2022 - Oltrepassare - Intrecci di parole tra etica e tecnologia /

Oltrepassare - Intrecci di parole tra etica e tecnologia

Oltrepassare - Intrecci di parole tra etica e tecnologia

01 Novembre 2022 Redazione SoloTablet
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Il libro di Carlo Mazzucchelli e Nausica Manzi Oltrepassare - Intrecci di parole tra etica e tecnologia è pubblicato nella collana Tecnovisions di Delos Digital 

ALCUNE CONSIDERAZIONI FINALI

 

[...] ci siamo abituati all’idea che ogni giornata chissà cosa vorremmo che accadesse, perché gli stimoli sono continui, ma poi non riusciamo più nemmeno a ascoltarci l’uno con l’altro perché soprattutto dai social mandiamo tutti costantemente un segnale. La ricezione è piena di interferenze in simultanea, ognuno pensa al proprio segnale, al messaggio che sta postando. Il risultato è un effetto di immobilità generale, è un galoppo continuo di un cavallo che non si muove.[...] Nessuno parla più del malessere, del dolore, della solitudine e tanto meno della morte; se non c’è di mezzo un valore economico sembra che non esista più nulla. Ci siamo assuefatti al quanto, il chi e il come non interessano. Abbiamo bisogno di più conforto ben consapevoli che non può arrivare dai soldi. Il benessere è un’altra cosa. ”.

- Franco Arminio, poeta

 

“ Se fosse possibile dire saltiamo questo tempo e andiamo direttamente a domani, credo che tutti accetteremo di farlo. Ma non  è possibile!

Oggi dobbiamo vivere, oggi è la nostra responsabilità. Si tratta di essere coraggiosi e fiduciosi al tempo stesso. Si tratta di vivere il tempo che ci è dato vivere con tutte le sue difficoltà”.

-Aldo Moro 

 

Al termine di ogni libro forte è la sensazione di doverlo riscrivere, di non avere detto tutto, di non essere stati chiari a sufficienza, di non essere riusciti a farsi capire o di non avere facilitato la vita ai potenziali lettori. La sensazione è ancora più forte se a scriverlo non è stata una persona sola ma due, con età anagrafiche, genere, esperienze e visioni del mondo tra loro differenti. L’eventuale riscrittura non cambierebbe però i messaggi che gli autori volevano comunicare. Messaggi, a volte provocatori, comunicati per generare riflessione, dibattito e dialogo più che adesione, anche per soddisfare alcune esigenze condivise, una su tutte, l’amore per la vita umana, in tutte le sue sfaccettature, comprese quelle negative e le più crudeli. 

L’amore per la vita suggerisce l’amore per l’Altro, per il suo volto e il suo sguardo, che poi è anche amore per sé stessi, un amore che si declina in tante parole da noi definite etiche, quali compassione, solidarietà, generosità, senso di umanità, benevolenza e molte altre. Tutte parole che richiamano il concetto di relazione con gli altri e sottolineano quanto noi non siamo mai soli, separati dagli altri, forse neppure autonomi come pensiamo, ma sempre in contatto e in stretta relazione con altri da noi. Sono parole sempre in compagnia di altre che alla relazione richiamano, come giustizia, saggezza, intelligenza, verità, sincerità e molte altre. Tante parole che vanno collocate e comprese tutte dentro lo stupore che sempre genera la complessità umana, che è poi complessità (inter)relazionale, rifiutando antinomie e riduzionismi vari per sottolineare la forza delle relazioni, l’incontro tra alterità complementari anche nelle differenze, facendo affidamento sulla razionalità così come sulla componente emotiva dell’essere umano. Sempre dentro realtà, esistenziali, fatte di tanti elementi sempre tra di essi interrelati come ha ben descritto Giangiorgio Pasqualotto nel suo Alfabetico filosofico: “[...] ogni elemento va inteso non come punto, come atomo isolato, come sostanza autonoma ma come risultato di una pluralità di relazioni, ovvero come un nodo, cioè come un incrocio formato da almeno due fili[1]”. Fili di cui in questo testo parliamo con la metafora del gomitolo! In tempi nei quali tutti parlano di Rete, di connessioni, di reti di contatti e di social network, il concetto/termine nodo acquista un significato particolare per il suo essere tramite, in relazione. Concetti legati alle teorie dei grafi, alla teorie delle Reti (Erdos e altri) all’analisi delle reti sociali che invitano a prestare attenzione alla betweenness tra punti diversi della rete o nodi. Non soltanto come punti geometrici che uniscono delle linee ma nodi da interpretare “come la risultante di molteplici e variabili relazioni con altri individui”. 

A fare da sfondo scenografico a tutto il libro è la tecnologia, usata per raccontare il presente tecnologico e rimarcare le differenze tra esseri umani e macchine, tra umanità e automazione, tra infallibilità computazionale e fallibilità della mente umana, tra certezza algoritmica e incertezza del vivere. La tecnologia è il contesto scelto per una proposizione etica che non si affida a norme e codici prescrittivi, ma a pratiche individuali e collettive. Comportamenti che consideriamo etici perché collegabili a parole che, se adottate e fatte proprie nei loro significati profondi, materiali (mots-matière) direbbe George Simenon, potrebbero fornire soluzioni ai molteplici problemi che assillano l’umanità in quest’era tecnologica e globalizzata, precipitata in situazioni di crisi dalle quali si uscirà soltanto con una rivoluzione etica fondata sull’amore per l’uomo e l’umanità intera, per la natura e l’ambiente, per la Terra. 

Abbracciare parole etiche, accarezzare l’Altro, riflettere sulla tecnologia obbliga a rallentare, respirare e reimparare ad ascoltare e a pensare, a guardare in modo diverso, a ricercare tutti i collegamenti che raccontano la complessità di eventi, situazioni, oggetti, organismi e persone L’abbraccio serve a ricordare che non si vive di solo presente e che il futuro va costruito e immaginato, a prestare attenzione a ogni parola usata e al linguaggio praticato, a scegliere sempre il dialogo, a impegnarsi nell’apprendimento finalizzato alla conoscenza e alla consapevolezza, a essere aperti e disponibili a tutte le idee, anche a quelle che non si condividono, a praticare la responsabilità, in particolare nell’uso del linguaggio e nella scelta delle parole da usare. 

L’Altro in pieno sole 

Parafrasando una bellissima metafora usata da Lamberto Maffei, nello scrivere questo testo ci è capitato di incontrare e vedere l’Altro in pieno sole, illuminato dalla sua bellezza incarnata e vitalità. Durante il viaggio ci siamo accorti di avere trasformato e raccontato la vista dell’Altro attraverso parole. In fondo noi siamo parole. Queste parole non sono mai insignificanti, anzi si rivelano fondamentali strumenti di senso dentro un contesto, quello tecnologico e digitale attuale, nel quale le persone passano la maggior parte del loro tempo a fissare uno schermo e le immagini che in esso vi scorrono. 

Le parole etiche che abbiamo elaborato nell’incontro con l’Altro diventano la nostra memoria, la nostra documanità, il Nostroverso, raccontano la nostra esperienza personale e sociale, ce le portiamo dietro e ci restituiscono in ogni momento l’Altro, il suo volto, il suo sguardo. Ci invitano a guardarlo in maniera diversa, a passare dal vedere al guardare, al guardare attraverso, dentro e di riflesso, a guardare dentro di sé. Più parole abbiamo memorizzato meglio guardiamo, meglio raccontiamo e dialoghiamo, ancor meglio ascoltiamo, comprendiamo, capiamo, e quindi meglio esistiamo. 

La poliedricità delle parole, la loro ricchezza semantica, la loro capacità di portarci oltre la superficie, allena lo sguardo, lo rende strumento efficace di costruzione attiva della realtà e artefice delle sue continue trasformazioni, permettendogli di cogliere le innumerevoli trame visibili e invisibili che caratterizzano ogni esperienza e ogni incontro. Ogni incontro tra un “io” e un “tu” è un dialogo[2], mai terminato, che si dipana in sequenze continue di parole che lo rendono possibile, lo caratterizzano come apertura (διά, attraverso) verso l’Altro, un Altro inteso anche come un “Noi”, come comunità e società, oltre che come riparo. Sempre prestando attenzione alle parole usate, nomadi per definizione e alla ricerca costante di una contestualizzazione dentro oceani di incertezze e di instabilità, istanti e spazi mai definiti per sempre e perennemente mutanti. 

Pensiero e linguaggio sono inscindibili. Ciò che noi siamo, soprattutto ciò che saremo, attraverso i passi che ci inventeremo nello scorrere lento o veloce dei nostri giorni, dipende dal linguaggio, da quelle singole parole che ci abbracciano quotidianamente con la loro bellezza e ricchezza e i cui molteplici significati attendono soltanto uno sguardo coraggioso che possa liberarli e incarnarli. Sguardo coraggioso è quello della pratica dell’Oltrepassare che abbiamo proposto in questo libro, una pratica che si fa “scalpello” linguistico e etico per abbattere il muro del passato reinterpretandolo al presente così come per cogliere le emergenti e tecnologiche istanze di futuro dando loro significati e orizzonti di senso capaci di coglierne l’inesauribile profondità, complessità e criticità.  

Oltrepassare le parole 

Riflettere sulle parole non è stata una scelta casuale ma dettata dalla percezione di quanto le parole siano oggi manomesse, impoverite, maltrattate, incattivite, incatenate, rinchiuse dentro prigioni, come il campo Moira di Lesbo, che ne impediscono il nomadismo. La difficoltà a lasciare il campo superandone le barriere impedisce di trovare e assegnare alle parole nuove categorie di senso, di cui abbiamo tutti, potenti e cittadini, estremo bisogno. Le parole hanno perso significato per colpa nostra, per averle piegate a usi impropri, sempre meno utilizzate come carezze e sempre più spesso come armi contundenti, dentro contesti linguistici diventati fortezze turrite nelle quali domina il dogmatismo e la ripetitività, l’assenza di cultura, la mancanza di gentilezza e il predominio, anche linguistico, della tecnica. 

Abitare oggi le parole, i tasselli descrittivi che danno forma alle narrazioni correnti, significa soddisfare il loro costante bisogno di danzare. È il modo per abitare un mondo nel quale le parole sono migranti alla ricerca di significato, di nuove opportunità rigenerative e identità, di identificazione e di sempre nuove (cor)relazioni. Evitando di farsi risucchiare nell’immediato del presente continuo che sta divorando attenzione, tempo, anima (psiche) e mente. Investendo in ironia, curiosità e conoscenza, pensiero critico e capacità auto-critica, in consapevolezza e responsabilità. 

Nell’era delle piattaforme ci ritroviamo tutti dentro un grande cantiere in perenne costruzione. Una specie di acquario-mondo labirintico, finalizzato alla edificazione continua di spazi-piattaforme, anche emotivi e cognitivi, apparati già prefigurati da architetti e ingegneri che non conosciamo. Questo cantiere dà forma anche alle parole, mette molti alle strette, non facendoli sentire a loro agio, perché percepiscono l’inadeguatezza della cultura riduzionista che lo anima, l’insufficienza dei concetti e delle parole usati per raccontarlo e descriverlo.  Molti non condividono neppure le abitudini delle moltitudini che si affidano passivamente e ciecamente a chi, con le sue descrizioni e narrazioni, il cantiere lo sta promuovendo, attraverso l’imposizione di geografie, configurazioni abitative e rappresentative, finalità di scopo, utilizzi, significati e destinazioni d’uso. 

Viviamo tempi altamente tecnologici, frutto di rivoluzioni tecnologiche continue che ci fanno sentire “giganti della tecnica e individui fragili sotto la minaccia di essere schiacciati[3]”. Tempi che ci obbligano a “rivoluzionare” i modi di pensare e il linguaggio che usiamo, a riflettere sul significato delle parole usate per descrivere, interagire e trasformare oggetti e realtà. Nel pieno dell’accelerazione tecnologica verso mondi potenzialmente postumani e transumani, in molti sta emergendo il disincanto verso soluzioni tecnologiche potenti nella loro offerta di mondi felicitari, gratificazioni e intrattenimento, ma incapaci di fornire risposte soddisfacenti a tutto ciò che in forma di bisogni emerge da quanto c’è di misterioso, incerto, implacabile, instabile e incantevole nella vita di ognuno. 

Testimoni di questo disincanto sono in molti. Tutti coloro che sentono forte il bisogno, sorretto dal coraggio della responsabilità e della consapevolezza, di rifiutare il gioco illusorio degli specchi, da loro stessi creato e alimentato, dentro i quali sono ormai imprigionati. Il disincanto suggerisce la fuga dal conformismo monotono dei tutti uguali (le immagini nello specchio), dalle voliere cinguettanti, dal fare e rifare sempre le stesse cose, dalle parole abusate nei loro significati profondi e dall’uso impoverito e brutale che ne viene fatto. 

Dentro contesti fragili e disarticolati, il rischio del conformismo è reale, da contrastare, da Oltrepassare, alimentando eresia, dissenso, capacità di dire “no non ci sto”. Lo si vede in questi giorni caratterizzati da un’epidemia che si è fatta anche infodemia. Giorni nei quali molti agiscono, spesso sulla base di informazioni insufficienti, scarse conoscenze e false notizie, come semplici pappagalli. Come le pecore del film Allegro non troppo di Bruno Bozzetto. Tante pecore che, incantate da parole e narrazioni, dal suono (nel film il Bolero di Ravel) degli strumenti dei numerosi pifferai (influencer?) di turno, si mettono al seguito, fanno proprie notizie false e false verità, partecipando alla disinformazione, creando ulteriore malcontento, confusione e incertezza. 

Il baratro verso cui sono indirizzate le pecore del film citato non è però una meta obbligata. Le pecore non sono l’animale timido e stupido che ci hanno abituato a credere, il gregge è un organismo complesso, molto di più di ciò che un occhio umano può vedere o una mente percepire a un rapido sguardo. A dargli forma e forza è l’effetto imitazione ma da esso può emergere una critica intelligenza collettiva che spinge a adottare strategie di cooperazione finalizzate alla collaborazione e facendo affidamento sulle competenze e sul contributo originale dei singoli (l’autenticità si scopre attraverso la collettività). 

La strategia cooperativa da noi proposta in questo libro è quella dell’Oltrepassare. Una proposta invito rivolta alle intelligenze collettive in formazione che sentono l’urgenza di un’azione comune finalizzata a ridare vita, senso e dignità alle parole, dentro linguaggi rigenerati utili a incidere sul reale trasformandolo, a favorire la danza creativa del pensiero critico, a contrastare il dominio della neo-lingua tecnocratica, a riscoprire l’Altro nel suo essere incarnato e non solo immagine riflessa dentro uno schermo-specchio. 

Oltrepassare le parole è solo un primo passo per andare oltre, verso la costruzione di significati etici capaci di condurre gli individui ad agire come essere pensanti, responsabili e consapevoli, a non fermarsi alla rappresentazione e al linguaggio con cui è grammaticalmente espressa, a pensare da esseri capaci di tradurre, che è sempre anche tradire le interpretazioni correnti, interpretare, creare, inventare, cambiare, immaginare e ricominciare (“continuare a cominciare”) ogni volta. 

Alla ricerca di senso per un’esistenza, un’umanità, che nell’era tecnologica attuale, sembra avere perso sé stessa, le sue potenzialità, i suoi confini e i suoi orizzonti e che sente forte il bisogno di attenzione, ascolto, comprensione, solidarietà, empatia, compassione e tanto amore. 

Tempi tecnologici 

La metafora del cantiere, dell’acquario come mondo chiuso in costante espansione e allestimento, descrive bene gli eccitanti e  contraddittori anni tecnologici che stiamo vivendo. Tempi che hanno determinato un passaggio di fase, l’emergere di un nuovo dominio ideologico del mondo che sta digitalizzando e siliconizzando i molteplici ambiti esistenziali degli umani. Il tutto mentre cresce la percezione della criticità elevata e dell’enorme fragilità di un sistema economico, ambientale e sociale in crisi di nervi. 

Allo splendore accattivante della perfetta macchina tecnologica, alla servitù volontaria di moltitudini di persone verso le sue mirabolanti e luccicanti promesse, alle narrazioni conformiste che celebrano i suoi orizzonti e successi, si contrappone una realtà fatta di crisi continue che generano frustrazione e malcontento, facendo comprendere come la potenza della tecnologia vada di pari passo e conviva con la fragilità umana. 

Le crisi trovano poco spazio nella vita digitale online ma sono reali, brutali, incidono sulla pelle e sulla psiche delle persone, determinano danni reali. Le crisi sono note a tutti ma inconsciamente o (dai politici) volutamente negate, hanno la consistenza dolorosa della povertà, della precarietà da assenza di lavoro e della disuguaglianza, evidenziano l’instabilità dei modelli economici, sociali e politici attuali in termini di costo della vita, debito pubblico, welfare negato e negazione dei diritti, raccontano la sofferenza psichica delle persone per il venire meno di certezze e di futuri positivi immaginabili, ma anche di convivialità civile, di solidarietà, ospitalità, empatia e collaborazione umane. 

I tempi tecnologici presenti raccontano il dissolvimento delle ideologie e cosmologie precedenti, il lento emergere di nuovi modi di pensare[4], di nuovi comportamenti e costumi, nuove descrizioni della realtà e nuovi modi di interpretare il futuro. Al predominio della tecnica sta subentrando il disincanto unito al timore sofferente di essere sempre più indifesi, dominati e controllati. Si sta cominciando a guardare alle macchine in modo diverso. Si sta comprendendo quanto la materia vivente, l’essere umano siano qualcosa di diverso, di complesso e di specifico, non facilmente riducibili a semplici macchine, codici software e algoritmi, neppure alcune parti di esso come il cervello umano. 

La riducibilità è complicata anche per chi sta cercando di penetrare nelle mille funzioni associabili al cervello visto come un gomitolo di fili interconnessi. Le reti a cui questi fili danno origine sono ancora un mistero da dipanare. Lo è anche la coscienza, l’elemento che rende l’essere umano unico tra tutti gli animali della Terra e che, secondo alcuni scienziati come Michael Gazzaniga, proprio per questo non potrà mai essere associata ad alcun componente elettronico specifico. Essendo un fenomeno emergente non è infatti associabile a nessun organo ma aspetto costitutivo di ognuno di essi e delle loro capacità: “Le macchine inanimate a base di circuiti funzionano in un certo modo; i sistemi viventi a base di carbonio funzionano in modo diverso. Le prime obbediscono in forme deterministiche a set di istruzioni, i secondi agiscono per mezzo di simboli che comportano per loro natura un certo grado di incertezza”. 

Se Gazzaniga avesse ragione il tentativo di digitalizzare intelligenza, emozioni e coscienza dentro semplici macchine è destinato a fallire. Ma allora perché le narrazioni correnti sono improntate a celebrare la tecnologia, le sue intelligenze artificiali, realtà virtuali e piattaforme? Perché il futuro viene da molti felicemente descritto come transumanista e dominato dalla singolarità delle macchine? Perché si insiste così tanto sulla digitalizzazione di ogni ambito della vita umana? 

A queste domande noi abbiamo provato a rispondere in questo libro con la celebrazione dell’umano e della filantropia, attraversando concetti e parole con l’intenzione di invitare i lettori a dubitare, a riflettere e a porsi delle domande, a prestare maggiore rispetto, attenzione e benevolenza all’essere umano, inteso come Altro incarnato e capace di parola, assimilabile al sé di ognuno, come un “Noi” nel quale si realizza l’incontro tra differenti “Io” e “Tu”, come umanità nel suo complesso. Porsi delle domande non è una pratica principalmente filosofica ma molto umana, attiene alla responsabilità di ogni essere umano alla ricerca di verità e che voglia interrogarsi, a partire dalla situazione attuale, dalle sue urgenze, che schiaccia e annebbia gli orizzonti, sul futuro dell’umanità (“tutto riguarda tutti perché tutti si guardano” diceva Lévinas). Interrogarsi non significa anticipare risposte o fagocitare l’oggetto dell’interrogarsi ma, dentro la nostra pratica dell’Oltrepassare denota un atteggiamento ricettivo, dialogante con l’Altro da noi, sostenuto da uno sguardo curioso, di scoperta. 

La celebrazione dell’umano è tanto più urgente quanto più disumana sta diventando la vita di molte persone sulla Terra e quanto più si sta diffondendo una cerimoniosa esaltazione dell’espansione digitale nel mondo. Sognando un postumano tecnologico che dovrebbe realizzare il sogno dell’immortalità umana, proprio mentre cresce l’indifferenza verso l’Altro, l’incapacità a vedere sé stessi nel suo sguardo, dentro contesti caratterizzati da crescente individualismo, narcisismo e nichilismo. 

Chi sogna il postumano sembra avere abbracciato l’idea dell’Homo Deus di Harari, un homo sapiens che grazie alla tecnologia sta lavorando per rendere sé stesso superfluo. Più che investire sulla tecnica dovremmo invece tornare a investire sull’umano, sugli esseri umani, sull’umanità. Più che pensare al post-umano in arrivo dovremmo impegnarci a costruire tutti insieme un nuovo umanismo, un post-umanismo capace di superare antropocentrismo e riduzionismo, ideologie neoliberiste fondate sulla produttività e il profitto, lo spirito e le filosofie tecnocratiche delle tante Silicon Valley della Terra (Greater Bay Area di San Francisco, Bangalore, Zhongguancun, ecc.), il conformismo e le tante servitù volontarie da esso generate. Un post-umanismo ben diverso da quello oggi fondato sulla convinzione che l’uomo possa nel prossimo futuro e grazie alla tecnologia, liberarsi della propria limitatezza e superare la propria condizione di fragilità e vulnerabilità, per alcuni di banalità, umana. 

L’obiettivo è di rimanere responsabilmente umani, nella consapevolezza di non essere gli unici padroni della Terra, senza dimenticare che “[…] noi stessi siamo terra. Il nostro stesso corpo è costituito dagli elementi del pianeta, la sua aria è quella che ci dà il respiro e la sua acqua ci vivifica e ristora[5]”. Ricordandoci sempre che noi esseri umani siamo relazione e disponiamo di proprietà che le macchine non hanno: “spirito, anima, coscienza, intenzionalità, soggettività, riflessività, affetti, capacità di conferire significati [di Oltrepassare] e di sognare[6]”. 

Alla ricerca di un’etica 

Le tematiche affrontate in queste pagine sono tutte riconducibili alla percezione che le nuove tecnologie stiano giocando un ruolo fondamentale nella definizione della società futura. Nella fase di sviluppo capitalista attuale qualcosa si è spezzato, i fini sono stati sostituiti dai mezzi, la vita buona dalla ricerca dei profitti, la convivialità dalla celebrazione dell’individualismo egoista, il sano individualismo dal narcisismo e dal nichilismo, il mercato ha avuto la meglio e tutto è ormai in vendita, noi compresi in forma di merci (produttori di dati) e di consumatori (acquirenti di prodotti merce). A tutto questo ha contribuito l’evoluzione della tecnologia e la sua potente accelerazione. Una rivoluzione dalle potenzialità enormi per lo sviluppo di una vita più umana, che sta determinando effetti collaterali dai quali emerge l’urgenza di configurare nuove etiche, una necessità dettata per alcuni dalla sparizione stessa dell’etica. 

A partire dalle nostre prerogative umane nasce il bisogno prepotente di contribuire a dare forma a un’etica pubblica diversa, centrata sull’uomo e non sulle macchine, in difesa di valori fondamentali, lontana da modelli quantitativi e utilitaristici, punto di riferimento dell’umanità a venire, capace di nutrire la vita, prima dell’avvento della singolarità delle macchine, come da alcuni preconizzato e celebrato. L’etica nuova di cui abbiamo bisogno è fatta anche di codici e di norme (come quelle in definizione a livello Europeo) pensate per definire ambiti e applicazioni delle nuove tecnologie, ma soprattutto di pratiche comportamentali, di scelte frutto di pensiero e riflessione, di nuove parole rigenerate semanticamente, nel linguaggio, nel pensiero e nella pratica. Un’etica che possa fondare un “fare che muova dall’interno”, ovvero un’azione che sia focalizzata sull’essere, sull’uso critico del pensiero e sulla responsabilità di ritrovarsi per reinventare la società da custodi e carezze d’esistenza. 

Le nuove tecnologie, la loro accelerazione e volontà di potenza, la riduzione dell’umano a entità macchinica, i falsi miti di neutralità e legalità da esse generati, la loro tendenza a sottrarsi agli strumenti di regolazione sociale, l’affermarsi prepotente dello strapotere di poche aziende tecnologiche, suggeriscono l’urgenza di una riflessione etica, l’emergere di dilemmi etici molto profondi ai quali tutti sono chiamati a dedicare attenzione e cura. Il tema è oggetto di studio di discipline filosofiche che si occupano di dati (privacy, identità digitale, ecc.), algoritmi, intelligenza artificiale e professionisti IT (a loro si rivolge da tempo il messaggio di Jerome Lanier richiamandoli a comportamenti etici). Al centro di buona parte della riflessione filosofica in corso non è più l’uomo ma l’uomo inteso come macchina, non come essere vivente ma come semplice agente, un agente intelligente assimilato a qualsiasi altra macchina intelligente. 

L’etica di cui abbiamo parlato in questo nostro libro è al contrario inerente all’uomo nella sua singolarità e complessità, come essere umano, fatto di mente e corpo, sentimenti e intenzionalità, memoria e conoscenza, essere sociale, dialogico, relazionale, culturale e morale, consapevole anche di non essere l’unico essere sulla Terra. Un essere umano protagonista e spettatore della più grande rivoluzione della tecnica mai avvenuta, obbligato suo malgrado a doversi confrontare con i cambiamenti profondi che essa sta determinando, plasmando mente e corpo, costruendo un ambiente mai neutrale nel quale vengono implementate precise pratiche di vita, incentivate alcune condotte e pensieri e altri penalizzati con effetti escludenti e invalidanti. Il nostro sguardo sull’etica nasce dal considerare ogni individuo capace di atti etici in relazione a un Altro, dentro comunità di persone (Io, Tu, Noi), impegnato dentro una società di individui e cittadini, per promuovere, anche con le parole e il linguaggio, comportamenti conviviali, responsabili e consapevoli, solidali, compassionevoli, amicali e inclusivi. 

Questo sguardo ci ha portato a focalizzarci sulle parole e sui linguaggi oggi usati nel raccontare la realtà e noi stessi. Ci siamo messi alla ricerca di parole, da noi declinate come etiche, su cui investire per creare nuovi orizzonti di senso, dentro una realtà tecnologica che il senso tende a sequestrare attraverso automatismi, mere funzionalità e soluzioni, sequenze algoritmiche decisionali condizionanti libertà di scelta e comportamenti. Noi non siamo macchine di IA istruite ad analizzare i dati dei Big Data e a cercarne le relazioni. Noi siamo macchine simboliche, evocative, trasformative, emozionali, intenzionali, diacroniche, creative, riflessive, capaci di comprendere[7] e comprendersi. Noi non riduciamo dati in parole (informazioni) ma diamo loro senso a seconda dell’uso che ne facciamo e della conoscenza che ne abbiamo, la lingua che parliamo, la situazione nella quale ci troviamo, l’emozione che proviamo in relazione a un Altro da noi. Senza una coscienza la comprensione dei significati di parole e frasi è impossibile. Le macchine lavorano con segni, significanti, noi umani con significati, con le connotazioni emotive a cui li associamo, i contesti anche storici dentro cui li collochiamo. I contesti sono umani, fatti di persone che condividono esperienze, orizzonti di senso, linguaggi ed emozioni, persone che possono avere un fine facendo scelte e adottando azioni in modo responsabile. Anche se in molte attività gli umani sono oggi anticipati dall’azione di oggetti digitali nella forma di sensori, algoritmi, dispositivi, ecc., che forniscono loro i dati utili per conoscere e agire, non esiste vera conoscenza senza un contesto, senza cioè conoscere in quale relazione si trova un oggetto con il suo ambiente. 

In questo crinale che vede uomo e macchina confrontarsi  nel processo di conoscenza si colloca quanto abbiamo provato a raccontare. È un crinale non frequentato da tutti ma di cui tutti dovrebbero sperimentare l’ebbrezza. Al crinale ci si arriva volontariamente, in compagnia relazionale e dialogica di altri, in cordata. Si raggiunge la cima dell’Everest insieme a uno sherpa, si entra nella caldera di un vulcano attivo in Kamchatka con una guida locale, ci si realizza oltrepassando sé stessi e riconoscendo il ruolo dell’Altro come rivelatore di senso e costruttore del nostro Sé, come un Noi che mette in discussione e fa riscoprire il senso della responsabilità di essere “nodi” di una stessa corda di salvezza e di disperazione e che deve rimanere tesa, costantemente vegliata, rafforzata, custodita.  

In questo scoprire in noi la presenza dell’Altro è fondata secondo noi l’etica di cui oggi abbiamo bisogno. Un’etica fatta dell’incontro con l’Altro e scambio di sguardi, di parole dal significato etico, come quelle ricorrenti in questo testo: amore, amicizia, benevolenza, collaborazione, comunità, compassione, comprensione, consapevolezza, cultura, democrazia, dono, educazione, equità, etica, gentilezza, generosità, gratuità, giustizia, fiducia, felicità, informazione, libertà, onestà, ospitalità, partecipazione, prudenza, reciprocità, responsabilità, relazione, resistenza, rispetto, sapienza, scelta, solidarietà, sollecitudine, temperanza, tolleranza, umanità e altre ancora. 

Concludendo 

Si imbocca una strada per andare al mare ma quella strada è sbagliata, non porta al mare ma si perde nel deserto; essa però si può percorrere per alcun tempo e quando ci accorgiamo che non porta dove pensavamo il sole è tramontato.”

– Pino Polistena, Diacronia Appunti per una ontologia del tempo 

 

In questo viaggio tra parole, etica e tecnologia non sappiamo se la strada imboccata sia stata quella giusta. Percepiamo che l’umanità è a un bivio, sappiamo che il sole al momento non è ancora tramontato e di esserci messi in viaggio con ciò che serve per andare al mare, scalare alte montagne, così come per sopravvivere nel deserto. La strada è tecnologica, regala innumerevoli opportunità di orientamento e di esplorazione, compreso il raggiungimento di una destinazione. Ma la destinazione non era la nostra meta, il viaggio non era fine a sé stesso. Ci interessava il viaggiare, il farlo in compagnia di altri prestando attenzione e cura a territori e mappe digitali attraversati. Ci premeva il conoscere e l’esplorare, dentro una visione del mondo che guardasse all’uomo nella sua totalità (“esprit de geometrie ed esprit de finesse”), integralità, originalità, alterità (ciò che è altro-da-sé), unicità e irripetibilità. 

Su questa visione, denominata con il termine di Oltrepassare, abbiamo fondato la nostra narrazione etica. Non abbiamo cercato di definire alcuna etica digitale, non ci siamo affidati a norme e regole codificate, pur necessarie, ma a parole chiave dal potente potere simbolico, ripetute come mantra energizzanti per l’intero viaggio, declinate in forma di alfabeto etico a cui ispirare scelte, decisioni, comportamenti e azioni. La declinazione ha dato un senso di marcia al camminare arricchendolo di sempre nuovi significati, ha permesso di individuare nuove vie da sperimentare e seguire, di condividere pratiche e loro effetti positivi, di evitare i sentieri dell’ovvio e di allontanarsi da coloro che conformisticamente lo praticano, di rivalutare significati e parole, dare forma a linguaggi alternativi con cui raccontare, anche in forma di metafore, esperienze, emozioni e pensieri. Il racconto è servito a evidenziare parole, riflessioni e comportamenti utili a conseguire un bene per sé, una eudemonia (εὐδαιμονία). 

Convinti della necessità di tenere sempre aperta la propria coscienza all’Altro e di coltivare il dialogo con un Altro da cui dipendono i nostri vissuti esperienziali e la nostra stessa esistenza, abbiamo dato spazio a molteplici risonanze che nel testo si rincorrono tra autori diversi e i cui testi sembrano seguire percorsi condivisi, fatti di sensibilità, impegno intellettuale, convergenza di visioni del mondo e finalità di scopo. Abbiamo persistentemente sottolineato l’importanza di un’altra risonanza, quella tra persone che incontrandosi esprimono la loro disponibilità all’ascolto perché sanno di essere ascoltati. L’incontro non sarà mai tra uguali ma tra un “io” e un “tu” differenti, un “tu” che è anche un “noi”, perché nessuno sarà mai come l’altro, eppure sempre alla ricerca, attraverso la lingua, di comprendersi nella estraneità e la distanza che li separa. 

Il viaggio con l’Altro è incarnato ma ibridato dalla tecnologia. Tiene conto delle numerose rappresentazioni digitali che ci caratterizzano dentro le molteplici realtà virtuali e parallele che abitiamo. È un viaggio che ci ha aiutato a capire che la nostra destinazione futura non è la singolarità delle macchine, neppure quella dell’individuo per come è vissuta nell’epoca contemporanea, ma un futuro centrato sull’uomo e proprio per questo aperto, incerto, mai prevedibile e tanto meno calcolabile. 

Un futuro aperto agli altri, al mondo e alla relazione, che dipende da tutti, da come riusciamo a immaginarci il mondo presente per cogliere e valutare le tracce dei tanti futuri possibili di fronte a noi. Per valutare le tracce di futuro emergente dobbiamo allenarci a decostruire, falsificare e confutare le narrazioni tecnologiche attuali, impegnarci nel costruire usi e sviluppi alternativi delle tecnologie, democratici, cooperativi e umanamente liberi, infine fare nostre le buone pratiche che sempre nascono da comportamenti responsabili e consapevoli improntati alla sollecitudine verso l’Altro, alla compassione e alla comprensione, alla solidarietà, alla generosità e alla gentilezza, alla capacità di ascolto e alla disponibilità all’incontro e al dialogo. 

Chi ci ha seguito fin qui può ora valutare quanto abbia avuto senso farlo. Se la risposta è positiva significa che condivide con noi l’amore per l’uomo, per l’Altro, nella sua fragilità, vulnerabilità e incompiutezza, nella sua complessità, nel bene e nel male, nella sua identità individuale, sociale e antropologica. Questo amore porta ad assumersi consapevolmente e con coraggio delle responsabilità, a vivere in modo etico nella relazione con gli altri, nel nostro essere membri di comunità, anche virtuali, nel nostro essere cittadini, nel nostro parlare e comunicare, nelle scelte che facciano e nelle pratiche nelle quali ci esercitiamo. 

L’amore per l’uomo è oggi l’unico rimedio all’incertezza determinata dalle crisi di un mondo che sta cambiando e che lo sta facendo rapidamente, nonostante e per colpa nostra. L’amore è il vaccino all’inquietudine, all’ansia, all’angoscia e alla depressione, è la strada da percorrere per partecipare proattivamente al cambiamento e dare forma al futuro. Sta a noi scegliere cosa e come fare, facendo della nostra esistenza qualcosa di unico e irripetibile, avente un valore proprio e irriducibile. 

Tale prospettiva futura che conclude questa nostra coraggiosa proposta ci riconduce all’importanza dell’immagine del punto a croce descritta all’inizio di questo libro: la realtà è un intreccio di nodi, fili colorati ingarbugliati di una complessità che è bellezza e al contempo trappola. Intrecci incomprensibili, che dimentichiamo essere fondamenta di un disegno Oltre, superiore, al di là, che riusciremo a guardare solo assumendo il punto di vista dell’Oltrepassare in tutte le sue sfaccettature, quelle che sono esposte per l’appunto in questo libro e che speriamo possano aprire orizzonti di sorrisi e di speranza. 

Lo sguardo dell’Oltrepassare è ciò che fa dei nodi complessi del reale il punto di partenza per creare quel vaccino all’angoscia, all’inquietudine, all’indifferenza. Uno sguardo altrimenti che ci trasforma in “medici della contemporaneità” in grado curare, con il vaccino “Oltre”, un terribile virus capace di bloccare il pensiero e far sparire identità e relazioni. Capace di porre lenimento e sollievo dentro una esperienza pandemica che intrappola e insieme ridesta, rinchiudendoci nelle case delle nostre esistenze, facendoci affacciare ai balconi dei nostri sguardi per tornare ad aprire coraggiosamente le serrande e mirare ad un nuovo orizzonte di ossigeno, azione e libertà. 

Aprire le serrande è il gesto rivoluzionario di un amore che diviene vaccino “Oltre” per ritrovare e reinventare sé stessi e l’intera realtà. Tale gesto rappresenta dunque il cambio di prospettiva necessario per tornare a guardare meglio dal balcone delle nostre quotidianità, oltrepassandone i nodi e scoprendone il meraviglioso disegno a cui in realtà danno continuamente vita. Aprire le serrande è farsi medici della contemporaneità tra dimensione interiore ed esteriore, tra il bisogno di relazione e il necessario tornare a se stessi ogni volta, tra il farsi costruttori etici e nel contempo esperti consapevolmente tecnologici di questo mondo.

[1] Giangiorgio Pasqualotto, Alfabeto filosofico - Marsilio, 2018 Pag. 152

[2]  Per capire cosa intendiamo per dialogo il lettore è chiamato a fare una semplice analisi dei dialoghi che caratterizzano molte trasmissioni televisive attuali, anche al tempo della pandemia. Il dialogo impetuoso che vede tutti parlarsi sopra e insieme agli altri è espressione di maleducazione ma può essere anche visto come un gioco alla pari. Il vero dialogo però, quello che permette anche di far valere la propria opinione, si sviluppa a partire dall’ascolto degli altri, uno a uno, prendendo appunti e preparandosi a rispondere, anche con l’obiettivo di dimostrare la giustezza delle proprie opinioni. Un atteggiamento di questo tipo risulta essere efficace, generatore di stima
[3] Alain Touraine

[4] “[…] pensare ed essere interamente vivi sono lo stesso, e ciò implica che il pensiero debba cominciare sempre da capo; si tratta di un’attività che è tutt’uno con il vivere, che si occupa di concetti come giustizia, felicità, virtù, vita, che ci capita quando siamo vivi”. (Hanna Arendt 2009, Socrate, Cortina Editore Pag. 272)

[5] Enciclica Laudato sì di Papa Francesco

[6] Philippe Descola, Oltre cultura e natura, Cortina editore, Pag. 138

[7]  “Si deve essere in due per scoprire la verità: uno che la esprima e un altro che la comprenda.”

Khalil Gibran - “Per capire i sentimenti degli altri devi innanzitutto comprendere i tuoi.” Daniel Goleman -

 

 cop oltrepassare

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