2022 - Oltrepassare - Intrecci di parole tra etica e tecnologia /

Oltrepassare - Intrecci di parole tra etica e tecnologia

Oltrepassare - Intrecci di parole tra etica e tecnologia

01 Novembre 2022 Redazione SoloTablet
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PREFAZIONE

Il libro di Carlo Mazzucchelli e Nausica Manzi Oltrepassare - Intrecci di parole tra etica e tecnologia è pubblicato nella collana Tecnovisions di Delos Digital 

PREFAZIONE

 

Lentamente, simili a bolle d'aria, i pensieri salgono in superficie. (Talvolta è come se vedessimo un pen­siero, un'idea, che dapprima sembra un punto indi­stinto lontano all'orizzonte, farsi poi più vicino, spes­so con sorprendente rapidità).”

L. Wittgenstein – Pensieri diversi. A cura di Georg Henrik von Wright, 1947 

 

“La tecnica è oggi il nostro fato [...] e se, forse, non siamo in grado di guidare la mano del nostro destino, non dovremmo rinunciare a sorvegliarlo.

Gunther Anders, L’uomo è antiquato, 1980, Pag. 17 

 

"Le parole sono creature vive. Ci sono parole che resistono al passare del tempo, si rinnovano senza fine, non stancando mai, e ci sono parole dimenticate, ignorate, anche se portatrici di significato [parole che aprono orizzonti di senso sconfinati]".

Eugenio Borgna, Saggezza. Il Mulino Collana Parole Controtempo 

 

Esordio

 

Prima di inoltrarci in questo testo, può essere utile raccontare e conoscere in quale contesto esso sia maturato. L’idea del libro nasce da un approccio ermeneutico-interpretativo che guarda all’essere come linguaggio da interpretare e comprendere, dalla percezione degli autori che le parole oggi usate siano sempre più inadatte a raccontare la realtà dell’essere e vadano pertanto sempre (re)interpretate. 

Questa inadeguatezza suggerisce la ricerca di nuove pratiche filosofiche ed esistenziali. Quella che qui proponiamo, denominata Oltrepassare, permette di andare oltre gli (ab)usi, i significati e le interpretazioni correnti delle parole, assegnando loro nuovi significati, per cercare di rigenerarle, ridando loro la ricchezza polisemica di cui sempre sono portatrici ed espressione. Grazie alle nuove tecnologie e alle piattaforme social, moltitudini di persone stanno imparando a conoscere il potere trasformativo delle parole e la loro capacità nel dare forma alla realtà, in molti casi anche alla verità (da non confondere con la Verità). Molte si stanno anche interrogando sulle abitudini linguistiche prevalenti e sui cambiamenti in corso. Lavorare sul linguaggio significa riflettere sulle forme attuali della comunicazione, delle conversazioni, delle narrazioni e del dialogo disincarnati, e non solo, tipici delle piattaforme tecnologiche che quasi tutti frequentiamo. L’assenza del corpo fa da spunto per una riflessione filosofica sull’importanza dell’Altro, inteso come unità mente(psiche)-corpo, volto e sguardo, come un “tu” e un "noi" di una molteplicità e multidimensionalità che ci costituisce interiormente ed esteriormente, dimensioni con le quali il nostro “io” è destinato sempre a confrontarsi e a scontrarsi. Nella ricerca di ognuno verso l'individuazione della propria soggettività individuale e singolarità, attraverso l’esperienza della relazione con l’Altro, del “Noi”, inteso anche in senso psichico. La pratica dell’Oltrepassare sta dentro una visione etica relazionale del mondo che suggerisce il recupero delle parole necessarie per ridare nuovi orizzonti di senso a una umanità in cerca di sé stessa, per fornire risposte alla solitudine esistenziale che caratterizza la vita di molte persone nell’era della connessione, della globalizzazione, e dei social ma anche della crisi, della disconnessione, del cinismo e del nichilismo diffusi. Parole come solidarietà, accoglienza, generosità, gentilezza, condivisione, sollecitudine, compassione e molte altre. Lo scenario che fa da sfondo è tecnologico, digitale, automatizzato e farà da ambiente scenografico, da palcoscenico, in ogni parte del libro, per una riflessione critica e filosofica sulla tecnologia e i suoi effetti.

Questo libro nasce da un incontro e da una urgenza condivisa. L’incontro è intergenerazionale, tra una giovane filosofa e nativa digitale, alla ricerca di un percorso filosofico personale (Cardiogrammi, Custode d’esistenza) di interpretazione fenomenologica della realtà, e un baby-boomer, filosofo di formazione ed ex-dirigente d’azienda, impegnato da anni nel promuovere, con il portale SoloTablet (www.solotablet.it) e i suoi libri, una riflessione critica sulla tecnologia e sui suoi effetti finalizzata alla (tecno)consapevolezza.  

L’urgenza è germogliata dalla percezione condivisa di vivere tempi strani, pieni di rughe e di crepe, di rottura (l’orlo del caos delle teorie della complessità) paradigmatica, di cambiamento e di incertezza, per alcuni dentro un’epoca nuova in emergenza, forse rivoluzionaria come lo è stata quella del 1789. Tempi definiti, da filosofi come Slavoj Žižek[1] e altri, alla fine dei tempi perché caratterizzati dall’emergere di fenomeni di complessità e criticità che obbligano a ripensare modelli, punti di vista e sguardi sulla realtà, ad esempio abbandonando la visione antropocentrica del mondo, ridefinendo la contrapposizione natura e cultura, riflettendo sul ruolo assunto dalla tecnologia nell’evoluzione dell’umano e prestando maggiore attenzione alle disuguaglianze sociali ed economiche, politiche e digitali . Sono tempi la cui straordinarietà e criticità cerchiamo di rimuovere, che affrontiamo con rabbia e che per alcuni sfociano in depressione, spesso manifestazione di un’accettazione di fondo della realtà, percepita cinicamente e con nichilistica rassegnazione come immodificabile. 

L’urgenza nasce anche dal bisogno di ripensare la centralità dell’essere umano incarnato, oggi messa in discussione dalla volontà di potenza della tecnologia, attraverso una lettura dell’umano digitale disincarnato e delle sue pratiche relazionali desomatizzate. Necessaria è anche una riflessione etica sui mutati orizzonti dei valori e sulle parole che li descrivono, su quanto siamo disponibili a dare autonomia decisionale alle macchine, sull’evoluzione delle intelligenze artificiali, su come regolare i rapporti tra essere umani e robot, su come continuare a rimanere umani. 

Siamo ormai tutti mobilitati e imprigionati dentro schermi-specchio che i nostri volti e sguardi non riescono più a frantumare. Viviamo tempi di continue trasformazioni, anche esperienziali, tempi dominati da tecnologie digitali potenti, accelerate e pervasive che stanno prendendo possesso del mondo attraverso codici software matrix, dispositivi, reti di oggetti, assistenti personali, intelligenze artificiali, piattaforme e protesi digitali, Big Data (non solo contenitori di dati ma strumenti analitici e conoscitivi potenti e pervasivi), modificando la nostra sensibilità e percezione umana della realtà (tempo, spazio e non solo), il nostro modo di relazionarci come individui incarnati sempre più deprivati di corpi, occhi (“ha due bellissimi occhi, come avete veduto, due occhi che dicono tutto quello che vogliono”), volti, mani e sguardi. Modificati sono anche il nostro sé e il nostro inconscio. Il riferimento va qui all’inconscio tecnologico di cui parla Umberto Galimberti[2] ma anche a ciò che ha scritto Eleonora de Conciliiis nel suo bel libro del 2016 Psychonet. Secondo la filosofa quando navighiamo in rete noi siamo ormai diventati passivi, accettiamo senza esitazione tutti i contenuti con i quali veniamo in contatto. La passività si traduce in un’accettazione automatica delle informazioni senza alcuna sottoscrizione cosciente e consapevole. 

Le modificazioni in corso mirano a digitalizzare la vita trasformandola, in modo riduzionistico, in semplici ma efficienti algoritmi (dall’arabo al-Khuwārizmī), in tanti elementi indifferenziati, tutti sostituibili come singoli pezzi di un puzzle a innesto i cui incastri sono già stati da altri predefiniti. Stanno determinando mutazioni profonde con effetti imprevedibili sulla vita individuale delle persone, molto diversa da un puzzle, nella società e su tutti noi come esseri umani. 

Su questi effetti, sulla realtà mediata e ibridata tecnologicamente è diventato urgente interrogarsi, antropologicamente, umanisticamente, criticamente ed eticamente, fuori dai solchi già tracciati, ponendosi continue domande, provando a suggerire alcune risposte, per andare Oltre, Altrove, verso scenari futuri sempre umani, sempre limitati e incompleti ma umani. L’interrogarsi non deve essere dettato dalla tecnofobia, neppure dal vittimismo che molti esprimono nei confronti della tecnica. Deve essere guidato dalle responsabilità che ci competono come esseri umani, dai nostri doveri verso l’umanità, verso noi stessi e gli altri, a partire dalla consapevolezza che non siamo degli automi, almeno non ancora.

Mani collaboranti 

Il libro è scritto a quattro mani ma, nel percorso che ha portato alla sua ideazione e stesura, altre mani si sono aggiunte unendosi a quelle dei due coautori, con alcuni contributi individuali (più di 200 quelli pubblicati sul portale SoloTablet) che fanno parte del libro e hanno favorito una riflessione più ampia sugli argomenti oggetto di trattazione. Queste mani si sono incrociate, come lo fecero quelle preistoriche che 10000 anni fa hanno ricoperto con le loro impronte la Cueva de las Manos nella desolata landa patagonica argentina, attraverso il progetto OLTREPASSARE. Nato in Rete il progetto è aperto a tutti, anche a chi ci legge, e alla collaborazione di chiunque voglia collaborare alla promozione di un pensiero e di una riflessione critica utili a rigenerare ciò che si è sclerotizzato diventando ripetitivo, rigido e abitudinario. I pensieri e le riflessioni qui di seguito proposti aspirano a definire e a proporre una pratica etico-esistenziale e filosofica declinabile in metodologie praticabili da singoli individui, mai isolati ma sempre inseriti in contesti sociali, comunitari e cognitivi, così come da realtà organizzate, aperte alla complessità del pensiero e impegnate nell’immaginare e costruire futuri possibili. 

L’invito a Oltrepassare è un invito a scommettere sull’uomo, sull’umanità, a pensare, come aveva scritto Ernst Bloch nel suo libro Il principio speranza, e a resistere alla pretesa arrogante della tecnica di dominare il vivente, come se fosse una semplice macchina. Dentro una visione che vede linguaggio e pensiero intrinsecamente collegati[3] (il pensiero si dice nel linguaggio, il pensiero è come una parola che non esiste ancora), l’invito a pensare è rivolto anche a comprendere l’infinità di senso delle parole, la loro “valenza d’essere” (Gadamer). L’idea che anima Oltrepassare è di agitare, contribuire ad alimentare fenomeni emergenziali già in atto nella forma di disincanto tecnologico, mettere in movimento le menti, a partire dalle proprie, sperimentare, ricercare, esplorare, a cominciare dal linguaggio, oggi sempre più colonizzato tecno-linguisticamente, dalle parole e dai loro mutevoli significati. 

La riflessione sulle parole è tanto più necessaria quanto più le parole, fragili per loro natura, sono oggi in costante ritirata, usate come etichette convenzionali, codici QR di facile lettura e immediata interpretazione. Come se le parole potessero essere iconizzate, etichettate, codificate e incatenate con chip RFID dentro significati delimitati, mentre sono per definizione capaci di richiamare infiniti orizzonti di senso, collegati alle loro origini, alla loro storia e al loro passato così come al futuro a cui sempre esse rinviano. Come se fosse possibile racchiudere la ricchezza semantica, dialogica, interpretativa e contestuale della parola in semplici formule o gesti digitali, in assenza di corpo, di udito e di sguardi. Come se le parole nel loro essere comprese non fossero da (re)interpretare, perché sempre richiamanti un ordine di senso che obbliga a oltrepassarne i significati per scoprire il non-detto. Ciò che sempre nel linguaggio accompagna il detto, spesso enunciato come se fosse vero, nella consapevolezza che tutto potrebbe sempre essere detto in modo differente. 

La ritirata delle parole avviene nei confronti di altre forme di linguaggio, di immagini e altri media digitali, quasi subordinate allo storytelling e alla chiacchiera online, alla brevità dei cinguettii, alla velocità dei messaggini, allo spettacolo, alla pubblicità e alla propaganda. Oggi più che mai abbiamo bisogno di parole così vicine al cuore da non poter essere rese insignificanti da una comunicazione digitale che tutti ci coinvolge, facendoci dimenticare il nostro destino umano di esseri che camminano insieme, su un pianeta Terra che mai come oggi ha bisogno di noi. Il camminare insieme implica l’impegno a costruire linguaggi comuni scegliendo parole etiche intorno alle quali potersi riunire. In primo luogo, parole come solidarietà, nella forma di “empatia psichica e condivisione esistenziale[4]”, e responsabilità. Camminando e respirando responsabilmente insieme diventa possibile esercitare l’arte dell’ascolto, sviluppare la capacità di comprendere la voce dell’altro, dialogando con lui sul presente e sulle sue criticità, così come sugli scenari futuri a cui dare forma individualmente e collettivamente. 

Oltrepassare, una metafora filosofica 

Il progetto OLTREPASSARE ha fatto da catalizzatore di tante persone, con sensibilità, esperienze, culture e professionalità diverse, tutte accomunate da curiosità intellettuali e umane, dall’apertura al dialogo, da spirito di ricerca e un comune sentire, dalla ricerca di conoscenza(e) e (tecno)consapevolezza, dal senso di urgenza che suggerisce di dare un contributo individuale e di gruppo, comunitario, dentro un’era tecnologica caratterizzata dal prevalere algoritmico della tecnica, dalla codificazione dei comportamenti, delle emozioni e dei sentimenti. Un’era dominata dalle intelligenze artificiali ma anche da un linguaggio spesso volgare e brutale che alimenta le connessioni e le interazioni sulle piattaforme digitali online ma uccide ogni forma di collegamento relazionale e di dialogo. Un’era che è stata lapidariamente descritta dal filosofo francese Éric Sadin nel suo libro La siliconizzazione del mondo come il frutto della “ [...] strana e sacra alleanza fra la punta più avanzata della ricerca tecnologica, il capitalismo più avventurista e d’assalto e i governi social-liberisti, che vedono nell’algoritmizzazione della società una occasione storica perfettamente rispondente al nucleo del loro progetto[5], quello di amministrazione ottimale delle cose, [di dominio tecnocratico del mondo e del reale]”. 

Porre al centro della riflessione la tecnologia è oggi un modo per riflettere su una realtà, nella quale siamo tutti immersi tanto da non sapere neppure più di esserlo[6], che soffre di individualismo, presentismo e conformismo. Atteggiamenti narcisisticamente (egoisticamente) adottati da molti per compiacersi dello status quo evitando di interrogarsi, anche eticamente, sulle proprie azioni e emozioni. Sui propri comportamenti e pensieri, sul linguaggio adottato e praticato e sulle parole che lo caratterizzano così come sull’ethos di una società tecnologica che mira a imporre i suoi valori e visioni del mondo, molte delle quali apertamente transumaniste e postumane. Il compiacimento provato nell’esperienza tecnologica impedisce di comprendere che interrogarsi è un modo per ascoltare(si), cercare di interpretare e comprendere(si), a partire dalla constatazione che tutto il nostro parlare non è altro che un domandare e rispondere, non è altro che un continuo ricercare: “Rispondere a una domanda significa venire a capo del senso della domanda e con ciò, del suo sfondo motivazionale[7]", del contesto nel quale il dialogo sta avvenendo. 

Riflettere ponendosi delle domande vorrebbe dire uscire dal gioco tecnologico binario di stimolo e risposta che ostacola ascolto e capacità a dialogare, ma anche a polemizzare (nel significato dell’eracliteo polemos, Πόλεμος, all’origine della cultura) in modo dialettico e sano.  Fermarsi un attimo a ragionare e a sentire(si), favorisce il pensiero lento e l’elaborazione di pensiero critico, entrambi utili per continuare a interrogarsi, anche filosoficamente, sulla vita. Pensare criticamente è il modo per introdurre ulteriore complessità dentro un’esistenza sempre più digitalizzata e banalizzata, raccontata come semplice esperienza consumistica e funzionale da una infinità di narrazioni che edulcorano la realtà, manipolandola, uniformandola e omologandola allo storytelling dominante del momento. L’omologazione coinvolge azioni, opinioni, sentimenti, stili di vita e comportamenti inducendo ignoranza, cecità e passività che (nessuno può dirsi oggi anticonformista!) ci impediscono di  percepire e riconoscere quanto sia illusoria la libertà che pensiamo di esercitare. Illusoria lo è anche la libertà percepita su piattaforme digitali che cancellano la personalità e la corporeità, regalando una servitù volontaria[8] da molti vissuta come una scelta. 

Porsi e porre domande significa sempre “agire per penetrare[9]”, è un modo per riflettere su libertà e servitù sperimentate o percepite, sulla propria identità e sull’alterità da cui essa in modo fluido trae origine, sia quando incontriamo persone conosciute sia quando l’Altro è un perfetto sconosciuto, uno straniero, un mondo complesso. Anch’esso meritorio comunque di uno sguardo, di attenzione e di ascolto. Quasi una bestemmia in un’epoca nella quale l’“Altro sconosciuto” si presenta sempre più con la faccia di un (e)migrante, di clandestino (da clam=nascosto e dies=giorno, è colui che si nasconde durante il giorno), da bloccare prima ancora di incontrarlo, da evitare una volta sbarcato e da scansare e/o combattere. Il nostro sé, che è anche un sé sociale, relazionale, è sempre intrecciato con il sé di qualcun Altro. Abituati a interagire attraverso profili digitali abbiamo dimenticato quanto l’Altro, come essere incarnato, anche quando opera attraverso i suoi avatar digitali, possa cambiarci, emozionarci, trafiggerci, nel corpo e nell’anima, come individui e come persone sociali, attraverso i sensi ma anche il semplice tocco d'una mano, in forma di carezza o (con)tatto fisico. 

Il perché di un titolo 

La scelta di OLTREPASSARE come titolo del libro non è casuale. Non lo è neppure averlo collocato in un contesto etico e tecnologico. Scelta e collocazione nascono dalla necessità di riflettere, linguisticamente e   filosoficamente, sull’intreccio che lega le sorti dell’umanità alle nuove tecnologie e ai mondi a cui sta dando forma, sullo stretto rapporto tra la trasformazione digitale in corso e le numerose sofferenze umane che si manifestano nella società in forma di solitudini, ansie, malattie psichiche e patologie varie. 

Queste riflessioni servono a contestualizzare l’epoca tecnologica attuale, i suoi linguaggi e le sue narrazioni. Sono utili per comprendere il progetto totalizzante della tecnologia che mira a erigere una nuova torre di Babele, virtuale ma cementificata da infinite connessioni elettroniche, dominata da un linguaggio unico assimilabile alla Neolingua di orwelliana memoria. Una Torre del Carburo o Babelturn i cui mattoni sono “sono stati chiamati Ziegel, briques, tegula, cegli, kamenny, bricks, téglak [...][10]”. Una torre oscura (la Barad-dûr del Signore degli anelli) capace di seminare discordia attraverso tante false informazioni e linguaggi pieni d’odio, utilizzati come mattoni per la sua imponente realizzazione, e che esprime il sogno demente di grandezza dei suoi padroni. Nella sua superba pretesa di sostituirsi a Dio, la tecnologia deve però fare i conti con la diversità umana (Frodo e la compagnia dell’anello, Don Chisciotte e Sancho Panza, Dedalo e Icaro, Ulisse, ecc.) e i suoi linguaggi, con l’impossibilità di racchiudere dentro una semplice torre verticale l’umanità intera, andata dispersa dopo la distruzione della Torre originaria di biblica memoria. Oltrepassare è lo strumento scelto per impedire l’edificazione della nuova Babele, per impedire nuove torri oscure si Sauron, per impedire la sparizione dei mulini a vento, per favorire la diversità e per questo, per celebrare la irriducibile ricchezza umana. 

Proprio quando riteniamo di essere tutti connessi, ci rendiamo conto di essere sempre più disgiunti, scollegati gli uni dagli altri, quasi disintegrati psichicamente, socialmente e umanamente. La sofferenza e la disintegrazione nascono da problemi reali e materiali quali la povertà, la precarietà e la disuguaglianza ma anche dalla sparizione del corpo. Dentro relazioni umane digitalizzate, disincarnate, a distanza, attraversate con schermi e apparecchiature che impediscono di sperimentare il contatto con l’Altro, la comunicazione non verbale, le carezze dello sguardo e le mille emozioni che in presenza sempre sanno generare i volti delle persone. Testimoni di questa sofferenza, di questa alienazione, sono le migliaia di giovani che sperimentano la sindrome del ritiro dal mondo, il biancore ben raccontato dall’antropologo francese David Le Breton. Un ritiro che sa di fuga, di astensione, di indifferenza e soprattutto di rinuncia a desiderare. Fortunatamente non interessa tutti i ragazzi delle nuove generazioni (i Friday for future di Greta ad esempio), ma racconta di un disagio personale e collettivo, individuale e sociale insieme, che ha origini socioculturali e economiche ma che è generato anche dalla disponibilità di mondi digitali paralleli nei quali rifugiarsi e che diventa difficile abbandonare, oltrepassare. 

In questa realtà sofferente e ansiosa il richiamo a Oltrepassare diventa allora un invito a (ri)focalizzare l’attenzione, oggi catturata dagli schermi, fuori da essi e dai ricettacoli digitali a cui danno accesso. L’obiettivo è di affinare lo sguardo per meglio comprendere la realtà, nostra personale e dell’Altro, coltivando nuova conoscenza, utile per una maggiore (tecno)consapevolezza e responsabilità, capacità di scelta e decisionale. Un primo passo per fare questo è la pratica filosofica del dubitare. Un modo per pensare, anche nei suoi significati semantici di pesare, soppesare e valutare, per abbandonare i luoghi comuni, per guardare le cose da punti di vista e cornici diversi, rafforzare la propria libertà interiore contrastando dogmatismi e fanatismi. Senza accontentarsi di ciò che si pensa e si sperimenta ma spezzando i numerosi schemi mentali che fanno da filtro nella percezione della realtà, oggi anche quella virtuale e digitale. 

Dubitare è un modo per mettere in discussione la realtà ibridata tecnologicamente e sé stessi, per cercare di capire cosa si pensa e come si vive dentro la tecnosfera, per smuovere opinioni, convinzioni e giudizi, per uscire dalla Echo Chamber[11] nelle quali amiamo crogiolarci online, e per decostruire certezze, affermazioni e spiegazioni, per combattere pregiudizi, idee e credenze poco analizzate nella loro consistenza, fondatezza e verità. È anche un modo per sperimentare la propria esperienza etica, ad esempio nel trattare l’Altro, lo straniero o il diverso, commisurandola a: informazioni e conoscenze possedute, non necessariamente corrette, veritiere o adeguate (si pensi alle false notizie e alle tante verità alternative in circolazione online); al proprio sguardo sul mondo, oggi ibridato con la tecnologia; e ai propri (pre)giudizi. Per dubitare bisogna trattenersi, soffermarsi e predisporsi con apertura mentale e disponibilità a pensieri nuovi e diversi, bisogna interrompere il pensiero binario, rifocalizzare l’attenzione, bisogna anche saper mettersi in ascolto e in attesa. 

Viviamo tempi di disincanto, filosofici 

L’epidemia da Coronavirus, la sua durata e astuta resilienza hanno evidenziato la fragilità di un genere umano ibridato dalla tecnologia ma pur sempre vulnerabile nelle sue interazioni con il mondo e la natura. I potenti mezzi tecnologici messi in campo dalla scienza non sembrano bastare a contrastare un virus dall’elevata capacità mutagena che ci ha costretti a fare ricorso a strumenti antichi quali mascherine, igiene personale e distanziamento fisico. A poco sono servite anche le applicazioni intelligenti messe a disposizione sullo smartphone e che avrebbero dovuto facilitare l’immunità grazie al tracciamento finalizzato a una maggiore protezione. 

Viviamo tempi di crisi, di violenza e distruzione, di grande avvizzimento, sotto il vulcano[12], per alcuni millenaristi la prefigurazione delle apocalissi che verranno, per altri semplicemente tempi di grandi cambiamenti, forse rivoluzionari, epocali. Tempi complicati, di grande incertezza, anche esistenziale per colpa di una pandemia le cui onde sussultorie arrivano ovunque. Dentro un terzo millennio che si è presentato con disastri successivi (attacco alle Torri Gemelle, crisi finanziaria del 2007/2008, disastri ambientali, pandemia da Coronavirus, ecc.) a cui siamo precariamente scampati o da cui siamo stati lambiti. Viviamo tempi duri ma anche molto filosofici. Tempi incerti e senza bussola, nei quali sentiamo forte il sentimento di precarietà (non si tornerà più alla vita di prima) e cresce il bisogno di conoscere, insieme al desiderio di sapere. Il bisogno in molti è ancora implicito, manca l’appetito del desiderio. Scarsa è la capacità di resistere alle innumerevoli lucciole luminose ma ingannatrici che abitano i mondi online. 

Questi sono tempi nei quali, mentre si diffonde il pensiero binario e veloce, la maggior parte delle persone sembrano aver rinunciato a pensare, persone semplici così come governanti e politici, imprenditori e liberi professionisti. Il non pensare non è solo legato al troppo tempo passato online, dipende anche dai tempi superficiali ed eccezionali che stiamo vivendo. L’effetto è che non ci si sofferma più, mettendosi in una posizione esterna, a valutare le cause delle proprie azioni, soprattutto quelle guidate dalle emozioni, dagli istinti e dalle pulsioni, come quelle che emergono dalla comunicazione e dalle narrazioni che caratterizzano la realtà fattuale. Il non pensare ha effetti anche sulla vita interiore, si finisce per non conoscersi, per giustificare tutto, per non fare delle scelte, ma soprattutto per isolarsi dal mondo esterno e dai suoi fatti, sempre utili a mettersi in discussione, a sperimentare reazioni di attrito e conflitto, tutti eventi e situazioni che possono servire a misurare l’ambizione e la vanità personali, la convinzione di avere sempre ragione e di essere nel giusto, l’uso delle parole che si fa e la loro falsità. La misurazione può facilitare la presa di coscienza, primo passo verso una maggiore consapevolezza e responsabilità. 

Fortunatamente il disincanto tecnologico crescente sta facendo emergere la percezione forte di tempi in cambiamento. Sta ispirando scelte individuali non necessariamente conformistiche o politicamente corrette, nuovi stili di vita e comportamenti diversi, da parte di un numero crescente di persone. Le une e gli altri caratterizzati dalla maggiore conoscenza e consapevolezza, dalla disponibilità a uscire dalle zone di conforto abituale per mettersi alla ricerca di verità. La ricerca così come la riflessione non può che muoversi entro una prospettiva antropoietica[13], a partire dalla consapevolezza che le nuove tecnologie hanno delineato per noi il nuovo ambiente socio-culturale, e non solo, nel quale ci muoviamo. Questo ambiente tecnologicamente modificato, ibridato, modifica lo spazio dimensionale autopoietico umano, dà forma a quello che siamo (diventati), ci modella mentalmente, culturalmente e socialmente attraverso riti di iniziazione suoi propri, fatti di nuove mitologie, di luoghi di culto come le piattaforme, attraverso linguaggi e narrazioni, ritualità di gruppo e pratiche che finiscono per essere percepite completamente naturali, anche se non lo sono. 

Il percorso che qui delineiamo come Oltrepassare è una ricerca o prassi filosofica. Parte dalla comprensione di chi si è, come soggetti e come genere umano. La comprensione deve abbracciare la realtà tecnologica nella quale siamo immersi, l’era dell’Antropocene che sta forse portando alla sesta estinzione di massa, il come rimanere umani in un’epoca caratterizzata dall’affermazione di tendenze negative quali razzismo, omofobia e demagogia, che si manifestano nella brutalità del linguaggio e soprattutto nell’assenza di (tecno)consapevolezza, responsabilità e coscienza. 

Osservare, comprendere, analizzare, elaborare pensiero critico, riflettere sono tutti verbi transitivi che suggeriscono di risvegliarsi dalla narcolessia che ha colpito moltitudini, di agire concretamente, impegnandosi a testimoniare che è possibile superare i tempi correnti attraverso il cambiamento e resistendo al tentativo di indirizzamento algoritmico dell’esistenza investendo sull’individuo come soggetto critico e autonomo. Un soggetto, oggi limitato nel suo essere indebitato, impoverito, mediatizzato e controllato e non più rappresentato politicamente, ma pur sempre capace di individuazione, di resistere all’omologazione e al conformismo, di scappare dagli acquari tecnologici delle piattaforme e dalla prepotenza mai neutrale degli algoritmi, per sottrarsi ai nuovi meccanismi di potere che stanno soggiogando le persone e imbrigliando il mondo. 

Il soggetto a cui facciamo riferimento è incarnato, non solo virtuale, fatto di pulsioni ed emozioni, di cuore e polmoni, di muscoli e innervazioni, di carezze e vibrazioni, di bisogni e desideri, aperto alla compassione e alla trasformazione. Consapevole delle implicazioni limitanti, quali la perdita della padronanza a scapito delle macchine, e al tempo stesso di quelle positive degli strumenti che utilizza e che facilitano scambi, relazioni, efficienza, velocità, ecc.  

Il ruolo del linguaggio 

Nella pratica dell’Oltrepassare, un ruolo particolare lo rivestono il linguaggio, la comunicazione, il dialogo e le parole. Comunicare, dialogare e parlare è un modo per entrare in contatto con sé stessi e con gli altri, “[…] è uscire da sé stessi e immedesimarsi nella vita interiore di un altro da noi, nei suoi pensieri e nelle sue emozioni[14]”. Nella comunicazione, nel dialogo, nella conversazione contano le parole ma contano anche il silenzio e il corpo. Oggi le parole sembrano diventate scatole vuote, semplici valigie dentro le quali far viaggiare messaggi veloci e atrofizzati, privi della ricchezza semantica di cui sono sempre portatrici. Il silenzio è reso impossibile dal brusio costante dei dispositivi e dalle infinite chiacchiere stereotipate quotidiane. Il corpo è in evanescenza virtuale, si rispecchia in schermi luccicanti ma è incapace di quella risonanza emozionale che sempre caratterizza l’incontro tra esseri umani. 

Online si confrontano semplici immagini simulacro, costantemente in movimento ma sempre simili a sé stesse, le stesse immagini usate per il riconoscimento facciale così come per le conversazioni e interazioni digitali. Il profilo digitale però, insieme all’immagine a cui è collegato, non è un corpo vivente. Il corpo umano al contrario comunica con noi stessi e con il mondo, è dominato dal rapporto con l’Altro e dalle mille emozioni che, con le rughe del volto (“Quando le dice tu sei quella con cui vivere - Gli si forma una ruga sulla guancia sinistra” - Atlantide di De Gregori), le sue maschere, le pieghe degli occhi, un sorriso, veicolano significati, interpretazioni e interazioni sempre diverse, impossibili da prevedere e codificare perché frutto della interrelazione con un Altro incarnato, simbolo di molteplicità e comunità. 

In questo corpo un ruolo particolare lo assume il volto con il suo sguardo umano. L’uno e l’altro capaci di trasmettere emozioni come gioia e tristezza, angoscia e speranza e, attraverso di esse, capaci di colpire la nostra interiorità, cambiandoci dentro. Nello sguardo che nasce dal volto e più nello specifico, all’interno del volto, si intrecciano etica e tecnologia. È dentro lo sguardo che si scontrano da un lato il bisogno di un altro volto, fatto di carne e di sguardi, che possa incrociarlo, comprenderlo o “salvarlo”, e dall’altro la spasmodica ricerca di uno schermo. Uno schermo da tenere sempre acceso e illuminato, dentro il quale rispecchiarsi e riflettersi, mentre si è online ma anche quando la mente è offline. 

Lo sguardo umano è un ricettacolo di verità e illusione, parole e pensiero, responsabilità e sregolatezza, rughe di pensiero ed espressioni di inconsapevolezza. Lontano dagli schermi e dentro di essi, continua a racchiudere in sé la necessità di vita (di vivere) che può dirsi compiuta solo attraverso la disarmonia, le incrinature e i contrari dell’esistenza che compongono quella negatività sempre paradossalmente generativa. 

È attraverso lo sguardo che è possibile andare oltre, muoversi altrimenti, oltrepassare sé stessi, misurare pensieri, parole e azioni, rispecchiandosi negli altri e così facendo contribuire alla rinascita dell’intera umanità. Un primo passo per questa rinascita è la capacità di contrastare le visioni distorte del mondo di cui è portatrice la tecnocultura attuale. Queste visioni sono sostenute da parole e narrazioni finto-realiste tese a manipolare semanticamente la realtà. Essere realisti al contrario significa oggi “riconoscere e affrontare le possibilità di trasformazione” che emergono ogni giorno e essere anche un po’ utopisti. 

Oltrepassare come pratica filosofica 

Il realismo suggerito dalla pratica dell’Oltrepassare non è tecnofobico, si esprime dentro una realtà tecnologica fattasi ecosistema e ambiente. È legato a pratiche individuali che scavano, anche spiritualmente, dentro la propria interiorità. Suggerisce l’azione politica attraverso pratiche espresse dentro comunità di appartenenza e di esperienza, nella quale gli individui agiscono da cittadini, sentinelle nel ruolo di custodi che operano responsabilmente ed eticamente. Il ruolo di custode-sentinella si esprime anche nel non abbassare la guardia nei confronti di una cultura tecnologica che celebra nella sua narrazione i luminosi orizzonti di progresso e innovazione raggiunti, ma tace colpevolmente sull’aumento delle disuguaglianze, delle ingiustizie, della povertà, della precarietà del lavoro e dei danni ambientali che tale progresso sta causando alla Terra. Non abbassare la guardia si traduce in azioni concrete finalizzate a contrastare il presentismo corrente e a costruire orizzonti futuri umani e di senso nei quali tutti possano aspirare a condizioni di vita migliori, senza rinunciare ai propri diritti e alla propria umanità. 

Nella pratica dell’Oltrepassare l’etica gioca un ruolo chiave, in particolare se associata a parole, da noi descritte come etiche, quali responsabilità, solidarietà, condivisione, gentilezza, generosità e molte altre ancora. La responsabilità, che nasce dalla conoscenza e dalla consapevolezza, è da associare a scelte libere e consapevoli, guidate dalla nostra capacità di valutare gli effetti delle nostre azioni per poi cambiarle. Sempre nella consapevolezza che l’esistenza è catturata, valorizzata e protetta da una figura Terza. Un Altro che nelle parole di Nausica Manzi diventa un ”[…] custode di esistenza che, avanzando nascondendosi ma per essere poi svelato, introduce squilibrio e novità e mette a rischio la propria vita per uno sguardo […][15]”. La responsabilità è riferita alle azioni così come alle parole che usiamo o scriviamo, alla capacità di fare silenzio così come di prenderci cura delle nostre relazioni, incardinandole alla gentilezza, alla generosità, alla condivisione, alla sollecitudine e alla solidarietà. 

Agire eticamente significa oggi misurarsi con la tecnologia e le sue espressioni. Infilati dentro reti infinite di nodi, contatti, connessioni e conversazioni, ognuno di noi ha oggi la responsabilità di interrogarsi e fare delle scelte. La prima domanda da porsi è quanto si conosca veramente di sé stessi e degli altri. La prima scelta da fare nasce dalla comprensione di quanto l’essere connessi sia lontano dall’essere in relazione con gli altri, ad essi congiunti. Interrogarsi e scegliere non possono che partire da un cambio di prospettiva, da uno sguardo diverso da quello dominante, dal cambiare modi di pensare modificando comportamenti, linguaggi e narrazioni. I comportamenti da cambiare sono quelli dettati dalla velocità di reazione e dalla fretta, contraddistinti online dall’assenza di empatia, dalla difficoltà a parlarsi e a comunicare, dalla mancanza di attenzione e di ascolto verso l’Altro. Più che a reagire a un comando, a un post o messaggio si tratta di resistere al dominio totalitario del mezzo tecnologico che elimina ogni spontaneità umana, mettendo in difficoltà la “vita dell’anima”, la facoltà di giudizio e azione. 

Se è vero che siamo in una fase paradigmatica di cambiamento, il mondo che sta scomparendo per lasciare il posto al nuovo che emerge, tutti siamo chiamati a interrogarci su come questo passaggio stia avvenendo, sui suoi linguaggi, sulle sue parole e narrazioni, sui nuovi valori emergenti e sulle sue visioni. Oggi le visioni che si stanno confrontando sono essenzialmente due.  Una è transumanista, quella della macchina tecnologica che sta realizzando un automa globale mostruoso ma efficiente fatto di milioni di reti e miliardi di connessioni. L’altra è umana, incarnata, legata all’inconscio non automatizzabile, alla coscienza come fenomeno emergente, condizionata dalla sensibilità e dalle emozioni, dall’incertezza e dalla imprevedibilità, dalla fragilità e dalla vulnerabilità, fortemente legata all’incontro con l’Altro. 

Oltrepassare è la nostra proposta pratica per dare forma alla seconda di queste visioni. Per convivere con il nuovo che emerge e l’ambiente tecnologico che lo caratterizza, per contrassegnarlo con nuove proiezioni di senso, in modo etico e attraverso un linguaggio comune fatto di parole condivise nei significati e nella loro capacità di Oltrepassare il reale e di portare verso nuovi scenari futuri. 

Addendum 

Per concludere una nota pratica sulla lettura di questo libro. Per come è nato ed è stato scritto, il testo si presta a letture anche non lineari. È possibile saltare da un capitolo all’altro, evitando la sequenzialità della loro presentazione. A qualcuno potrebbe risultare interessante leggere i contributi offerti da coloro che hanno partecipato al libro esercitandosi nell’Oltrepassare le parole. 

Una lettura sequenziale naturalmente permette di cogliere l’ispirazione e il percorso fatto insieme dai due autori.

 

[1] Vivere alla fine dei tempi, Slavoj Žižek - Edizioni Corbaccio 2010

[2] Secondo Umberto Galimberti i due inconsci della teoria freudiana, quello pulsionale e quello super-egoico sono affiancati da un inconscio tecnologico, calibrato sulle categorie dell’efficienza, della produttività, più attento a come si fanno le cose che alle persone. La forza di questo inconscio nasce dal fatto che siccome tutti fanno così si deve fare così. In questo modo cambiano i nostri comportamenti, le nostre relazioni e conversazioni. Se non ci ssi adegua e non si fa così si è tagliati fuori.

[3] «Non so quali siano gli elementi costitutivi del pensiero, ma so che esso deve avere degli elementi che corrispondono alle parole del linguaggio» (Wittgenstein) 

[4] Berardi Bifo, La sollevazione, Editore Manni, Pag. 56 

[5] Eric Sedin, La siliconizzazione del mondo, Edizioni Einaudi, 2016, Pag.21 

[6] i si riferisce alla famosa storiella dei pesci nell’acqua ripresa anche dallo scrittore americano David Foster Wallace. Una  storella che narra di due giovani pesci che nuotano sereni e spensierati. A un certo punto incontrano un pesce più anziano proveniente dalla direzione opposta. Questo fa un cenno di saluto e dice: «Salve ragazzi! Com’è l’acqua oggi?». I due giovani pesci proseguono per un po’ finché, arrestandosi di colpo, uno guarda l’altro e stupito si domanda: «Acqua? Che cos’è l’acqua?». 

[7] Gadamer, Linguaggio e comprensione, Pag. 163

[8] Il concetto, preso dal ibro di Étienne de La Boétie e a cui ricorriamo in altre parti del testo può ampliato a significati altri come quelli espressi in questa citazione di Simone Weil del 1994: “Sottomettersi per forza è duro; lasciar credere che ci si sottomette volentieri, è troppo. Oggi, nessuno può ignorare che coloro ai quali, su questa terra, è stato assegnato come unico compito quello di piegarsi, di sottomettersi e di tacere, si piegano, si sottomettono e tacciono solo nella esatta misura in cui non possono fare diversamente”. 

[9] Elias Canetti, Massa e potere, Adelphi, Pag. 344 

[10] Primo Levi, Se questo è un uomo, Einaudi, Pag. 68 

[11] La camera dell'eco o camera d'eco è una descrizione metaforica di una situazione in cui le informazioni, le idee o le credenze vengono amplificate o rafforzate dalla comunicazione e dalla ripetizione all'interno di un sistema definito. 

[12] Un riferimento al titolo di una nuova rivista da poco (dicembre 2021) in distribuzione, nata per registrare e raccontare le trasformazioni delle cose, dei pensieri e degli immaginari nella tempesta che stiamo vivendo.

 

[13] Francesco Remotti, 2013, Fare umanità. I drammi dell’antropopoiesi, Bari, Laterza, pp. 235. (La prospettiva antropopoietica adotta la teoria dell’incompletezza come uno dei sui presupposti. L’essere umano non conosce una

sola nascita, quella fisiologica collegata al parto, ma ne compie altre  di  natura  tutta  sociale  e  culturale.) 

[14] Eugenio Borgna, Le parole che ci salvano, Einaudi Editore, 2017, pag.  79

[15]  Nausica Manzi, Custode di esistenza, Edizioni Albatros, 2020, Pag. 14

 

 cop oltrepassare

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