bullismo digitale si manifesta online

Il bullismo digitale si manifesta online in due modalità diverse, attraverso attacchi diretti o attacchi indiretti e pensati per permettere ad altri di agire da bulli o api regine. Il primo avviene solitamente tra persone della stessa generazione, il secondo coinvolge anche persone adulte nel ruolo di portatori di molestie e di attacchi personali legati a fini sessuali e/o pornografici.

Gli attacchi diretti passano attraverso l’utilizzo di risorse tecnologiche diverse disponibili online, l’uso che ne viene fatto e le abitudini che alimentano e sfruttano le vulnerabilità delle persone coinvolte.

Tra gli attacchi diretti principali che i genitori Tecnovigili devono conoscere:

  • Molestie attraverso messaggi, spesso provocate senza rendersi conto della loro gravità o delle conseguenze ma soprattutto della diversità dell’ambiente virtuale nel quale vengono praticate. Alcune di queste molestie possono essere intenzionali o causate da scelte, non sempre razionali, fatte online come ad esempio la segnalazione di comportamenti inappropriati, anche quando non lo sono, che possono portare all’esclusione di ragazzi da gruppi, reti o comunità sociali. Queste molestie possono trovare espressione in pagine web create ad arte per ferire o colpire una persona, in azioni coordinate e virali messe in atto in rete da ragazzi che agiscono come vere e proprie bande per molestare in gruppo una singola persona e nell’invio di messaggi così come di foto e video. 
  • Furto delle password di accesso a spazi frequentati dalla vittima allo scopo di comunicare o pubblicare contenuti offensivi o molestare amici e conoscenti assumendo a sua insaputa la sua identità. La password può essere usata per modificare il profilo della vittima includendo ad esempio informazioni razziste, sessuali o inappropriate e tali da attirare l’attenzione o di offendere altre persone. A volte l’uso abusivo delle credenziali di accesso è volto ad impedire alla vittima l’accesso al suo account o profilo online o per azioni criminali dirette ai suoi dispositivi personali. 
  • Uso di blog personali per danneggiare la reputazione o invadere la privacy delle persone vittime di bullismo. Ad esempio possono essere pubblicati e condivisi fatti e informazioni sulla rottura di una relazione insistendo sul ruolo distruttivo e negativo svolto da uno dei partner, con l’intenzione di farlo sentire in colpa e sotto attacco, soprattutto se queste informazioni sono false o solo verosimili. Azioni simili possono essere condotte anche attraverso siti web o pagine dei social network. Questi ultimi si prestano ad attacchi diretti più pericolosi perché sfruttano la viralità e la logica delle reti che è alla base delle applicazioni di social networking.

 

  • Invio di immagini a sfondo esplicitamente sessuale via posta elettronica o attraverso dispositivi mobili. L’invio dell’immagine può essere diretto a destinatari diversi con l’obiettivo di un loro intervento attivo nella sua diffusione attraverso le stesse modalità o in rete. Una volta che l’immagine è stata spedita non c’è alcun modo per controllare in che modo si diffonda in rete e chi possa raggiungere. Molti nuovi dispositivi mobili possono impedire l’invio e lo scambio di immagini o fotografie ma sono raramente configurati per farlo. La modalità con cui il ragazzo nativo digitale usa il suo smartphone facilita la diffusione delle immagini, soprattutto se sono ritenute sessualmente provocanti o pornografiche. L’atto viene spesso compiuto senza alcuna consapevolezza o per semplice scherzo e divertimento (foto rubate in bagno o negli spogliatoi di una palestra) degli effetti o delle conseguenze. 
  • Molestie e abusi verbali praticati attraverso e durante la pratica di giochi interattivi online. Sfruttando le funzionalità di comunicazione e condivisione online dei videogiochi i ragazzi possono agire da bulli digitali insultando o molestando altri giocatori, escludendoli dal gioco o sostituendosi a loro dopo aver rubato le loro credenziali di accesso. 
  • Uso di sondaggi online che possono trasformarsi in strumenti offensivi verso altri. Molti ragazzi usano questi strumenti online, disponibili anche attraverso i social network, per stilare delle liste di chi è più bello, amato, trendy, ecc. I risultati possono essere pilotati per risultare offensivi o percepiti come tali dalle potenziali vittime. 
  • Invio di codice e software malevolo comprendente virus e spyware capace di danneggiare i dispositivi delle vittime. L’obiettivo mira raramente alla distruzione del computer quanto allo spionaggio in modo da collezionare informazioni utili a nuove azioni di bullismo digitale. 
  • Invio di immagini pornografiche attivato attraverso siti porno che usano le email delle vittime, fornite dai bulli digitali, per l’invio di migliaia di email contenenti foto o video imbarazzanti e umilianti per ragazzi adolescenti 
  • Gioco di ruolo con il quale il bullo digitale agisce da vittima invitando amici e contatti ad agire contro la vittima designata reale di cui fornisce online le informazioni utili per azioni concrete di bullismo digitale.

La seconda manifestazione di bullismo digitale è di tipo indiretto e si ha quando il bullo digitale attiva qualcuno o qualcosa ad agire in vece sua. Le persone coinvolte sono spesso inconsapevoli o non sospettano di agire come complici in una azione di bullismo e non si rendono conto di essere manipolati da un bullo reale che potrebbe anche essere un molestatore o predatore sessuale.

Per come viene praticato il bullismo digitale indiretto (cyberbullismo by proxy) è la forma più pericolosa di bullismo perché coinvolge anche adulti e persone che non sanno di agire contro un ragazzo o persone di loro conoscenza. La modalità più semplice e la più usata da molti ragazzi è quella di segnalare, usando i bottoni e le funzionalità predisposte, sui social network che le attività della vittima designata sono da condannare. La conseguenza è spesso la cancellazione o sospensione dell’account e, benché le società come Facebook abbiano attivato meccanismi adeguati a individuare eventuali forzature o segnalazioni fasulle, il danno è spesso provocato dalle stesse reazioni violente o inappropriate della vittima. A volte ad essere presi di mira sono i genitori della vittima che ricevono email false che suggeriscono loro di punire i figli per qualcosa che non hanno fatto.

Molti atti di bullismo digitale indiretto nascono da bulli che vestono i panni delle vittime (lupi nelle vesti di agnelli) per portare a termine i loro attacchi e scatenarne di nuovi proprio per avere assunto il ruolo della vittima. L’azione è spesso condotta dopo aver preso possesso degli account e delle credenziali di accesso delle vittime reali e agito in loro vece con azioni di molestie e bullismo verso loro amici e conoscenti provocandone la reazione.

Cyberbullismo e ruolo dei genitori

I comportamenti di cyberbullismo comprendono alcuni degli atteggiamenti descritti in altre parti dell’e-book come ad esempio il sexting e hanno sostituito molti gesti che caratterizzano il bullismo della vita reale. Oggi in Italia il bullismo digitale interessa il 34% dei ragazzi e si manifesta in varie forme, dalla violenza e dal vilipendio verbale in chat o sui social network, dall’invio di foto o video con contenuti minacciosi, offensivi o ricattatori, dalle minacce alle informazioni false. 

Una ricerca condotta da Kaspersky Lab e B2B International ha rivelato nel 2014 che il 22% dei genitori non si sente in grado di tenere sotto controllo ciò che i propri figli fanno o vedono online. Percentuale che sale a quasi la metà (48%) se si parla invece di una vera e propria preoccupazione nell’eventualità di dover affrontare il cyberbullismo o bullismo digitale.

Gli adulti che con le migliori intenzioni vogliono garantire ai propri figli la loro privacy rischiano di metterli maggiormente a rischio di molestie o abusi. Ad esempio solo il 19% afferma di essere amico o di seguire i propri figli sui social media e solo il 39% monitora le attività online dei figli. Solamente il 38% afferma di aver affrontato con loro la questione dei rischi, il che potrebbe essere sintomatico di una mancanza di fiducia e comprensione della gravità della situazione.

La ricerca ha riscontrato come i bambini siano spesso riluttanti nell’ammettere di essere stati oggetto di cyberbullismo: il 25% dei genitori di bambini molestati online dice di esserne venuto a conoscenza molto tempo dopo. Un dato davvero preoccupante perché gli abusi virtuali possono facilmente trasformarsi in atti di bullismo reali, come rivelato dal 26% dei casi di genitori che lo hanno scoperto successivamente.

Il cyberbullismo può avere effetti devastanti nel lungo periodo sull’equilibrio psicologico dei ragazzi e i genitori devono sapere cosa fare per fermarlo. Secondo questo studio il 44% dei genitori i cui figli sono stati oggetto di cyberullismo è intervenuto per prevenire la cosa, mentre più della metà non lo ha fatto.

Internet porta con sé grandissimi benefici ma purtroppo consente ad alcune persone di dare libero sfogo al loro lato distruttivo. Il cyberbullismo è diventato un problema molto diffuso. Chi ne è vittima può andare incontro a danni psicologici gravi e duraturi. Probabilmente a questo problema non c’è una soluzione tecnologica ma dobbiamo far crescere la consapevolezza e aiutare i giovani e i loro genitori a trarre solo il meglio da ciò che Internet può offrire.

Può risultare difficile prevenire il cyberbullismo, ma seguendo alcuni semplici accorgimenti è possibile proteggere i bambini dal fenomeno e dalle sue conseguenze. Per esempio modificare le impostazioni per la privacy dei social network consente agli adulti di aiutare i bambini a controllare chi può vedere i post e scrivere messaggi. Un corretto utilizzo di tutte le impostazioni del Parental Control e delle applicazioni software e soluzioni di sicurezza può contribuire ad una maggiore protezione e tranquillità.

E’ necessario andare oltre la tecnologia. Un genitore deve spiegare ai figli l’importanza di proteggere e non condividere le informazioni personali, di non rivelare online dettagli quali indirizzo, scuola, numero di telefono e di carta di credito, di fare attenzione a ciò che viene condiviso e con chi, e infine di sapere a chi chiedere aiuto quando si sentono prevaricati da qualcuno o in pericolo. 

Stalking digitale

Lo stalking digitale (stalking online, stalking telematico) può essere considerato una manifestazione di bullismo digitale. Coinvolge persone di tutte le età ma ha valenze particolari quando riferito ai ragazzi delle nuove generazioni di nativi digitali, da me individuati come ragazzi Tecnorapidi. E’ un fenomeno in crescita esponenziale che ha trovato terreno fertile nella pratica del social networking e che genera nuove ansie e paure nelle persone che ne sono vittime, portate a vivere nel terrore di essere controllate e pedinate online dai loro aguzzini e stalker. Sono ansie e paure che possono rovinare la vita di una persona ma che non hanno ancora trovato il modo di esprimersi in denunce per le violenze subite, per il timore di non riuscire a dimostrarle nella sua disambiguità. Lo stalking è spesso percepito come un crimine contro le donne, in realtà coinvolge, in misura minore, anche i maschi (35% dei casi di stalking online). Le donne temono la violenza sessuale, le minacce e le ingiurie, i maschi il danno alla reputazione, le ripercussioni finanziarie e i problemi lavorativi e professionali.

Le metodologie adottate dagli stalker digitali sono tra loro simili e consistenti, nelle motivazioni e nel loro essere irrispettose delle loro vittime. Fanno uso di strumenti tecnologici come computer, dispositivi mobili, GPS, APP e social network. Prevedono la pubblicazione di false informazioni o accuse con l’obiettivo di rovinare la reputazione della vittima e di attaccarla, la raccolta di informazioni sulle vittime predestinate, il monitoraggio (pedinamento online) delle loro attività in Rete, il coinvolgimento di altre persone nel molestare le potenziali vittime, l’attacco e la violenza utilizzando dati personali, spazi sociali e strumenti tecnologici come smartphone (attraverso l’invio di virus), il furto di identità per acquisti o attività online e l’imposizione di un incontro dal vivo.

Lo stalking digitale è sempre legato all’uso della tecnologia ma ha connotazioni diverse a seconda che la tecnologia sia un semplice strumento di stalking ‘tradizionale’ o il luogo nel quale esercitare l’azione di stalking. In questo secondo caso non ci sono azioni di stalking nella vita reale anche se, in termini di effetti psicologici e conseguenze, la vita offline della persona ne risulta comunque rovinata.

Il fenomeno è relativamente nuovo ma si va diffondendo come effetto collaterale dell’evoluzione tecnologica, della comunicazione online e del successo dei social network. E’ un fenomeno in crescita soprattutto tra le nuove generazioni e trova alimento dal loro essere sempre connesse, frequentatrici assidue di social network e degli spazi abitati e sociali della Rete. L’esposizione online e la disponibilità a raccontarsi, condividere e farsi localizzare hanno trasformato le nuove generazioni in facili prede di molestatori che come loro abitano la Rete e ne sperimentano le componenti sociali.

La specificità dello stalking digitale, anche nella forma di sexting e cyberbullismo, è legata alla virtualità degli spazi nei quali è praticato. La vulnerabilità di una persona nel cyberspazio è diversa da quella sperimentata nel mondo fisico e reale. E’ più difficilmente identificabile perché rappresentata in forme intangibili costituite da numeri, narrazioni e informazioni digitali. Nel mondo virtuale ad essere rubate e minacciate sono le informazioni e le loro rappresentazioni online nella forma di oggetti tecnologici come profili Facebook o Pinterest, account Twitter o SnapChat, messaggi e blog. Il fatto che queste informazioni sono disponibili online le rende visibili ad un numero maggiore di persone e strumento di un numero potenzialmente crescente di attacchi, che possono essere sferrati da ogni luogo e in ogni tempo.

Secondo Wikipedia lo stalking digitale è una pratica online che mira a molestare e a offendere in modo criminale un individuo, un gruppo di persone o organizzazioni e a farlo con atti ripetuti di comunicazione digitale. A differenza dalle pratiche di stalking nella vita reale, lo stalking digitale avviene nella realtà virtuale online e attraverso l’uso di tecnologie dell’informazione come Internet, Facebook, Amazon e altri ambienti simili di media sociali. Le molestie possono assumere forme diverse ma hanno un denominatore comune nel non essere desiderate e dal loro essere illegali, violente, subdole e ossessive.

Gli stalker digitali hanno caratteristiche simili a quelle degli stalker analogici e sono entrambi motivati dal desiderio di dominare le loro vittime. Gli stalker possono essere persone sconosciute e incontrate causalmente in Rete o persone che si conoscono, possono agire in modo anonimo e individuale o coinvolgere altre persone che possono anche non conoscere la vittima predestinata o sapere di essere coinvolti in una attività di stalking.

I comportamenti degli stalker digitali sono spesso confusi con quelli dei predatori sessuali, dei pedofili e dei Cyberbulli ma vanno studiati, compresi e gestiti con approcci diversi. I cyberstalker fanno uso di posta elettronica, messaggi istantanei, telefonate e altre forme sociali di comunicazione online per compiere azioni che vanno da messaggi e comunicazioni indesiderate e inappropriate, a vere e proprie forme di molestia, anche sessuale, nei confronti delle vittime designate.

Il termine di stalker digitale, nell’uso comune, si presta a diversi significati semantici. I ragazzi lo usano spesso, anche con una accezione positiva e divertita,  per indicare chi segue le loro attività sociali sui social network, comprendendo in questa categoria di persona anche genitori e parenti impegnati a controllarli e a monitorarne le azioni. E’ importante spiegare ai ragazzi la differenza tra le varie forme di stalking in modo da dare loro gli strumenti utili a individuare quelli reali, criminali e pericolosi e a scoprire lo stalker anche tra i loro amici e conoscenti.

Lo stalking digitale si manifesta online attraverso l’uso di tecnologie in modalità diverse come:

  • Furto di password e appropriazione indebita di risorse online come profili, blog, pagine Facebook e caselle di posta elettronica
  • Raccolta di informazioni online seguendo le numerose tracce lasciate in rete durante attività, frequentazioni, processi di acquisto, relazioni
  • Uso delle informazioni acquisite per interagire con la potenziale vittima o per coinvolgere altre persone nell’azione di stalking, ad esempio con la pubblicazione di commenti negativi o intimidatori
  • Utilizzo di dispositivi e tecnologie Mobile sfruttando le loro vulnerabilità hardware e software ma soprattutto le cattive pratiche ad essi associate
  • Attivazione di sistemi e applicazioni di geolocalizzazione per seguire passo per passo la vittima predestinata
  • Installazione di software spyware sul dispositivo mobile della vittima e a sua insaputa
  • Frequentazione e uso dei network sociali come Facebook per sferrare attacchi attraverso la pubblicazione di testi, immagini e video finalizzati all’azione di stalking

Il cyberstalking è una minaccia reale e in crescente diffusione anche in Italia. Il fenomeno cresce perché Internet è diventata una risorsa di svago e lavorativa delle persone, indispensabile e sempre presente nella vita personale ma soprattutto in quella sociale e relazionale. E’ nella Rete che nascono oggi conoscenze, reti sociali, amicizie e legami affettivi ed è Internet lo strumento usato da molti per andare alla ricerca della felicità e di nuova serenità. Lo stalking digitale è violento e pericoloso perché capace di minare la tranquillità di un individuo e in particolare di trarre vantaggio della vulnerabilità di persone che, come i giovani Tecnorapidi, sono ancora alla ricerca di una loro maturità individuale. Anche se raramente lo stalking digitale sfocia in violenza fisica, la vittima cade in uno stato di terrore esistenziale dipendente dal ruolo che le tecnologie giocano nel renderle sempre raggiungibili e si vede obbligata a cambiare abitudini e stili di vita e anche a rinunciare alle vite virtuali e parallele della Rete.

Mancando in Italia una giurisdizione adeguata del fenomeno, il genitore Tecnovigile deve puntare tutto sulla conoscenza del fenomeno e sulla prevenzione. Nel farlo deve accrescere le su conoscenze tecnologiche ma soprattutto la capacità di comunicare e interagire con figli e figlie in modo da essere percepiti come presenti e capaci di aiutare nel caso in cui si trovassero vittime di stalking. 

La solitudine dei ragazzi Tecnorapidi

“Gli adolescenti evitano di fare telefonate, per paura di rivelare troppo, preferiscono mandare un SMS o usare WhatsApp che parlare. [..] Gli adolescenti sono attratti dalla comunione tecnologica: parlano facilmente di robot che sarebbero compagni sicuri e affidabili. […] Dopo una serata di dialoghi tra avatar in un gioco in rete, in un certo momento sentiamo di avere una vita sociale piena, e nel momento successivo [quando spegniamo il gioco] ci sentiamo stranamente isolati, in una debole complicità con degli sconosciuti.”

Sherry Turkle, Insieme ma soli

“Sconfiggeremo le nostre solitudini e quelle dei nostri figli quando sapremo riaprire gli occhi alla bellezza dell’incontro con l’altro”

- Don Mimmo Battaglia

“Dopo dieci mesi di arresti domiciliari e a un mese dal tornare libero, un teenager senza nome, ha alzato la voce per dire che non aveva più giochi con cui giocare sulla sua Xbox. Rompendo le regole che lo obbligavano agli arresti in casa, l’adolescente ha deciso di uscire perché la solitudine nel mondo reale era troppo grande da sopportare, nonostante l’ampia disponibilità di contatti virtuali grazie all’accesso internet. Prima di uscire il giovane ha chiamato la polizia anticipando il suo arrivo con la richiesta di essere arrestato e condotto in prigione. Meglio stare con sconosciuti in una cella che da solo in casa e in compagnia online”

– Cronaca dall’Australia

 

La data, 10 febbraio 2014, è una delle tante che si potrebbero ricordare. La notizia anche, è l’ennesimo suicidio di Nadia, una giovane poco più che quattordicenne. Il luogo Fontaniva, uno qualsiasi della provincia italiana. Online si faceva chiamare Amnesia, si è buttata dal tetto di un hotel dopo aver scritto cinque lettere, una delle quali alla nonna, ed è morta dopo un volo di trenta metri. La sua non è stata una decisione improvvisa o un colpo di testa. Non lo è mai! Pianificava il suo gesto da tempo e usava i social network per manifestare il suo disagio crescente e per richiamare, anche con gesti autolesionistici, l’attenzione degli altri. Non ha ricevuto risposte e tantomeno aiuto! 

Nessuno ha voluto sentire e ascoltare, nessuno ha capito, anzi qualcuno ha infierito con frasi e comportamenti che forse hanno scatenato la decisione finale. Di questa ragazza non si conoscono le difficoltà nella vita reale se non quelle che si possono immaginare perché associate alla difficoltà di crescere e alla fragilità tipica dell’adolescenza. Di lei rimangono i profili social e digitali e la sua presenza in ambienti come il social network Ask.com (creato da due fratelli lettoni conta più di 60 milioni di iscritti che interagiscono tra loro senza neppure conoscersi e viene usato specialmente per dire ciò che non si ha il coraggio di dire personalmente), usato da moltissimi adolescenti come palestra per nuove pratiche sociali fatte di incontri, scambi, verifiche reciproche e anche molta cattiveria e comportamenti di cyberbullismo. Solo così si spiega come, di fronte al grido di aiuto espresso da Amnesia, anche con l’aiuto di una iconografia grafica finalizzata alla ricerca di aiuto (una immagine di donna in bianco e nero con la scritta Help!), il social network si sia trasformato in un canale di insulti e di incoraggiamenti a fare veramente quello che aveva manifestato come una scelta possibile, il suo suicidio. 

Leggere le frasi scambiate (“Sei una ritardata, grassa e culona, fai finta di fumare, ma non aspiri, fai finta di bere, ma non bevi, fai finta di essere depressa per attirare l'attenzione, sei patetica”.) aiuta molto a comprendere come la solitudine portata all’interno di un social network possa trasformarsi in isolamento, generare maggiore tristezza e tradursi in scelte drammatiche come “Vado a buttarmi dal tetto dell’hotel…”. 

Una richiesta di aiuto reale è stata percepita dai contatti della rete di Amnesia (più di mille i messaggi scambiati e pubblicati) come posa, come atteggiamento ‘dark’, come provocazioni. Ai suoi messaggi ha ricevuto insulti (“Sei una che sta bene da sola, sei una persona schifosa”) e inviti a fare quello che diceva di voler fare (“spero che uno di questi giorni taglierai la vena importantissima che ce sul braccio e morirai!!!! “). 

Dopo essere stata invitata a mostrare i danni autolesionistici che si infliggeva, Amnesia aveva ceduto alle richieste scrivendo «Secondo me, i tagli sono tutti delle piccole bocche che gridano aiuto». Poi si è buttata da 30 metri di altezza. 

Quella di Nadia è una storia come tante, molte delle quali vissute nel silenzio individuale e familiare e mai finite sotto il faro dei media. Sono storie di cui non si può non tenere conto se ci si vuole interrogare seriamente sul disagio delle nuove generazioni e sulla loro inquietudine che passa sempre più attraverso la mediazione della tecnologia e che confonde il loro modo di sentire, di pensare e vedere la realtà e di agire. 

Finiti i tempi in cui i giovani miravano a realizzare l’impossibile (la generazione dei Baby Boomers) e a farlo anche lottando e prospettando cambiamenti radicali, come risultato della loro capacità e forza nel praticarlo, i giovani di oggi sembrano essersi rintanati all’interno di riserve speciali (social network ma anche video-giochi) nelle quali il futuro pare essersi fermato. Sono riserve digitali e virtuali, altamente tecnologiche, che offrono una infinità di nuove esperienze coinvolgenti e attraenti ma sono anche spazi chiusi nei quali rintanarsi per necessità, paura, e mancanza di alternative. Sono spazi nei quali i giovani coltivano i loro sentimenti e le loro relazioni simulate come se fossero tanti oggetti elettronici (bottoni di ‘like’ e ‘emoticon’ vari) con cui giocare insieme.

 

La necessità dei Tecnorapidi è di fare gruppo, formare reti sociali o tribù per comunicare, condividere e dialogare in modo da superare la solitudine e l’isolamento. Pensano di poterlo fare grazie ad una comunicazione e interazione tecnologica ininterrotta, veloce e quasi telegrafica e adottandone le sue nuove regole. Lo fanno perché, come tutti gli adolescenti che li hanno preceduti, hanno bisogno di relazioni empatiche, di ritrovarsi insieme ad altri intorno a valori e passioni, di dare forma alla loro identità e personalità, di esprimere e gestire i loro sentimenti e, nel fare tutto ciò, di scoprire sé stessi. Rispetto alle generazioni precedenti il gruppo, la rete sociale e la comunità non sono più destinazioni di scopo di emancipazione e utopia (etopia) sociale ma semplici spazi di auto-rappresentazione individuale nei quali essere visibili e riconosciuti attraverso la produzione di contenuti e azioni online.

I nativi digitali comunicano tra di loro attraverso dispositivi mobili e social network. La popolarità di Facebook tra gli adolescenti ha stimolato numerose ricerche sulla relazione tra il social network e la solitudine dei ragazzi, uno stato d’animo che caratterizza frequentemente l’adolescenza. Molti adolescenti usano Facebook per sfuggire alla loro solitudine ma i motivi e le scelte, che determinano i loro comportamenti online, possono avere risultati contradditori e non necessariamente positivi. Facebook può essere usato semplicemente per creare nuovi contatti o per migliorare e compensare le proprie abilità sociali.  Nel primo caso può derivarne una minore solitudine, nel secondo caso un’autostima inferiore e un aumento del senso di separazione dagli altri. Rimane per il momento sconosciuto quanto l’abilità sociale praticata online si traduca in abilità nella vita sociale reale.

La solitudine è una condizione strettamente collegata ai tratti della personalità ma anche un prodotto delle caratteristiche di un contesto e delle azioni adattative dell’individuo per superare il divario esistente tra desiderio di relazioni sociali e risultato ottenuto. E’ una solitudine che non rimane uguale nel tempo, ma cambia con la maturazione del soggetto e lo sviluppo di nuove abilità sociali e relazionali. La paura è di non riuscire a entrare in possesso della propria vita dandogli una destinazione di scopo (cosa voglio essere) e un obiettivo raggiungibile (cosa voglio diventare). La mancanza di alternative deriva dal venire meno del supporto di strutture sociali, che sono sempre state importanti nella formazione dei ragazzi come la famiglia, la scuola e la chiesa (oratorio) e la politica. Ne consegue un grande smarrimento che non trova risposte perché il dialogo e la conversazione familiare si è ormai ridotta ai pochi caratteri di un cinguettio, la scuola è diventata un ambito nel quale prendere atto della frustrazione degli insegnanti e della inutilità della protesta o dell’arrabbiatura, e infine la chiesa ha perso la capacità di illuminare e guidare perché non possiede più il linguaggio per farlo. Non serve fare alcun accenno alla politica, considerato il livello di decadimento da essa raggiunto in Italia e dallo scarso aiuto che ci si può aspettare, come giovane, come genitore e come insegnante.

La mancanza di riferimenti, di dialogo e di sintonia cognitiva con i protagonisti adulti ha trovato risposte concrete nella tecnologia e nei suoi prodotti. Questa sintonia e le pratiche diffuse nell’uso di nuove tecnologie Internet, Mobile e di media sociali, hanno definito la personalità delle nuove generazioni, in termini di gusti e preferenze, di comportamenti e abitudini, così come di problematiche e sofferenze, di dipendenze e ricerca di benessere. Per capire quanto influisca un social network nella vita di un adolescente bisogna avere chiaro quanto invasiva e presente sia la solitudine nella sua vita. Tutto dipende dai tratti della sua personalità (estroversione-introversione, gradevolezza-sgradevolezza, coscienziosità-negligenza, nevroticismo-stabilità emotiva, apertura mentale-chiusura mentale - teoria di McCrae e Costa9) e dalla sua minore o maggiore capacità a relazionarsi con gli altri a livello cognitivo, emozionale e comportamentale.

Le nuove generazioni (Millennium, Y, touch e Z) sono rappresentate da persone giovani, che hanno dai 18 ai 24 anni (persone nate tra gli inizi degli anni 80 e i primi anni 2000) e centinaia di connessioni Facebook ma che hanno imprigionato tutto il loro mondo relazionale in una  stanza chiusa, fatta di molta virtualità online e minore realtà fisica, non perché non amino la seconda ma perché la considerano meno eccitante e interessante della prima.

La vita sociale dei giovani avviene oggi sia online sia offline. Internet e il social networking hanno un impatto forte sui comportamenti sociali degli adolescenti e sulle loro relazioni interpersonali. Ambienti come quelli di Facebook sembrano contribuire a ridurre il senso di isolamento e ad aumentare il capitale sociale dell’adolescente. I ragazzi che non utilizzano Facebook possono sperimentare una maggiore solitudine sociale ma avere relazioni familiari migliori dei coetanei che fanno uso di Facebook. La solitudine dell’adolescenza è spesso conseguenza diretta della lotta per rendersi autonomi e indipendenti dai genitori e per creare maggiori e più profondi contatti tra coetanei. Fallire in una o entrambe di queste azioni si traduce spesso in sentimenti di solitudine e isolamento e in nuove forme relazionali con genitori e coetanei. Familiari e amici sono fondamentali nel fornire il sostegno necessario ad affrontare le problematiche adolescenziali ma anche nel causare forme diverse di nuove solitudini e/o psicopatologie. Facebook stimola l’interazione sociale ma ruba tempo a relazioni familiari e amicali più profonde ed emozionalmente gratificanti. 

I ragazzi Tecnorapidi vivono rispecchiandosi nel web, nel quale si sono chiusi dentro, per sfuggire alle difficoltà oggettive della vita reale e per conquistare nuova socialità e convivialità. Lo fanno con i loro amici che, come loro, costruiscono monadi digitali, tra loro tutte interconnesse ma impenetrabili (le monadi10 di Leibniz non hanno finestre e neppure connessioni USB) e tutte rigorosamente diverse perché frutto della rappresentazione della mente di ognuno di loro e proiezione delle loro paure, idealizzazioni, pensieri e bisogni. Una motivazione forte esiste in tutti gli adolescenti che scelgono il social networking come strumento per superare la loro condizione di solitudine nella vita reale e combattere l’isolamento. La comunicazione online facilita il superamento di timidezza e inibizioni personali, compensa la scarsa abilità nel coltivare relazioni sociali e favorisce la creazione di nuovi contatti e legami. Non è detto che però funzioni!

La preferenza verso la virtualità è così forte che persino un’attività fisica per definizione e per natura come la sessualità diventa un’esperienza solitaria, da vivere in rete e online, senza la presenza di un corpo vero e fisico da toccare e accarezzare. Lo ha evidenziato nel 2013 una ricerca condotta dalla società di andrologia italiana che ha raccontato di una generazione di giovani ipoattivi sessuali che non hanno timore a confessare il loro limitato desiderio per una fisicità concreta ed uno più ricercato di sessualità virtuale e online. 

Molti comportamenti dei nativi digitali nascono da miti e percezioni sbagliate quali l’idea che la vita sociale offline sia diventata più insignificante e inefficace socialmente di quella online e che la socialità possa essere meglio perseguita e praticata nello spazio virtuale e online. Questi miti sono confermati da indagini di mercato che hanno coinvolto centinaia di giovani nativi digitali e che hanno evidenziato che i loro mondi virtuali creati online vengono percepiti come più reali di quelli del mondo fuori dalla rete. 

La realtà si rivela presto nella sua diversità e i giovani sono chiamati a scoprire quanto i loro miti li stiano limitando e manipolando. La realtà umana è fatta da una storia lunghissima di contatto fisico e di comunicazione faccia a faccia. Benché alcuni genitori facciano giocare i loro figli con un dispositivo tecnologico già in tenera età, la realtà ci dice che la prima cosa che fanno i bambini è di avere esperienze tattili e sensoriali e meglio se con persone a loro vicine. Esattamente come facevano i nostri antenati e come fanno ancora oggi primati e scimmie Bonobo. Il contatto fisico è di fondamentale importanza nella evoluzione e maturazione di ogni individuo e lo rimarrà a lungo anche mentre il mondo sociale si popolerà sempre più di robot e macchine digitali. Il suono caldo e vicino della voce umana è altrettanto rilevante e capace di generare esperienze e emozioni ancora oggi impensabili con telefoni cellulari e social network. 

La realtà umana si sposa, anche in molti giovani, alla consapevolezza che la solitudine e la socialità sono due stati d’animo che richiedono alcuni momenti di verità. Li si può sperimentare online e offline misurando il livello di empatia che nasce da contatti e amici, interagendo virtualmente o fisicamente, parlando attraverso un dispositivo e una applicazione tecnologica o al tavolo di un pub, vistando uno store online e un negozio in strada, stringendo una relazione affettiva online e dando forma a questa relazione con una sana attività sessuale offline. La sperimentazione servirà a recuperare la distorsione visuale tipica del nativo digitale e a chiarire le motivazioni al social networking online. Queste motivazioni non nascono mai dalla tecnologia ma dalla ricerca di una maggiore connettività sociale. La tecnologia è sempre e solo uno strumento utile a raggiungere uno scopo.

 

 

 

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