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Oltrepassare - Intrecci di parole tra etica e tecnologia

Oltrepassare - Intrecci di parole tra etica e tecnologia

01 Novembre 2022 Redazione SoloTablet
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INTRODUZIONE

Il libro di Carlo Mazzucchelli e Nausica Manzi Oltrepassare - Intrecci di parole tra etica e tecnologia è pubblicato nella collana Tecnovisions di Delos Digital 

 INTRODUZIONE 

 

"Non conosco nulla al mondo che abbia tanto potere quanto la parola. A volte ne scrivo una, e la guardo, fino a quando non comincia a splendere".

Emily Dickinson 

 

Mi sembra che il linguaggio venga sempre usato in modo approssimativo, casuale, sbadato, e ne provo un fastidio intollerabile. Non si creda che questa mia reazione corrisponda a un’intolleranza per il prossimo: il fastidio peggiore lo provo sentendo parlare me stesso.  [...] Alle volte mi sembra che un’epidemia pestilenziale abbia colpito l’umanità nella facoltà che più la caratterizza, cioè l’uso della parola, una peste del linguaggio che si manifesta come perdita di forza conoscitiva e di immediatezza, come automatismo che tende a livellare l’espressione sulle formule più generiche, anonime, astratte, a diluire i significati, a smussare le punte espressive, a spegnere ogni scintilla che sprizzi dallo scontro delle parole con nuove circostanze.

Italo Calvino, Lezioni americane. Sei proposte per il prossimo millennio, Pag.38 

 

Siamo parole in carne e ossa 

Quando, con le nostre voci o con il nostro silenzio parliamo, ci scopriamo composti di parole che si incarnano in ogni ruga che attraversa i nostri sguardi, in ogni arricciatura che le nostre labbra prendono e in ogni gesto che, partendo da un dentro turbolento e complesso, si dirige sempre verso un esterno dove quel disordine sembra rispecchiarsi, come causa o conseguenza. 

Siamo parole in carne e ossa, insiemi incarnati di carne e di sangue, di silenzi e di passi, di solitudini, di mani strette, di baci, carezze e abbracci. Attraverso una voce dirompente e coinvolgente o con un silenzio fragile ma che sa scuotere ogni radice, ognuna delle parole che danno forma al nostro linguaggio, compongono il nostro corpo e la nostra anima, narra di un oltre inaspettato, invisibile, che abita in ogni essere umano e, contemporaneamente e allo stesso modo, nella realtà che ci è intorno, ogni giorno sempre più alla deriva, di un’umanità vagabonda e bisognosa. Un oltre che è nuovo respiro e primo passo di una rinnovata esistenza. 

Nella loro apparente semplicità e immediatezza, le parole sono luogo dove l’oltre che ci costituisce emerge come pensiero e azione. Come pensiero in quanto ogni singola parola, pronunciata sottovoce o a pieni polmoni, riesce a scuotere una mente, un’anima, un’interiorità (intimità), facendone vibrare radici e corde profonde, collegando il cuore al cervello, la ragione alle emozioni. Un processo che spesso crea disarmonia e disordine e che, proprio per questo, risulta essere interessante, fondamentale. Nel mondo tecnologico contemporaneo, nella politica, nell’economia, nell’etica in generale, ci accorgiamo che le parole, con i loro significati comuni e insieme ulteriori, sono il più delle volte causa di incomprensioni, fraintendimenti, crisi, differenze. In alcuni casi, solo per essere state pronunciate, magari in forma di poesia o di post digitale, diventano persino motivo di incarcerazione o causa di morte, come è successo a molti intellettuali che non hanno rinunciato alle loro idee per difendere valori e diritti. Tutto questo negativo che le parole sembrano generare, in realtà, se lo guardiamo da un’altra prospettiva, scopriamo che ha in sé una disarmante positività che lo rende indice di trasformazione e di cambiamento, carezza delicata su una realtà ferita, schiaffo coraggioso che scuote un’umanità disorientata, infelice e assopita. 

L’Oltre emerge poi anche come azione, in quanto, creando disordine tra delicatezza e forza, è capace di condurre gli individui e quindi l’intera società, a un’azione rinnovata, pensata e radicale, dentro sé stessi e fuori di sé. L’oltre conduce ad agire da esseri pensanti, responsabili e consapevoli, a non fermarsi alla rappresentazione e al linguaggio con cui è grammaticalmente espressa. Induce a conoscere  e a pensare da esseri capaci di tradurre, senza l’arroganza che sempre possiede ogni traduttore, alla ricerca di ciò che resta non esprimibile in ogni linguaggio, di interpretare i linguaggi degli altri, così come a immaginarne e a crearne di nuovi, per ricominciare (“continuare a cominciare”) ogni volta. 

Dunque, la dimensione ulteriore, l’oltre da catturare dietro le parole, compresi i silenzi che sempre le accompagnano, i colori e le molteplici voci della nostra realtà, donano luce e forma a un’esistenza che sembra avere totalmente dimenticato sé stessa, le sue potenzialità, i suoi confini e i suoi orizzonti. 

Nell’Oltrepassare le parole, emerge allora un profondo significato etico che avvolge e protegge questo oltre, ovvero quello di essere guardati. Tanto più etico quanto più l’esperienza del guardare e essere guardati sembra essere tramontata, sostituita dalla pratica che fissa gli occhi dentro cornici magnetiche, luminose e attrattive che agiscono da strumenti di alienazione terminale della mente, dell’attenzione ma anche dello sguardo. 

Dall’Oltrepassare, dal pensiero e dall’azione che l’oltre scatena emerge un’umanità che, nel disordine, necessita di essere guardata, ovvero di essere presa in considerazione, con amore e immergendosi nella sua complessità, anche se questo significa sradicarla, cambiarla, rivoluzionarla. Sentire la vitale necessità di essere guardati per tornare a sé stessi e all’intera società, è aver bisogno di attenzione, ascolto e comprensione del proprio disordine personale e collettivo, ma anche di un radicale e insieme delicato rimprovero a riordinarsi, necessario per esistere altrimenti. 

L’umanità che emerge è un disordine ingarbugliato ma vitale, da riordinare seguendo le regole del caos senza lasciarsi intrappolare da esso. 

Provando infatti a deviare lo sguardo dai mille nodi intrecciati della complessità disordinata della nostra umanità, dall’altra parte, come in un punto a croce, ci accorgeremo dello splendido disegno a cui essi a poco a poco stanno dando vita con coscienza e sapienza. Intrecci complessi e soffocanti generano bellezza: l’umanità è un disegno a punto a croce in cui ognuno deve ricordare che la bellezza è fatta di nodi, tutti tra loro interconnessi, di relazioni. 

L’umanità è anche un faro che nessuno guarda più. Per via della sua luce fioca la quale mette a rischio l’intera esistenza stessa, ma anche perché lo sguardo è sempre più ingabbiato nell’orizzontalità risplendente e riflettente di uno schermo tecnologico, magnetico e digitale, dal quale sembra essere diventato impossibile distaccarsi, disconnettersi, separarsi. Uno schermo che rende invisibile o trasforma in uno sfondo la realtà al di fuori della sua cornice, che virtualizza e rende trasparente il corpo, facendoci perdere la capacità di collezionare esperienze percettive capaci di cogliere il mondo nella sua interezza e materialità. 

Uno schermo che, come ha scritto Carlo Mazzucchelli nel suo libro E guardo il mondo da un display: “È flessibile, magnetico, attrattivo, tattile, irresistibile, virtuale, ologrammatico e tanto reale […] metafora potente del nuovo modo di guardare e interagire con la realtà del mondo che ci appare […] usato per costruire mondi virtuali e paralleli nei quali perdersi e ritrovarsi, da soli o in compagnia, ma sempre con lo sguardo incollato alle narrazioni visuali di un’immagine o di una fotografia, a un messaggio che parla e comunica fatti, avvenimenti, sentimenti e storie, a un video che scorre, a un videogioco labirintico e senza fine, ad applicazioni che servono per portare a termine un’attività lavorativa o semplicemente per giocare. Le generazioni passate hanno guardato il mondo da un oblò che può essere attraversato dallo sguardo come quello di AstroSamantha, oggi le nuove generazioni lo fanno attraverso lo schermo di un display, mai neutrale, capace di confondere la finzione con la realtà, creando molteplici mondi virtuali nei quali abbandonarsi, perdersi, emozionarsi, rispecchiarsi, riconoscersi e cercare di sentirsi vivi.” 

Perduti e innamorati dei propri display, gli umani dell’era tecnologica postmoderna sembrano tante monadi Leibniziane, tutte in armonia tra di loro ma perse in universi differenti, alla costante ricerca di unità e di esperienze, non soltanto visuali ma materiche, cinestetiche, prossemiche, sonore, linguistiche, olfattive, gustative e tattili. Esperienze che anche il display più innovativo e tecnologicamente avanzato non è ancora in grado di regalare. 

Recuperare queste esperienze incarnate, tornare a guardare la complessità dell’umanità è la missione di ogni essere umano. Una missione individuale, dentro percorsi fatti con altri. L’essere guardati nei propri disegni di bellezza emergenti dalle interrelazioni tra innumerevoli e fitti nodi disordinati è il bisogno nascosto di ognuno, dentro le pieghe di quell’oltre, tremendo ed insieme meraviglioso, in cui ogni individuo si trova immerso. 

Elementi comuni del bisogno di sguardo 

Da un punto di vista etico e linguistico, è interessante notare come, in ogni singola parola “oltrepassata”, vi siano elementi comuni, nodi misteriosi che rivelano nel segreto questo bisogno di sguardo, libero, intenzionale e vero, quindi di cura, di protezione, di responsabilità e di azione, un bisogno che parte dalla complessità e non dalla soluzione. 

Tali elementi linguistici e umani sono: 

●      La presenza del “se” sia come introduzione a un’ipotesi, sia come sospiro di un sogno o volontà di cambiamento, che come “sé”, riferito a ciò che appartiene alla propria persona. In ognuna delle due forme il “se” rappresenta gli occhi di quello sguardo che si reclama di avere e di poter scambiare: occhi che sognano affogati nelle lacrime o nella stanchezza, occhi che, luminosi o spenti, reclamando di essere intercettati da altri sguardi a cui si sono offerti, ripensano a sé stessi e si riscoprono pur sempre vivi. In questi due sensi, dunque il “se” contiene esistenze singole con la loro volontà di vivere a occhi aperti, in evoluzione delicata ed impetuosa. 

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●      L’uso costante di verbi transitivi che esprimono azioni, influenzano l’individuazione, attivano i desideri alimentando i loro appetiti, servono a decostruire la realtà, le verità consolidate, i pregiudizi e le abitudini, aiutano a costruire senso, significati e futuri. In ogni Oltrepassare, in ogni ricercare una dimensione ulteriore con cui costruire la propria vita, vi è sempre la presenza degli altri, della collettività. La complessità è composta di nodi fatti di altrettanti numerosi fili di colori diversi. Anche quando si fa riferimento a esperienze o pensieri singoli e personali, i verbi utilizzati lasciano sempre trasparire il bisogno annodato di comunità, il richiamo ad armarsi in qualche maniera per cambiare le cose, tornare a pensare o a ricordare, sempre e comunque insieme: c’è bisogno di più movimenti e alle volte di più “dita” per sciogliere un nodo. Tali verbi lasciano vibrare un oltre che parla di singoli individui. Per esistere davvero questi individui necessitano, inconsapevolmente, ma assolutamente, di essere semplici nodi, componenti un insieme complesso che arrivano a comporre, unendosi. lo stesso insieme complesso che racchiude la legge d’essenza che definisce come arrivare all’oltre di meraviglia che contiene in sé. Questo significa che ogni essere umano si sente davvero vivo se si sente parte di una collettività, di una società pur sempre alla deriva ma nella quale ognuno si accorge di non essere il solo nodo a aver bisogno di aria nuova, necessità di ricercare la luce che lo rinnovi e lo rinvigorisca ogni giorno. Tali verbi sono dunque le mani di quello sguardo che sa curare e sciogliere i nodi, di cui ogni uomo è composto, dentro un'avventura esistenziale condivisa di mutua solidarietà e destini condivisi. 

●      La presenza della negatività. Negatività che si dà sotto forma di un semplice “non” ripetuto, la coesistenza di due dimensioni negative (né – né / “non siamo né bestie né umani”, “non siamo né umani né macchine”), o nell’esprimere la difficoltà della complessità, o ciò che non funziona o che dovrebbe essere modificato o recuperato. In ogni Oltrepassare, la dimensione ulteriore[1] che rimette in vita si dà come negativo: appunto come nodo, che è momento di crisi, di disperazione, di incertezza o staticità. La negatività che emerge è però inaspettatamente la chiave di volta, “apre la possibilità di un’etica della libertà” (Italo Valent[2]), il nodo in sé è il mezzo su cui salire per prendere le distanze da ciò che è dato, per trascendersi e raggiungere, tra pensiero e azione, quell’oltre che permette di esistere altrimenti. Saper affrontare, passare e incarnare la negatività è esperienza fondamentale. La sua presenza rivela quanto la vera forza sia contenuta nella parte fragile dell’anima di ogni individuo. La negatività evidenzia l’immensa fragilità del mondo contemporaneo, la gracilità delle cose che raccontano la nostra condizione. Si dispiega in tutti i suoi ambiti, ed è la stessa racchiusa anche dentro ogni essere umano. La negatività presente in ogni oltrepassare rappresenta infine la voce di quello sguardo da ricevere e donare di cui l’umanità necessita per vivere d’oltre, per fare del suo caos un disordine ordinato. Il momento negativo è necessario per essere altrimenti. 

Da questa indagine etica e linguistica si nota come in ogni singola parola vi sia un mondo di occhi, di mani, di voci. Intrecciate e indecifrabili ma che riescono a far risuonare un senso vero da recuperare. 

Etica e tecnologia 

Ora, come e cosa tutto ciò si collega con la tecnologia? Come si collega la tecnologia all’etica? 

Nel suo non essere più semplice strumento, deputato a estendere le capacità dell’uomo e potenziare o aumentare le sue capacità operative, ma ecosistema, ambiente e atmosfera che, come tale muta gli uomini. Mutando continuamente insieme a essi, la tecnologia gioca un ruolo fondamentale nella vita di ogni individuo. Oggi lo fa con la pretesa di “... digitalizzare la vita, di ridurla ad algoritmi, di scomporla in metabolismi e organi prontamente sostituibili.” (Miguel Benasayag). Paradossalmente la tecnologia è l’immagine velata di quello sguardo dell’umanità fatto di nodi esistenziali che necessita di comprensione delicata e di un’azione consapevole. È anche il volto da (re)incarnare alla ricerca del filo da tirare per sciogliere i nodi esistenziali che caratterizzano la vita del vivente nell’era tecnologica e per far emergere la soluzione al caos in cui è immersa. 

In che senso? 

Tecnologia[3] è etimologicamente composta dalla parola “-logia” derivante dal greco logos[4], parola e ragione, che significa discorso, parola manifestazione di un pensiero, e da “technè” che significa arte, o meglio abilità, padronanza di un qualche mestiere, conoscenza profonda delle sue regole, a indicare il saper fare qualcosa. Tecnologia è dunque la parola che descrive una conoscenza profonda, che è intreccio di mezzi e metodi, necessari per fare qualcosa: la tecnologia è ciò che ci rende quindi capaci di parlare e riflettere sul fare, sull’agire in una determinata arte. 

L’arte che prendiamo in considerazione, da collegare alla dimensione tecnologica che a volte, pur nella sua utilità e profondità, tende a soffocare, è quella del sapere fare del caos un disordine ordinato, quella dello strecciare (sciogliere, districare) i nodi, di dispiegare le pieghe, ovvero l’esistenza. 

Saper vivere è una particolare arte di ricamo che di logico e ordinato non ha nulla (“[...] la vita è un sistema che non può che essere aperto e caotico, imprevedibile e incontrollabile, sorprendente e inquieto[5]). È un mestiere a cui ognuno è stato destinato: ogni uomo si dedica notte e giorno alla propria arte di vivere, ne conosce i metodi difficili per comprenderne i fili intrecciati che fanno soffrire o gioire. Ne padroneggia alla perfezione le caratteristiche pur rimanendo in balia delle onde del tempo, si dispera perché a volte si accorge di come essa sia incomprensibile e troppo complicata, poiché muta continuamente. E infine ne va anche fiero, quando il sole lo segue e gli permette di sciogliere qualche nodo della matassa, una vittoria momentanea che gli fa dimenticare l’importanza del temporale della complessità ingarbugliata di una esistenza fatta di tanti nodi di fili colorati e diversi. 

Dunque, etica e tecnologia si uniscono in questo punto delicato e profondo: l’essere umano sa come vivere, conosce l’arte del ricamo e dei nodi, ma si dimentica di parlarne: crede che tutto sia scontato, non si meraviglia più di nulla, neanche del potere della parola che può incantare, proteggere o addirittura deviare chiunque la pronunci o la ascolti. L’essere umano sa di essere un nodo in quell’intreccio, componente essenziale per il disegno di bellezza che ne verrà fuori, ma rimane inerme, immobile, ingabbiato nella passività dell’indifferenza e della lamentela costante, dimenticando la sua capacità creativa e trasformativa: egli è nodo che può pensare, agire e parlare e, così, trasformare e continuamente rigenerare la realtà.   

La parola sulla sua arte e padronanza umana di vivere è fondamentale. Lo rende consapevole di fronte al suo caos fatto di nodi, lo ridesta, lo rigenera. Nel momento in cui gli suggerisce di cambiare prospettiva e andare a vedere il ricamo meraviglioso che viene fuori da quella gabbia di fili, dove la sua anima è annodata, inaspettatamente fa emergere l’oltre che, di quel disegno apparente ne fa scoprire il vero senso, di quell’arte ne scombussola regole, piani e metodi, per renderla caos ordinato da uno sguardo-oltre da guardare e con il quale guardare. 

La parola eticamente addita l’essenza, cambia prospettiva su ogni singolo nodo. La tecnologia fa di quel nodo l’immagine di uno sguardo-oltre da avere puntato su di sé e da incarnare. Commistione di carne e di virtuale, di lettere digitali e di vene e muscoli che le digitano, di video e di occhi stanchi che li guardano, etica e tecnologia si incontrano dunque nel filo comune, seppur di diversi colori, che compone il nodo di ogni caos e che è punto da cui partire per renderlo un disordine ordinato: la carne umana. 

La tecnologia senza l’etica non avrebbe né radici né ali, non si ricorderebbe di aver davanti complessità di nodi di carne umana e non riuscirebbe a trovare parole per spiegare e scegliere metodi di quell’arte di ricamo esistenziale da reinventare e sostenere con responsabilità. L’etica senza la tecnologia non avrebbe un’immagine di pensieri e azioni del presente, e insieme del futuro, su cui radicare e imprimere le fondamenta: un oltre fatto di umanità di carne e di luce. 

Etica e tecnologia quindi si uniscono nella carne umana che compone nodi di parole che utilizziamo e che compongono la nostra quotidianità, dando testimonianza a quella dimensione ulteriore da incarnare. Oltrepassare fa divenire esseri umani nuovi, eticamente tecnologici e tecnologicamente etici, capaci di parole di carne, pensieri e azioni nel presente per il futuro, con radici e ali di responsabilità e di giustizia. 

L’Oltre che è la dimensione da recuperare per far emergere la carne umana, senso del disegno d’essere che compare sopra nodi intrecciati di fili colorati, è filo che costituisce realtà e esseri umani, unica via d’uscita che indica la forma da dare a quello sguardo di cui l’umanità ha oggi grande bisogno. 

È un Oltre che, eticamente e tecnologicamente, è presenza che sorveglia, cura e ridesta. Con coraggio e passione, vivendo al di là del senso comune, aprendo nuovi orizzonti con la propria arte di vivere e i suoi nodi, carne umana da reinventare alla luce di quello stesso sguardo-oltre, nel ricordo del passato, nel ritmo del presente, verso un futuro più umano, eticamente tecnologico e tecnologicamente etico. 

Sarà un viaggio nell’Oltre fatto di varie tappe fondamentali ed inesauribili. La prima di queste sarà dunque la sfera sociale e politica dove l’Oltrepassare sarà interpretato come strumento per ripensare lo Stato e la democrazia, intrecciati in un bisogno di carezze e di speranza nel costruire e guardare all’orizzonte futuro. 

Da questa riflessione, infatti, si giungerà ad oltrepassare la parola “futuro” connessa a quella di Europa, volto trafitto da venti di crisi e pandemie e che necessita solo di essere amato nella sua complessità. Europa: una comunità di sguardi che solo incrociandosi possono salvarsi reciprocamente e reinventarsi per reinventare una società intera alle prese con la sfida della responsabilità e quella della giustizia. 

Intera realtà contemporanea che dovrà dunque rinascere a partire dalla commistione tra umano e digitale, società tecnologicamente avanzata, vittima e protagonista di alienazione e ibridazioni, nel baratro del conformismo e dell’indifferenza. Questo sarà il tema affrontato in un’altra tappa di questa riflessione: “nostroverso” e metaverso, intelligenze artificiali e pianisti d’esistenza di carne umana, “non luoghi” e “documanità”. 

Da tale commistione, quindi, si parlerà dell’utilizzare la pratica di Oltrepassare anche come strumento cognitivo per trasformare la contemporanea e delirante mentalità. Oltrepassare le parole è il modo per capire meglio la nostra mente e il nostro cervello, come funzionano e come possono tornare ad illuminarsi di nuovo pensiero: pensiero “divinità” ovvero un coraggioso modo di essere e fare che, come la dea Atena, nasce e scinde in due il soggetto e l’intera realtà che ha attorno per ripristinare un nuovo ordine. Pensiero controcorrente, luminoso e provocatorio. 

In ultima istanza, analizzeremo l’Oltrepassare come approccio etico e psicologico: dal tornare a ragionare criticamente e consapevolmente incarnando l’Oltrepassare come strumento cognitivo, si giungerà a ripensare la propria interiorità, “anima” che, nel “sentimento dell’Altrimenti”, tornerà a sentirsi capace di vera azione nel mondo “quel fare che muove dall’interno”. 

Soltanto affidandosi a questo viaggio, lasciandosi cullare dalle parole e nelle parole, Oltrepassare potrà divenire lo “scalpello di Michelangelo” che fa emergere la radice di senso e di bellezza al di sotto delle macerie di un mondo e di una umanità dimentica di sé stessa, perché ingarbugliata nella sua stessa complessità tra linguaggio, etica e tecnologia, e bisognosa di un vero, coraggioso e insieme fragile, amore che possa salvarla.


[1]  Il termine “ulteriorità” ricorrerà spesso all’interno di questo lavoro. Tale parola serve a sottolineare l’idea alla base dell’Oltrepassare. Essa indica la dimensione profonda di cui è composto ogni elemento del reale: ogni cosa che esiste, esiste nel mondo dell’apparenza, ma il suo significato va ben oltre il senso pratico e strumentale, tutto ha quindi una radice d’essenza (significato originario ed ultimo) che è punto di partenza e punto a cui tornare per ripensare e ripensarsi. Il termine ulteriorità è usato anche come sinonimo di radice (si veda il ricorso all’etimologia di ogni parola) ed è anche metafora di un pensare “altrimenti” ovvero uscendo dai luoghi comuni per vivere controcorrente la società contemporanea. Ulteriorità infine è il termine che connette linguaggio, etica e tecnologia: intrecci di parole che tornano ai loro nodi originari (significati profondi e non comuni) tra un’etica di responsabilità e di risorse umane da reinventare insieme ad un uso della tecnologia consapevole e critico.

[2] Italo Valent, Ancora e sempre – Saggio su Wittgenstein, edizioni Moretti & Vitali (2021)

[3] La parola tecnologia deriva da tecnica che a sua volta viene da téchne. È un insieme di tecniche utili al raggiungimento di uno scopo. La tecnologia è la concretizzazione della tecnica. Oggi la tecnologia da semplice strumento, insieme di tecniche, si è trasformata, grazie alle tecnologie digitali e non solo, in un ambiente, in un apparato, capace di tenere legati gli esseri umani come la Caverna di Platone e di determinarne mente, comportamenti e psiche.

[4] Sulla parola Logos è interessante leggere l’etimologia fornita da Elémire Zolla nel suo libro La nube del telaio (Pag. 4) nell’edizione MOndadori del 1996: “[...] provenendo da léghein, raccogliere, denota ciò che è raccolto e riunito insieme quindi il discorso corrente, la parola sensata, il detto memorabile, l’oracolo, l’origine, l'indagine. [...] in latino si potrebbe tradurre comprehensio, derivante da prehendere, che denota la presa e l’impossessamento”

[5] Miguel Benasayag: La singolarità del vivente, Jaca Book Edizioni, 2021, Pag. 13

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